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sabato 21 aprile 2018

Torna Marx in clandestinità

Un polpettone nostalgico. Di quando c’era la passione politica e si pagava anche cara, con proscrizioni e vite in affanno. Senza voli pindarici, e senza effetti d’immagine. L’obiettivo è ristretto sui visi e i busti dei personaggi, le luci brunite. La storia fluisce scolastica, tra Marx e Engels, con Bakunin, Proudhon, Ruge e altri socialisti di metà Ottocento. Senza promozione anche, né commerciale né critica – le critiche si limitano alle tramine. Che tuttavia incontra: il pubblico c’è, a ogni proiezione, ormai da un paio di settimane, a Roma in cinque sale, a Milano in tre.
La storia segue Marx in esilio a Parigi e a Bruxelles con la moglie Jenny von Westphalen, e una bimba, poi due, in strettezze di ogni tipo, sempre intento a chiarire il progetto politico. E Friedrich Engels, uno dei tedeschi industriali del cotone a Manchester, in dissidio col padre, studioso dei fatti sociali, che si lega sempre più a Marx. Due anni di dibattiti, senza un finale – giusto una didascalia per annunciare il Quarantotto, la rivoluzione del 1848.
Perché questo film si fa vedere è il maggior motivo d’interesse. Tanto più che la vicenda è arcinota ai cultori della materia, comune a tutti i fuoriusciti di quegli anni, Mazzini eccetera. È un pubblico diviso. Tra persone in età, quindi presumibilmente nostalgiche. E ventenni. Non ci sono le età di mezzo. Questo può non voler dire nulla, le età di mezzo hanno anche poco tempo libero, forse non tanto per andare al cinema. Ma forse no: sono le generazioni perdute alla politica, quella che oggi dominano. Si vede “Il giovane Karl Marx” come al suo tempo si vivevano le Leghe, quasi clandestinamente.
Un motivo di interesse può essere il lato privato di Marx, che per i più è una scoperta. Vige ancora la lettura del personaggio ideologo, teorico, dottrinario. Ma la vita conta. E contano gli interessi extrapolitici, che nel film bene o male emergono..
Raoul Peck, Il giovane Karl Marx

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