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martedì 11 ottobre 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (303)

Giuseppe Leuzzi

Ci sono Fiscon e Muraro, due veneti, Odevaine e altri toscani, molti romani naturalmente, ma non c’è un meridionale nel processone Mafia Capitale. Che fanno, Pignatone e Prestipino, dormono?

Dovrebbero prendere esempio da Milano, dove, al comando di Ilda Boccassini, non c’è corruzione né altro reato se non c’è un calabrese di mezzo, un possibile ‘ndranghetista o un suo parente.
Però, anche a Milano è vero: non ci sono camorristi né mafiosi. La droga per esempio, di cui Milano è ghiotta, la più grande consumatrice pro capite in Europa, ci arriva come la manna dal cielo.

Frank De Boer da calciatore ha più volte detto no alle squadre italiane. Al Napoli in particolare, benché post-Maradona. Uno tra gli olandesi pregiati di un tempo, quando andavano forte in Italia. Da allenatore invece, essendo disoccupato in Spagna, la sua patria calcistica di adozione, ha trovato appetibile la collocazione a Milano, all’Inter. Dove fa sfracelli – non ne vince una. Pagato bene, e stimato: un onore per la città. C’è sempre un Nord più Nord.

L’integrazione è sottile
“Fu Marcel\ ma non era francese”: il “Marcel” che era e non era è Mohammed Sceab, il coetaneo, concittadino ad Alessandria d’Egitto e compagno di studi di Ungaretti. Fino a Parigi, dove i due, uno di famiglia libanese e uno italiano, apolidi di fatto, erano approdati nel 1913: nella patria di adozione, di scuola e di formazione. L’integrazione fu però difficile, forse rifiutata di fatto, fatto sta che la meta agognata precipitò Sceab alla depressone, fino al suicidio. Dopo aver distrutto con cura tutti i suoi quaderni, nell’alberghetto des Carmes dove alloggiava con l’amico.
Luca Mastrantonio ne fa il ritratto sul “Corriere della sera” venerdì 30 settembre, come di un evento ordinario, scontato se non obbligato. Un approccio non diminutivo, non sbagliato: l’integrazione è delicata – lenta, minimale. Ogni meridionale emigrato a Milano, a Verona, a Pordenone  ne fa l’esperienza da un quarto di secolo a questa parte. 

I venti del Sud
“Qui abbiamo l’aria” è verso rivendicativo, e grido di dolore (“non abbiamo nient’altro”) di Otello Ermanno Profazio. Ma in un certo senso è vero: qui, nel Mediterraneo, abbiamo i venti – ancora per molto?
Grecale o Levante? Un vento infido, non freddo, non da tramontana, ma insinuante e penetrante, che dura tre giorni, torce gli alberi, li fa ululare, forse dal dolore, e abbatte i raccolti, senza riguardi per il tempo giusto. Alcuni lo chiamano grecale, altri levante. Ma sono la stesso vento, più o meno: un vento di Nord-Est. Rispetto al punto di mare prossimo a Creta dove convenzionalmente si situava il centro della Rosa dei Venti.
Il Gracale (o Levante…) spira da Nord Est a Sud Ovest. Così, sempre prendendo a riferimento la costa cretese, a Sud Ovest della quale c’è la Libia, è Libeccio il vento opposto, da Sud-Ovest verso Nord-Est – lo Scirocco, che sta per vento di Sud-Est Nord-Ovest, è il vento che viene dalla Siria.
Il Maestrale, da Nord-Ovest a Sud-Est, è desunto da maestra o via maestra, con riferimento a Roma, e a Venezia.

