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sabato 26 maggio 2018

L’opinione pubblica è privata

“I giornali sono visti dai democratici come una panacea per i loro stessi difetti, ma l’analisi della natura delle notizie e della base economica del giornalismo sembra mostrare che i giornali inevitabilmente e necessariamente riflettono, e quindi, in piccola o  grande misura, intensificano, la debolezza strutturale dell’opinione pubblica”. Lippman lo scrive nel 1922, data di uscita di questa sua voluminosa riflessione, Paolo Mieli lo ha appena confermato un mese fa, nell’autocritica, l’ennesima, per il populismo dilagante, da lui incoraggiato con le campagne di stampa del “Corriere della sera” – ma mica solo da lui.
Lippman non ha una buona opinione dell’opinione pubblica, venendo al giornalismo, e ala riflessione sul giornalismo, dalla politica, in qualità di vice-ministro all’informazione (alla “propaganda”) nel gabinetto interventista di Woodrow Wilson del 1917. Del resto, l’opinione pubblica è concetto e fatto ugualmente vaghi. Dopo quasi un secolo non più precisati dei termini in cui Walter Lippman li poneva nel 1922. Perché non c’è un’opinione comune, al contrario: “Le persone vivono nello stesso mondo ma pensano e sentono in mondi diversi”. E perché il mondo non si lascia interpretare univocamente, e anzi presenta vari ostacoli e diversivi, materiali e psicologici: censure e autocensure, o forme di riserbo, tempo, attenzione, aspettative, velocità, semplificazione, linguaggi.
Lippman non si sottrae a Platone, alla caverna di Platone, alla conoscenza come riflesso, barbagli di luce. E l’opinione pubblica disseziona non per fare farne il nocciolo della democrazia, come si vorrebbe, ma per denunciarne gli ingorghi, l’opinione sprofondando nei recessi melmosi della natura umana, non in una illuminata-illuminista ragione. Più consono rimando sarebbe, argomentavamo in “«Il Mondo» non abita più qui”, 1989, p. 24: “Per una volta posiamo utilizzare Platone per stare con i piedi per terra (anche se rovesciando il sottinteso aristocratico della figurazione), nell’altrettanto nota allegoria marina del potere politico: senza «genuina e valida filosofia» nel governo degli Stati non ci sarà mai una «tregua di mali», ma «non è naturale che sia il pilota (filosofo) a chiedere ai marinai (popolo) di essere governati da lui”. C’è e ci deve essere un rapporto governanti-governati, e non confusione.
“Tecnicamente intendiamo per opinione pubblica l’intreccio fra i protagonisti della comunicazione: giornalismo, manifestazioni politiche, editoria, pubbliche relazioni, lobbies, pubblicità. Non è l’informazione. Questa ne è il campo di coltura, ma ha estensione molto più vasta, e spessore più sottile, dell’opinione pubblica. L’informazione si allarga infatti gli archivi, alle banche dati, ai segnali stradali, ai servizi di consulenza, legali, bancari, assicurativi, al consumo, agli elenchi del telefono, etc.. È la parola, con le infinite variabili che ogni forma di comunicazione prende. Diventa opinione pubblica quando assume rilievo e concrezione sociale”.
Non abbiamo nulla di meglio, per tenere la democrazia in allenamento, ma senza illusioni. La vaghezza risalta nella metodologia e gli effetti dei sondaggi, che dovrebbero esserne il termometro. Fermi all’obiezione che Herbert Blumer, sociologo della comunicazione a Chicago, avanzava in un sintetico saggio nel 1848, “Public Opinion and Public Opinion Polling”, quando il sondaggio politico entrava in scena, nelle presidenziali americane. Una “analisi scientifica” della “opinione pubblica” non è possibile - tanto meno nella forma dei sondaggi. Non essendo possibile “isolare l’oggetto” della ricerca: opinione pubblica è concetto astratto e generico.
Un testo che fa quasi un secolo, è del 1922, e resta unico - con quello di Habermas, “Storia e critica dell’opinione pubblica”, 1962: l’analisi è scarsa, la materia scivolosa. Questa è la la riedizione 1999 di Lippman. Che fu tradotto solo nel 1963, nel recupero olivettiano della sociologia americana con le edizioni di Comunità. Curato da Cesare Mannucci, primo studioso delle forme della comunicazione – la cui traduzione si ripropone. Nel 1999 è stato ripreso da Tranfaglia in chiave anti-Berlusconi. Di Berlusconi cioè portato dai media, mentre ce li aveva tutti contro, anche i suoi, e questo da solo spiega in abbondanza come l’opinione pubblica tenda a essere privata - anche solo per diritti di proprietà politica, o intellettuale. Il tema ora necessita di ben altro approccio, argomentato e aperto ai new media, i social etc.. Ma la riproposta è utile.
Il libro è vecchio, non ci sono i gruppi di interesse, che poi Meynaud studierà, la radio era agli inizi, con tutti gli altri media “caldi” che poi McLuhan sistematizzerà. Ma la parte critica resiste – ai media, allora a stampa, Lippman riserva appena l’ultimo capitolo.
Walter Lippman, L’opinione pubblica, Donzelli, pp. 315, ril. € 22

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