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lunedì 12 settembre 2016

Secondi pensieri - 277

zeulig

Ambizione – Vizio o virtù? La virtù del vizio: la molla dell’esistenza – la curiosità, la proiezione all’esterno, la volontà – nasce o convive con una desiderio di affermazione.

Crisi – È lo stato dell’epoca. I migranti, un tempo pieni di silenzio, raccontano in dettaglio infiniti malanni. Pure le giovani del Nord, oltre alle insegnanti del Sud, hanno nozioni patologiche estese, e quanti non sono i dolorini alla schiena. La crisi è coltivata, è l’ansia del ricco per l’erosione delle rendite: pesa più degli infarti, i tumori, gli incidenti, le epidemie.
Non si parlava mai della morte, non in letteratura, neppure nelle trincee, o nei lager, e sembrava buona norma, ora si fa con diletto. Non per carità, al contrario, è buttare il mondo infetto addosso all’interlocutore, una cosa da untori.
Una scelta? Imposta.

Destino – È sempre “manifesto”, dichiarato. È familiarmente qualcosa a cui non si sfugge, seppure a intervalli. Ma nella propria prospettiva, personale, di memoria e di attesa, di scongiuro anche. Impersonale ma personale, dramma o commedia che sia.
È l’ipostatizzazione di tutto ciò che fuoriesce dal possibile, a volte dall’auspicabile, ma è solo e tutto soggettivo. Una forma di ipersoggettivazione: dell’io, della patria, della stirpe, elevati a forme di irrealtà, in ambito iperuranico. Fausta altrettanto quanto infausta - si dice allora, cioè ex post, di qualcuno che “corre al suo destino”, che sarà stato quello che è avvenuto o si è voluto.
Si veda dal tedesco, che ne fa largo uso. Secondo Mittner l’attesa in cui tutti i membri della frase sono tenuti fino all’ultimo conferma che “con accurata regolarità il tedesco tende a un fine inatteso ma inesorabile, il destino”. Ma è il destino che il parlante si foggia: in tedesco quando uno inizia a parlare deve sapere già cosa dirà. Il tedesco non va incontro al destino, ma al contrario se lo crea.
Da qui anche, si può dire della “filosofia tedesca”, l’esclusione dell’inatteso, con gli attrezzi minimi della grammatica. Della grammatica che però rimbalza sul pensiero, coi noti effetti (il)logici (in)attesi, divaganti – un circolo vizioso aperto.

Il destino è anche sociale, e delle epoche storiche. Oggi, “epoca di crisi”, sembra che, cessando il bisogno, si sia perduto il giudizio, e ogni stimolo al lavoro ben fatto. Ma anche questa specie di destino necessita di una proiezione psicologica, di un’introiezione, un’induzione alla cultura della crisi.

Dittatura – È oggi dell’opinione, più che mai, indubbiamente. Più che dei cannoni, le torture e gli sfollagente.
Le formazioni sociali sono vuote, e non per mancanza di volontà, è come cantare col naso. La pubblicità e la propaganda lo hanno saputo e ne fanno un impero.
Di tale banalizzazione sono specchio perfino la letteratura e la filosofia, gonfie di falsità: melasse, concettismi, oltraggi, tutto coltivato e insulso – di falsità senza paletti o contraccettivi, criteri critici.
Non sono fantasia –proiezione - le malattie, i debiti, la fame, la fine cruenta dei miliardi di uomini non memorizzati nelle scritture, le pesti e i terremoti. Ma allora si entra in un’altra dimensione, della condizione umana, di tutti gli uomini..

Essere – Si può – bisogna? – non essere per essere? Come Heidegger, che non si sa - lui non ha voluto - chi e cosa fosse, in famiglia, all’università, in patria e negli amori. Come Stendhal, o Rousseau, con la stessa gioia della sorpresa, e la furberia dell’eterno adolescente.