La mafia dell’antimafia
Dei 14 arrestati per intrallazzi su Malpensa uno potrebbe avere agganci meridionali, perché figlio di immigrati dalla Calabria. È l’unico di cui si parla. L’unico di cui la Procura di Milano fornisce ai servizievoli cronisti di nera i “materiali”, che sono le intercettazioni.
Una Procura retta da napoletani nobilissimi, Greco, Boccassini. Non è quindi Nord contro Sud, Milano vs. Calabria – Milano sempre si sceglie avversari a portata. È uno dei vicoli ciechi in cui la protervia dei giudici ha ridotto la Procura antimafia, la grandissima idea di  Falcone. Una sorta di Fbi antimafia. Che fu sbrindellata, tra lazzi e calunnie di ogni tipo, in  un centinaio di piccole Procure, tra Palermo e Belluno in uguale maniera, la provincia più “babba” d’Italia. Per servire alla carriere di un paio di centinaia di giudici, Procuratori capo antimafia e vice. Mentre la Procura antimafia nazionale si sollazza a  non fare nulla in un bellissimo palazzo di via Giulia a Roma, popolata da un’altra trentina di carriere eccellenti, con la scorta per la dignità del ruolo – un autista personale e una macchina d’ufficio. 
E si arriva alla Procura antimafia della effervescente Boccassini, venuta alle cronache al funerale di Falcone, testimone eccellente dei tradimenti che lo avevano messo nel mirino di Riina. Boccassini gli altri giudici non hanno voluto a capo della Procura, e allora si sfoga con la Procura Antimafia: le  basta trovare nel malaffare un calabrese, anche remoto – non ci sono napoletani a Milano e in provincia, né siciliani, com’è noto, e gli innumerevoli lombardi non hanno nome, sono comparse, di contorno.
Onorano Falcone e Borsellino a ogni passo mentre ne fanno ludibrio.

Una breve per De Luca assolto, il presidente della Campania, dopo diciotto anni. “Vincenzo De Luca è stato assolto nel processo Sea Park, su presunte irregolarità nella realizzazione di un parco acquatico a Salerno”. E' tutto, diciotto anni non sono niente. Dopo diecine e centinaia di paginate contro.
Da ultimo del resto la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi aveva definito De Luca qualche mese fa  “impresentabile” alle elezioni. Non si è scusata dopo l’assoluzione,
Va bene che De Luca e Bindi sono compagni di partito. E che Rosy Bindi è anche buona cattolica, con un pelo sullo stomaco quindi alto così. Ma che c’entra l‘Antimafia?

La scoperta della Grecìa
Con garbo, con cognizione, Patrizia Giancotti ha scoperto per radio Rai 3 l’area grecanica a Sud di Reggio Calabria, e ne ha fatto l’oggetto anche di una monografia, “Filoxenìa”, per l’aspetto che più l’ha colpita, l’ospitalità. Forse era la maniera migliore di proporre una diversità culturale, che per quanto sfiziosa è sempre meridionale e quindi sospetta. “Scoprendola”, l’esploratrice si mette al sicuro.
Ma l’antropologa torinese ha fatto di più: ha saputo far parlare questa diversità. Morente ma non lamentosa. Con linguaggi attuali, che tutti intendono. Avrebbe potuto con poco sforzo fare di più: allargare il campo al recupero della tradizione ortodossa. Molti conventi e santuari sono stati retrocessi dalla popolazione, dai suoi sindaci, a comunità ortodosse di rito greco. Ma restringendo l’obiettivo alla sola veduta antropologica, coglie molte sorprese, in quella che in apertura chiama “una sorta di finis terrae del continente europeo”.
Tutti sanno suonare uno strumento. Tutti sanno ballare – Giancotti si muove qui sull’intuizione di Diego Carpitella, l’etnologo di Reggio che privilegiò la comunicazione musicale. Si coltiva il talento e la socievolezza, l’agape, che significa “amore”, per i vicini e i lontani. E per la terra. Una bambina si ascolta di dieci anni, che si dice: “Io guardo in giù”, da Bova, la colonia greca del V secolo a.C., che sta sui mille metri, “e guardo in su”, verso l’Aspromonte, "e mi vengono i brividi”. La bellezza del paesaggio fa venire i brividi.
Tito Squillaci, pediatra volontario spesso all’estero: “Noi non siamo un’enclave, un gruppo sperso di immigrati greci. Noi siamo la realtà residua di tremila anni di storia. Ma la lingua non è più veicolare…. Si insegnano i numeri, i canti, le poesie… “ Parla sempre in greco con le figlie, da quando sono nate. La figlia lo chiama da Cambridge, e col padre parla greco. A Cambridge fa il dottorato sui contatti linguistici tra il greco di Calabria, dell’area grecanica, e l’area romanza: la gente parla italiano nel senso che traduce i vocaboli ma con la struttura greca.
Di Pavese al confino a Brancaleone, non distante, Giancotti ricorda una lettera. “Di una squisita cortesia. E questo ha una sola spiegazione che qui una volta era greco”.

leuzzi@antiit.eu

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