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giovedì 22 giugno 2017

Danza macabra sul mare di Palmi

Il “romanzo” di una beffa. Di una “danza macabra” sulla sua fine, che il protagonista si organizza. Curato e introdotto da Walter Pedullà, l’autorità letteraria del Novecento, coordinatore delle “Letteratura italiana del Novecento” di Rizzoli. Con una nota di Santino Salerno, conterraneo di Répaci e cultore dela sua memoria in argute pubblicazioni, tra cui lo spdciale “Una lunga vita nel secolo breve”. La figurazione forse migliore del genere per altri versi (progettuali, artistici) inafferrabile, la danza macabra L’opera migliore probabilmente di Leonida Repaci. Uno scrittore dimenticato perché mal letto.
Walter Pedullà avvicina il romanzo all’espressionismo, un filone culturale che Répaci prediligeva: questo “libro infernale” è “il suo romanzo più autentico”. O ancora: “Questo romanzo matto è anche la sua opera più saggia”. Debenedetti ha accennato a Pirandello. Salerno ricorda che è ispirato a “un fatto realmemte accaduto”. Qualcuno, a Palmi, aveva voluto il suo funerale come una festa “di miseri, di storpi, di affamati, di straccioni, di questuanti”, in estremo dileggio alla vita, e alla non amata consorte. Con un finale “romanzesco” che non merita ricordare – da letteratura d’appendice, come dire “non c’è amore tra gli ulivi”, parodiando il celebre titolo di De Santis.
Entrambi, Pedullà e Salerno, vogliono la vicenda e il suo protagonista un caso della Calabria che “dà il peggio di sé”.  Ma allora un peggio che è anche il meglio: una beffa, un maestoso sberleffo, seppure a opera di un nemico del popolo, uno sbruffone e forse anche un violento. Il “riccone” si volle all’epoca – il romanzo fu pubblicato nel 1956 - il latifondista feudale sfruttatore del popolo. È lo è, forse. La storia è quella di un nichilista. L’espressionismo ci può stare, e anche Pirandello, non tutto è come appare. Ma il riccone è, nella maniera come si presenta, nel misto di orgoglio cieco e disprezzo che lo materializza, l’anarcoide “calabrese tipico”. Che non esiste naturalmente, ma vive e si esprime con lo scherzo (“’a zannella”, da antichi zanni), la beffa, l’ironia, il sarcasmo, la sfida costante. Improduttiva ma irrinunciabile.
Lo dice indirettamente anche Walter Pedullà nel “ricordo” dello scrittore che premette alla riedizione da lui curata: il prosatore, più dannunziano nella scrittura che non, dà il meglio di sé quando si avvicina alla Calabria. A Palmi, bisogna specificare, allo sperone marinaro ex terragno tra cielo a mare, tra due mondi cristallini. Un mondo saturo di follia, nell’assetto dell’irrisione : un “vaffa” costante, ma divertito e partecipe più che vendicativo – perfino nelle elezioni a sindaco di questi giorni. È la forma popolare anche di humour - canonizzata nella stessa Palmi da Domenico Zappone, di due generazioni più giovane, in famosi racconti che Santino Salerno ha riesumato.
Un fondo anarcoide che è anche la tara della regione, linguistica e letteraria. In basso – tutti snob in Calabria, e volages, anche gli ignoranti. E in alto, anche nella brutalità – gli unici “seri”, posati, incessanti, sono in Calabria i violenti: mirati, costanti fino all’ossessione.
Leonida Répaci, Un riccone torna al paese, Rubbettino, pp. 129 € 10

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