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venerdì 12 aprile 2019

Il Rinascimento gay

Il Rinascimento è fiorentino, Firenze è “bucaiola”, il Rinascimento è “bucaiolo”. Il sillogismo è inattaccabile. Per settecento pagine anche noioso. Ma, a parte la fissa sodomitica, questo Fernandez, l’autore di Porporino, il traduttore di Penna e Pasolini, ora accademico di Francia, è molto altro. Un viaggio nel Cinquecento, secolo in Italia pieno di sorprese. Una esumazione di molta arte trascurata o dimenticata. Un excursus raffinato e documentato nella cultura italiana all’epoca – con un solo errore forse: Berni che dileggia, tra i tanti, anche Tasso. Tanto più apprezzabile oggi, nella cancellazione che la stessa Italia sta facendo di se stessa.
Una rivendicazione di Pontormo e Bronzino pittori. Nell’insieme del primo Cinquecento. Di uno spicchio di esso, a Firenze dopo la restaurazione dei Medici. Un tempo e un luogo in cui l’interesse principale, politico e di strada, era l’arte, tra invidie e congreghe di artisti, all’ombra di Leonardo morto e di Michelangelo romano. Tra gli artefici manuali della “cosa mentale” per la quale Michelangelo da lontano protestava presso il duca Cosimo, che all’artista desse statuto autonomo, fuori dall’artigianato.
Una rappresentazione di Firenze gay, al riparo dalle tante leggi contro la sodomia. Cosimo duca e poi granduca dei Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e di Maria Salviati, personaggi esimi, oscurati. La duchessa Eleonora de Toledo, altrove celebrata, ridotta qui a piccola spagnola bigotta, e pondeuse, ovaiola – ma la volta della sua cappella privata non inalbera stupefacenti frontali amschili, dipinti dallo stessso Bronzino? Non si fanno più figli a Firenze, Cosimo deve provare vari programmi demografici. “Romanzo fiorentino” è il sottotitolo, da intendersi  alla lettera, e nel sottinteso che fa il fiorentino un “bucaiolo”.
Il filo conduttore è il rapporto di Bronzino con Pontormo, che da apprendista lo ha iniziato alla sodomia, fino alla vecchiaia e morte del maestro. Un modello che Bronzino ripete con Alessandro Allori. Con Benvenuto Cellini di contorno, che anche lui non si fa mancare il Bronzino, ma da sodomita professo di contorno, “Je suis Benvenuto Cellini”, usa dire alla Catherine Deneuve, anche dei vent’anni che passa con Francesco I in Francia.
Agnolo “Bronzino”, pittore poligrafo, di versi e prose, ha scritto una vita del Pontormo e sua propria, in cui l’autore s’imbatte spulciando tra gli scaffali di una libreria antiquaria specializzata in libri d’arte, a Firenze, a Borgo Ognissanti. Una mattina, dopo il ricostituente cappuccino servito nel bar adiacente da due poderose lesbiche. Un colpo di fulmine per Fernandez: “Uno dei due pittori italiani del Rinascimento che amo di più raccontava la vita dell’altro e, per contraccolpo, la sua”. Facendo giustizia delle “malevolenze e calunnie di Giorgio Vasari”, storico dell’arte “leale nella più parte dei suoi giudizi, salvo su Jacopo Pontormo, di cui ha compromesso la reputazione con un verdetto perfido”.
