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domenica 6 settembre 2015

L’egemonia imposta alla Germania

La tesi di un’egemonia imposta a un soggetto riluttante è bizzarra – di un’egemonia attiva, da esercitare e non da subire. E tuttavia.
 “L’egemonia tedesca in Europa è un prodotto dell’Unione monetaria europea e della crisi del 2008. Non fu tuttavia la Germania a volere l’euro: fin dagli anni Settanta, le sue industrie di esportazione avevano convissuto molto bene con le ricorrenti svalutazioni dei partner commerciali europei, in risposta alle quali la produzione manifat­turiera tedesca si spostò da mercati price-sensitive a mercati quality-competitive. A volere una valuta comune europea fu soprattutto la Francia, per superare l’umiliazione della svalutazione del franco rispetto al marco e, dopo il 1989, per vincolare la Germania unifica­ta a un’Europa unita, auspicabilmente a guida francese”. Questo non è vero, né il disegno francese di egemonia, Mitterrand era un realista, né la riluttanza tedesca: il cancelliere Kohl e la stessa Bundesbank furono attivi fautori dell’euro, solo lo volevano tra economie il più possibile simili. Ma questo avrebbe escluso l’Italia, e quindi Kohl scartò le “due velocità” o “due livelli”. Il franco francese non valutò rispetto al marco, semmai navigava al di sotto delle parità. E non poteva altrimenti: la lira, che Ciampi volle irrobustita sul marco, fu duramente punita con l’attacco speculativo del 1992 – è a quel crollo che risale la debolezza cronica dell’economia italiana, fino ad allora una delle più robuste in Europa.
Fin dalla sua concezione, l’euro fu una costruzione contraddittoria. La Francia e altri Paesi europei, come l’Italia, erano stanchi di dover seguire la politica di tassi d’interesse da moneta forte della Bundesbank, che era diventata defacto la banca centrale d’Europa. Sostituendo la Bundesbank con la Banca centrale europea, essi si aspettavano di recuperare almeno una parte della sovranità moneta­ria perduta a favore della Germania”. Questo è vero: meglio un euromarco, si pensava, che un doppio marco.
Oggi è la Germania, insieme a Paesi come l’Olanda, l’Austria o la Finlandia, che sta godendo dei vantaggi dell’Unione monetaria europea. Ma è importante ricordare che è così soltanto dal crollo finanziario del 2008. Durante i primi anni dell’unione monetaria, la Germania era «il malato d’Europa», e l’unione monetaria contribuì parecchio a questo stato. Il tasso d’interesse comune imposto dalla Bce, che doveva tenere conto delle economie di tutti i Paesi mem­bri, era troppo alto per un’economia a bassa inflazione come quella tedesca”.
Che la Germania fosse per i primi anni Duemila il “malato d’Europa” è vero – è vero in parte, la Germania sempre esagera nel piangersi addosso. Mentre è del tutto errato che il denaro costasse (relativamente) caro in Europa contro la volontà della Germania: è la Germania che ha alimentato la paranoia dell’inflazione fino a pochi mesi fa, quando Draghi ha finalmente avuto il coraggio di svelare la deflazione, nei fatti da alcuni anni. 
Streeck fa altri errori di non o sotto valutazione. Valuta poco e male la crisi da cui l’Europa, solo l’Europa, non è ancora uscita, per le politiche restrittive imposte dalla Germania. Più in generale trascura. le politiche fortissimamente tedesche nella prima fase (banche) e nella seconda (debito pubblico) della crisi ormai ottonnale. Trascura la fortissima delocalizzazione tedesca nei paesi dell’Est Europa negli anni 1990. E la contemporanea spinta tedesca , recepita poi da Prodi, all’allargamento immediato dell’Unione Europea a questi Stati, senza regimi transitori. Trascura anche il regime dei doppi salari all’interno della Repubblica Federale – molti milioni sono solo o quai figurativi. E così via. Ma porta finalmente in superficie, con autorevolezza cioè, il dibattito sull’egemonia, cui la Germania finora riluttava, se non per frange sparute.
Wolfgang Streeck, L’egemonia tedesca che la Germania non vuole, Il Mulino, n. 4\2015, free online


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