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martedì 22 maggio 2018

D’Annunzio per dannunziani

Una cosa Boulenger dice che oggi sembra nuova: “Ho sempre sussultato ascoltando Gabriele d'Annunzio parlare dell’Italia. Non è solo figlio ma anche amante del suo paese; e una bruciante e concentrata tenerezza sprizza da tutti i suoi pori”. Per il resto niente di che: noterelle di un secolo fa, di nessun interesse, nemmeno di curiosità. Ma si vede che D’Annunzio tira.
Molta Venezia, dove Boulenger si reca a incontrare D’Annzio in guerra – ma al Lido. Molto di maniera. E poi nella preparazione di Fiume, con le inevitabili “poesia del cielo e della terra”, e “l’arte che si fa azione”, insieme con l‘ ardore religioso, linfa di gioventù”, e “uno straordinario creatore di energia e bellezza”. Roba del genere: “Nel pieno del XX secolo, avevamo avuto la possibilità di vivere in una sorta di città santa delirante per la parola del suo profeta. Assistevamo a un’esaltazione mai vista, una vera frenesia patriottica di un intero popolo, cui ogni giorno il suo capo offriva il conforto dell’anima, l’aiuto morale, il viatico, si potrebbe quasi dire la comunione, in discorsi sempre nuovi, pronunciati in piazza o sul campo di addestramento, su una scalinata di un edificio o sul balcone del Palazzo”.
Dopo Venezia e Fiume Boulenger, che la Treccani dice “uomo sportivo, uno dei primi a introdurre lo sport in letteratura”, si fece un Ardito del Vate per il resto dei suoi anni. A Gardone D’Annuzio si fa trovare profumiere. E al francese che se ne stupisce spiega che disegna anche stoffe e vestiti: “Come si può parlare di frivolezza quando si tratta di ingentilire la vita?” D’Annunzio non era scienziato, e questo solo gli mancò. Per il genio universale.
La riedizione è a cura di Alex Pietrantoni, con una introduzione di Giordano Bruno Guerri.
Marcel Boulenger, Chez D’Annunzio, Odoya, pp. 150, ill. € 14

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