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venerdì 23 novembre 2018

il mondo com'è - 360

astolfo


Deterrenza – Non c’è deterrenza possibile nell’era dell’informatica. Un equilibrio del potere di distruzione. È la conclusione di Kissinger, “Ordine mondiale”, dopo l’analisi della pervasività dell’informatica stessa. “La deterrenza, che, nel caso dell’armamento nucleare, prese la forma del bilanciamento del potere di distruzione, non si può applicare per analogia diretta, perché il pericolo più grave è un attacco senza preavviso, che si può cioè rivelare quando la minaccia si è realizzata”. E la risposta è indefinita: attaccare il computer, il suo utilizzatore, il paese in cui vive?

Limitazione informatica – Un “accordo di non proliferazione” è necessario in materia informatica, poiché l’informatica detta l’“ordine mondiale” del prossimo futuro. Almeno quello che Kissinger ha delineato nel saggio con questo titolo: l’ordine mondiale nel prossimo futuro sarà digitale, retto dall’informatica. Dopo la religione, la ragione e il nazionalismo, “la scienza e la tecnologia sono i caratteri dominanti della nostra epoca”.
Un saggio del 2014, in cui, pur dichiarandosi cyberanalfabeta, l’ex segretario di Stato americano anticipa molto di quello che in questi quattro anni è già avvenuto. Non arriva all’intelligenza artificiale, ma ne conosce e pone i presupposti. Basandosi sulla “legge di Moore”, la profezia cinquant’anni fa di un ingegnere di Intel: “La novità dell’era attuale”, nelle parole di Kissinger, “è il tasso d’innovazione del potere informatico e l’espansione della tecnologia dell’informazione in ogni sfera dell’esistenza”. La vita è sempre più cyberizzata, quella quotidiana e degli affari, e fino alla politica e la difesa: “Un «Internet delle Cose» o un «Internet di Ogni Cosa» incombe”, nel 2014: “Gli innovatori prevedono ora un mondo di ubiqua informatica, con congegni miniaturizzati di trattamento dati inseriti negli oggetti quotidiani - «serrature intelligenti, spazzolini, orologi da polso, macchine da fitness, rivelatori di fumo,videosorveglianza, forni, giocattoli e robot» - o galleggiando nell’aria, sorvegliando e modellando l’ambiente nella forma di «polvere intelligente». Ogni oggetto va connesso a internet e programmato per comunicare con un server centrale e altri meccanismi di rete”.
Anticipa il Russiagate, quale che sia quello americano che non si sa definire: “La complessità è accresciuta dal fatto che è più facile montare attacchi cyber che difendersene, incoraggiando probabilmente un intento offensivo nella elaborazione di nuova capacità. Il rischio è accresciuto dalla plausibile negabilità dei sospettati di tali azioni”. Se anche Putin si è intromesso, può negarlo senza rischio.
L’argomento è semplice: “Un portatile può produrre conseguenze globali”. Kissinger ci arriva da scienziato politico, sulla base di casi già precisi. L’attacco virale americano Stuxnet, contro la capacità nucleare iraniana. L’attacco botnet (una rete di computer infettati da malware) della Russia in Estonia nel 2007, che ha paralizzato le comunicazione per giorni – un’esercitazione. L’uso strumentale dei social, a partire dalle presidenziali americane del 2012: “È stato detto che nel 2012 le campagne elettorali (le organizzazioni delle campagne elettorali, n.d.r.) avevano schede su decine di milioni di elettori potenzialmente indipendenti. Messe assieme attraverso le reti social, gli schedari pubblici, e la documentazione sanitaria, queste schede realizzavano di ognuno un profilo, probabilmente più preciso di quanto l’interessato sarebbe stato capace di realizzare con la sua propria memoria”.
Di suo Kissinger nota che le campagne elettorali si sono trasformate in “confronti mediatici tra operatori internet”. Nei quali i candidati si riducono a “portavoce di operazioni di marketing” – elettorale certo. Questa non è del tutto una novità: il candidato ha sempre cercato di anticipare i bisogni dei suoi elettori o comunque di allinearvisi. Ma nell’era informatica non ha più la capacità di influenzarli, di meglio indirizzarli. Ha un ruolo passivo e non attivo.
Da statista Kissinger va più in là. Il terrorismo digitale può avere conseguenze molto più letali di quello islamico o di ogni altro genere già sperimentato. Anzi, si avventura fino a dire che “la prossima guerra” si combatterà in rete. Sempre partendo dal fatto semplice del portatile che “può avere conseguenze globali”. Anche senza complotto: “Un attore solitario con sufficiente capacità di calcolo può accedere al cyberdominio per disabilitare e potenzialmente distruggere infrastrutture chiave, da una posizione di quasi completo anonimato”.
La rete ha innovato l’arte militare ma non solo: ha indebolito o sconfitto le dottrine tradizionali della Auctoritas, del potere delle istituzioni. Se “individui di oscura affiliazione” possono colpire obiettivi sensibili, “la stessa definizione di autorità statale può diventare sfuggente”. Per questo ritiene necessario un accordo sull’uso del cyberspazio analogo a quelli suoi sui missili e la potenza nucleare. “Una qualche definizione di limiti”, chiede, in “un accordo su regole di reciproco autocontrollo”.
Il realpolitiker si fa a questo proposito profetico: il cyberspazio è “strategicamente decisivo”. Il quadro è semplice: “Azioni intraprese nel mondo virtuale interconnesso possono spingere a contromisure nella realtà fisica, specie quando quelle azioni hanno la potenzialità di infliggere danni paragonabili a quelli di attacchi armati. Senza una qualche definizione dei limiti e senza un accordo su regole di reciproco autocontrollo, è probabile che una situazione di crisi si innalzi anche al di là delle intenzioni: il concetto stesso di ordine internazionale può subire tensioni crescenti”.

Non proliferazione -  Il trattato internazionale probabilmente più disatteso e anzi tradito, subdolamente, della storia, nei fati e nelle potenzialità. Nel 1968 Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna firmavano il trattato di non proliferazione nucleare. Che limitava l’armamento nucleare dei firmatari allo stato della firma, e restava aperto all’adesione di potenze già nucleari e non, con l’obiettivo di farlo diventare obbligatorio sotto l’ombrello Onu. Nel 1992 aderivano Francia e Cina. Molti paesi non nucleari, tra cui l’Italia, avevano aderito. Molti altri che avevano aderito, come l’India, il Pakistan e Israele, la Corea del Nord (è uscita dal Tnpo nel 2003), probabilmente anche la Corea del Sud, hanno sviluppato un arsenale nucleare. Altri sono potenzialmente in grado di realizzare armi nucleari – l’Iran è il caso eclatante. Anche perché la relativa tecnologia è sul mercato.

Tedeschi - Anche Heidegger era per l’incertezza. “Nessuno pensa a come stiano le cose riguardo ai tedeschi”, lamenta in “Note I”, il primo dei “quaderni neri” del dopoguerra, all’inizio dell’occupazione,”se essi siano ancora o siano una buona volta in sé, se sappiano affatto chi mai essi stessi siano, se siano capaci di pensare per approdare a questo sapere, se essi possano entrare nel tempo lungo del ricordo, nel quale finalmente prospera la verità della loro essenza”. Con una conclusione che aggiunge all’incertezza, a proposito di questa verità: “La quale verità è: essere la comunità pastorale”, il greggiame, Hirtertum, “dell’Occidente, della ‘terra della sera’, perché la sera è il tempo e la terra il suo spazio”….

astolfo@antiit.eu

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