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lunedì 7 settembre 2015

La Calabria un secolo fa, povera e bella

Il vino è sempre degno di nota, e non meno che “eccellente”, a Paola, a Pizzo, a Tropea, a Palmi – “in fatto di vini la Calabria è messa meglio della Sicilia”: pensare, come si stravolgono l’economia e la storia in un secolo, e come possono andare indietro invece che avanti.Passati i sessanta, il giornalista del “Bund” di Berna, ex pastore evangelico, figlio di un ex monaco cistercense, svizzero italianofilo, com’era allora normale, si concede una vacanza per i paesetti di Calabria e se la gode tutta. Ha avuto una vita piena. Molto, efficacemente, impegnato: contro la punizioni corporali, per il voto e la libertà di professione alle donne, per Dreyfus e un accusato analogo in Svizzera - ha fallito solo la campagna contro l’automobile, veicolo dei privilegiati, che provocava morti, fumi velenosi e rumori molesti. Ma ha ancora voglia d fare.Perché andare in Calabria, “il paese dei briganti”, nel 1903, a 61 anni, in terza classe o a piedi? Widmann è sincero: per “la voglia di sole”. E gli va bene, ci sono le pulci ma pazienza, era scontato. Sopraffatto, oltre che dai vini, dalla bellezza delle donne. Si va dalla Fornarina alla vestale flessuosa, alla dignitosa coefora: non c’è paesino che non trabocchi di Afroditi, Antigoni, Ifigenie. E dall’ospitalità, di “una popolazione bonaria, amabile e gentile”.  
Visita come deve i musei - quelli aperti (anche allora il Museo archeologico di Reggio era chiuso – era chiuso da due anni). La Crotone di Pitagora, il Busento di Alarico, il Pizzo fatale a Murat, la Paola di san Francesco. Si ricrede sulla somatizzazione negativa dei calabresi di cui  ha letto in Duret de Tavel e Paul Louis Courier, i due ufficiali napoleonici che li ebbero nemici. Legge corretto la sìtuazione  sociale come segnata dalla povertà e dall’emigrazione, dei maschi adulti. Ma col taglio giusto, dal di dentro e non censorio: la fatica inutile, senza accumulo, da sopravvivenza, in un’economia intrinsecamente ricca. “Se questi poveracci con tutta la fatica che fanno, che noi non ci immaginiamo nemmeno, continuano a patire la fame in una terra così fertile… la colpa è delle classi che detengono il potere, di cui si servono senza coscienza per sfruttare il popolo laborioso”. Il giudizio di Widmann è senrpe stato pesante sulla classe politica dell’Italia unita: governava un paese, aveva scritto alcuni lustri prima, in cui era naturale essere socialisti, e anche anarchici.Da giornalista curioso ha una vera storia della fine di Murat a Pizzo che è tutta da leggere, dettagliata ora per ora. O di quella di Enrico VII, il re di Germania, suicida contro il proprio padre, l’illuminato Federico II d Svevia – una pagina che si sottace. Della storia ha in genere tranquilla conoscenza. – “anche la Calabria, non diversamente dalla Sicilia, ha avuto la sua epoca saracena”, cosa che pochi sanno, e quasi nessuno in Calabria. Di suo ha anche una lettura meravigliata della natura. Che sembra ovvia ma non è comune. Ha letto “Il gran bosco d’Italia” di Nicola Misasi, ma ha un altro occhio, sorpreso: scopre i pastori solitari, sulla spiagge a perdita d’orizzonte, le “forre scure delle valli, i “prati verdi di erba medica con grandi ombrelle rosso-porpora”, le fiumare in secca, il mare ovunque. E il silenzio, che allora come oggi è ciò che colpisce il viaggiatore non prevenuto. Un silenzio che rompe solo la campana, quella remota del municipio, che chiama alla scuola e invita alla pausa dal lavoro, o della chiesa, Un mondo di campagna deserta, assolata. E di donne, di cui tratteggia fisionomie sorprendenti, tanto più che dopo un secolo s’impone, chissà perché, lo stereotipo negativo - da “Anime nere” della nera Rai.
Si può essere vittima dei viaggiatori che hanno spregiato un territorio ma non, evidentemente, beneficati-privilegiati dalle lodi..Josef Viktor Widmann, Calabria 1903, Rubbettino, pp. 121 € 7,90

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