Heidegger – Esaurita la curiosità con i primi due volumi, con le note sugli ebrei, niente più “Quaderni neri”, la traduzione si è fermata in Italiano e in inglese, ai “Ponderings” (titolo dell’edizione inglese) II-XI, 1931-1939 – in francese non è stata fatta. Curiosa la sua difesa da parte di Roger Berkovits, il direttore dell’Hannah Arendt Center for Politics and the Humanities
di New York, insistita: Heidegger è uomo pieno di risentimenti, e quindi anche razzista, ma, insiste Berkovits, “non  ho visto, e non vedo, nessuna prova, che la sua filosofia sia in qualche modo infetta di antisemitismo”.  Nemmeno in forma privata: nel 1933 “Heidegger abbandonò molti dei suoi amici ebrei e condivise stereotipi e pregiudizi antisemiti, ma lo fece mentre aiutava a difendersi e perfino a salvarsi altri ebrei”.

Lucus a non lucendo”, l’unico latinorum di Heidegger, ha sinistra parentela con lykos, che in greco è lupo.

Lutero – Altrove, viene spontaneo pensare, sarebbe stato un Montaigne, il dottor Johnson, uno scrittore eloquente. Fu ribelle e mestatore in una società conformista, contro il conformismo dei suoi prima che di Roma – così come l’umanista e teologo francese Calvino diventò ribelle in Svizzera (si dice per la tolleranza, ma Ginevra era intollerante ancora ai tempi di Rousseau, Settecento inoltrato). La proposta radicale attecchisce in una società senza continuità, magari compatta ma grezza, senza attenuazioni, chiaroscuri, elasticità, saldezza.

Matrimonio – Quello a tempo, in uso in Iran e nella comunità mussulmana sciita, detto sigheh o mut ‘a, in sospetto altrove nel mondo mussulmano e spesso proibito, come una forma di prostituzione, ha l’effetto di liberare le donne – in Iran ovunque, anche nei posti più remoti, serene e piene di sé. Si pensa il sigheh trucco maschile, e invece sta comodo alle donne, le libera dalla soggezione sessuale e dalla famiglia.
Il matrimonio a tempo lo studiavano nei salotti la marchesa di Rambouillet e Madeleine de Scudéry a Parigi nel Seicento. Perché, inutile girarci attorno, il matrimonio lo inventò l’uomo per assicurarsi che i figli della donna, possibilmente maschi, fossero i suoi, in vista dell’eredità, quando il possesso s’impadronì del mondo.

Odio – È il risentimento a muovere l’odio e non l’onore? L“odio impotente” è categoria stendhaliana sottovalutata -  non c’è testo di qualche ambizione in cui il “barone” non ne parli, “Il Rosso e il Nero”, “Leuwen”, “La Certosa”, perfino le “Memorie di un turista”.
Stendhal l’odio dice di quelli che detestano chi sa quello che loro non sanno: nulla indispettisce tanto i mediocri quanto l’intelligenza. Un punto di vista. Ma l’odio “sociale” è innegabile, nell’opinione, nella politica e nella giustizia, un’ondata di melma per un debordare dei rifiuti sotto il pretesto dell’uguaglianza e dell’innovazione (ricambio, rigenerazione). C’è della logica nella follia, anche tra i brutti e gli scemi.

Potere – È un tema – fissazione – a doppio taglio? Della riflessione per escludere il fatto, allontanarlo, totemizzarlo. È l’opinione di un letterato, Stendhal, in un’opera minore, “Metastasio”, ma non peregrina: “Che ridicola trappola è quella che ci fa occupare dei problemi del potere, e solo dei problemi”. Trappola doppia, solo dei problemi: “È come abitare una casa occupandosi in continuazione della sua stabilità. La soddisfazione che possiamo trarre dalla maniera in cui il potere è distribuito non è gran cosa: può nuocerci ma non può procurarci piacere”.

zeulig@antiit.eu

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