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sabato 13 aprile 2019

Quando il male diventò relativo

Papa Ratzinger, che Magris dice nelle stesse ore (“Tempo curvo a Krems”) “sempre a disagio e imbranato nel suo abito bianco”, pubblica sul “Corriere della sera”, d’accordo il segretario di Stato vaticano Parolin e lo stesso papa Francesco, un testo sulla diffusione dell pedofilia nella chiesa, preparato per la riunione sullo stesso tema a fine febbraio, convocata dal papa, tra i presidenti delle conferenze episcopali. La cosa è stata subito annegata nella lettura politica: Ratzinger ha lanciato un siluro al papa. Ed è un male. 
Non è un novità, Ratzinger silura Francesco sia che parli sia che non parli. Ora anche su un argomento non politico – non divisivo - come la pedofilia. È la tara dei media che si vogliono impegnati, vaticanisti compresi: superficiali e complottisti. Non sanno dire altro - è la sindrome Pd,  ex Dc. Un altro giornalismo quanto avrebbe scoperto e raccontato sulla scia del papa emerito? Perché dice molto che non si sapeva, e lo spiega anche.
Ratzinger è sempre quello, che lamenta il lassismo e il relativismo. Ma dice anche cose. Che negli anni 1960 il giusnaturalismo fu abbandonato, il riferimento tradizionale per definire la teologia morale cattolica, a favore della Sacra Scrittura: “Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova compren­sione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi comple­tamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia”. Si affermò cioè “la tesi per cui la morale dovesse essere definita soltanto in base agli scopi dell’agire umano”. Per cui non ci sono più “azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvage”.
Tra queste quelle sessuali. Che diventarono dominanti nei seminari. “In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano in­sieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati, in parte accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale”.
Questo avveniva specialmente negli Stati Uniti. Roma ne fu informata. Una Visita pastorale fu disposta, ma portò poche informazioni. Una seconda Visita fu effettuata, e la cosa cominciò a emergere. Ma non c’era una procedura o un criterio per intervenire, etc. - la storia recente.
Quanto è vero dell’analisi di Ratzinger? Senza andare lontano, nelle stesse ore in cui il suo testo  veniva recapitato al “Corriere della sera”, il settimanale “La Lettura” dello stesso quotidiano raccoglieva a Firenze parole quasi identiche dal politologo francese Olivier Roy, più noto come islamista. Roy, protestante di nascita, ricorda a Marco Ventura come venne alla politica, nel 1968, sull’assioma “l’individuo che desidera è il fondatore dei valori e della morale”. In sintesi: “La nostra rivoluzione era la fine dell’ipocrisia dell’ordine morale. Lottavamo contro la borghesia che si finge cristiana e fa abortire clandestinamente le domestiche…”, Roy va avanti con questi argomenti da polemista, non pentito né critico. Ma preciso sulle cose del movimento: “Lo slogan era: «Il desiderio per tutti». Anche per i bambini. Era forte la tendenza alla pedofilia”. Cohn-Bendit, si può aggiungere, leader del Sessantotto a Parigi, poi maestro d’asilo autogestito a Francoforte, nel 1978 già scriveva delle memorie, in cui non ricorda nulla, se non le seghe che s’era fatte fare dai bambini.
Non è tutto. Roy, giovane protestante incuriosito dalla reazione dei cattolici (“i coetanei cattolici li capivamo poco: c’è la pillola e lasciate ancora che si controlli cosa fate a letto?”), ancora più meravigliato assiste a quella che chiama “l’auto-secolarizzazione”: “I preti si tolgono l’abito, la messa non è più in latino, non c’è più l’inferno… Si traducono i valori religiosi in valori laici: la dignità, la libertà, la vita. Nasce la teologia della liberazione: non si può cercare la salvezza personale se la società non è stata prima liberata”.  

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