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venerdì 25 maggio 2018

Il sogno di Scalfari

Diderot-Scalfari, accoppiata da sogno. Senza ironia, Scalfari culmina una vita operosa con la riflessione sulle questioni ultime. Da vetero-neo illuminista – anche se l’illuminismo esercita come sempre in modo selettivo.
La pietra sente? Galateria dice il “Sogno di D’Alembert” “il capolavoro della letteratura materialista”. Nel senso della lettura, probabilmente. Anche se c’è troppo e si va di fretta, come alla spesa al supermercato: fisica, fisiologia, etica, tutti i temi e i problemi sono affrontati e asseverati in chiave materialistica dai tre personaggi della pièce, D’Alembert, Julie de l’Espinasse, e soprattutto Bordeu, clinico illustre – che però viene da Montpellier, anche lui, come Rabelais... Fino all’onanismo e all’omosessualità, multigender. Ma l’argomentazione è semplice, troppo, benché lunga.
Scalfari la raddrizza, limitandosi a richiamare il “mistero” della mente. Il suo titolo riprende da una prova di Dio, o della creazione, poetica di Fontenelle, “Conversazioni sulla pluralità dei mondi”, cui lo stesso “Sogno di D’Alembert” accenna: delle rose la cui memoria non va oltre il giardiniere, e il giardiniere si dicono unico - “abbiamo sempre visto lo stesso giardiniere”. A Diderot deve molto, in particolare la formazione dell’Io, dei tanti Io, con cui ha avviato nel 1994, in contemporanea con questo “Sogno”, la sua riflessione filosofica, “Incontro con Io”.Ma qui si contiene, a un quarto del falso D’Alembert-L’Espinasse: un esito gradevole, di brio e concisione. E un calco apprezzabile di Diderot. Ma quasi un pastiche - da non escludere, considerandone l’indefettibile ironia (lo spiritaccio calabrese della “zannella”?): sembra una caricatura. Nel linguaggio e nella conclusione – il creato come una “monarchia costituzionale”.
Sul tema scalfariano, peraltro, lo stesso Diderot aveva già provveduto, nell’articolo “Enciclopedia” della sua Enciclopedia, che Daria Galateria riprende in fine: “Una considerazione soprattutto non bisogna perdere di vista: se si bandisce dalla faccia della terra l’uomo o l’essere pensante e contemplante, lo spettacolo patetico e sublime della natura diventa una scena triste e muta”. Questi illuministi amano scuotere le verità, anche le loro.
È la riedizione della compilazione promossa da Elvira Sellerio per la sua casa editrice nel 1994 - che viene ripubblicata, in contemporanea con Repubblica-L'Espresso. Con il “Dialogo tra D’Alembert e Diderot”, anch’esso scritto interamente da Diderot. E un ampio saggio di Daria Galateria che è la parte più godibile della compilazione e vale la lettura: l’illuminismo si illumina. A partire dal concepimento del “Sogno”, “nel cuore dell’afosa estate del 1769”.
È curioso che Diderot abbia sentito il bisogno di “dialogare” con D’Alembert, da cui si era estraniato da anni e che non  stimava. E con la di lui ninfa egeria, la matura e brutta de L’Espinasse, benché apprezzata per il suo salotto da tutta la Parigi intellettuale. Per di più insolentendo entrambi. Galateria una ragione ce l’ha: “D’Alembert era per divertirsi”. L’enunciato eversivo – ma poi così tanto? – era “più piccante in bocca al prudente D’Alembert”.
Molto Diderot si perdonava e gli viene perdonato, il consulente a stipendio della zarina di Russia. Era ottimo scrittore, quasi quanto Voltaire. Ma filosofo? 
Diderot-Scalfari, Il sogno di D’Alembert-Il sogno di una rosa, La biblioteca di Repubblica-L’Espresso, pp. 159 € 10
Sellerio, pp. 181 € 10

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