Del resto, la fissa di Fernandez è storicamente vera. Non ci sono belle donne nei quadri e tra le statue di Firenze all’epoca d’oro – donne e non madonne. La Judith di Donatello non è il solo fallimento di questo scultore? la Notte e l’Aurora di Michelangelo donnone (hommasses) da far paura?, può riflettere a un certo punto Alessandro, “Sandro” per il maestro-amante Bronzino, Allori: “Né la mia Galatea, inqualificabile schifo, né la Venere che lui stesso (Bronzino) ha dipinto su un cartone di Michelangelo, né le Bagnanti o le Veneri di Giambologna possono smentire la sua asserzione che il corpo femminile è indegno di fornire un soggetto all’artista”. Non è vero, ma è l’argomento del sodomita Bronzino.  Che Fernandez può sostanziare con la constatazione: i veneziani fanno gli uomini sempre vestiti, le donne nude, mentre i fiorentini, al contrario, denudano gli uomini
Un monumento a Firenze. Lungo, noioso, specie per la parte erotica, che è il filo conduttore, ossessiva senza essere immaginativa. Forse per rispetto alla storia, all’aneddotica. Il cardinale patriarca di Venezia scaglia le prostitute seminude per le strade per sviare i veneziani dalla sodomia - “la vuole importata recentemente dalla Turchia” - e avviarli a un programma di incremento demografico urgent. Bronzino, novello Candido nella psedo-memoria, se lo fanno senza che lui se ne accorga, sia Pontormo che Cellini. Pontormo disegna, a pietra nera, a sangugina, il Bronzino quattordicenne, nudo, muscoloso,”con la prima e la sola erezione mai tentata in arte”, che ejacula, “il glande all’altezza dell’ombelico” – e sogna che il ragazzo, fra un paio d’anni, faccia a lui “il servizio”. Con lunghe serie, ripetute, di sinonimi del pene: il “coso”, in italiano, per non dire il cazzo, la “coda”, che in francese è il pene, e così via. “Turchificare” è il ritornello, goloso, con qualche neologismo – o è idioletto, di genere? - che il Petit Robert non registra, p.es. papaouter.
O forse in omaggio alla poetica: che “la letteratura è impotente a rendere conto dei progressi della seduzione erotica altrimenti che con cliché (a meno che non accetti di mostrarsi molto grossolana)”. Allusiva quindi più che narrativa, giudicando “l’ellissi più suggestiva e attraente che la minuzia descrittiva”. Ma di fantasia cruda, come è delle storie gay, qui centrata sullo sverginamento. Di Bronzino, di Alessandro Allori e, al culmine, di Pierino da Vinci. Con cui la relazione s’incanaglia, dopo lo sverginamento, mentre lui s’inferma e muore come la Traviata.
È una fissa – è scritto, si legge, come tale. Non ci sono donne, nemmeno una – Bianca Capello ci fa la figura della escort. Rosso Fiorentino, Parmigianino, nessuno sfugge agli amori tra uomini.  Botticelli pure, che poi si è “coperto” col nudo di Venere sulle acque, “per farsi perdonare tante vergini androgine, e tanti ragazzi e angeli ancora più equivoci”. Anche, un po’, Donatello: fa statue di cui s’indovinano i corpi, sotto lo scudo o l’armatura, corpi maschi. E un uso estensivo della “Cipolla”, il poema che Bronzino venne scrivendo a lungo, con “code”, anche qui, attorno al “bell’anello” al centro della cosa. Non c’è Leonardo, Pierino da Vinci è però suo nipote, l’amore amato per sempre da Bronzino, amasio di Luca Marini, l’ingegnere del duca Cosimo. E ci sono naturalmente gli “Ignudi” della Cappella Sistina, la ventina di giovanotti che non c’entrano nulla con la Bibbia, muscolosi e nudi, con vistose “code”, unico indumento la fascetta, che era il marchio degli eroti al tempo di Platone. Alcuni di essi si appoggiano col bracco a una montagna di glandi. Tutti bianchi eccetto il più palestrato, che è bruno, Paolo di Pietro, “il giovane maestro palombaro che Michelangelo ha follemente amato: si assentava dal cantiere – quante volte Giulio II gliene fece rimprovero! – per andare a prendere con lui  bagni di sole al bordo del Tevere, in un posto dove si nuota e ci si asciuga nudi”, etc. .
É tuttavia un grande lavoro, appassionato. Documentato, preciso. Un’opera colossale di ricostruzione delle arti, la pittura e la scultura, nel loro farsi anche pratico: i committenti, le loro ragioni, la visione dell’artista, i problemi etici e pratici di trasposizione del soggetto, i riferimenti allora necessari alla tradizione classica (mitica) e confessionale, dei testi sacri fin nelle loro sfumature, o significati riposti, la realizzazione, con mezzi e mezzucci, l’accettazione, l’utilizzo. Fatti per lo più trascurati dalle storie, che persò sono quelli che consentono la produzione artistica: . La committenza, l’iconologia, il mercato.
C’è pure la “processione” per la prima edizione delle “Vite” di Vasari, da palazzo Vecchio allo stampatore e ritorno, con la copia portata in alto su un manto di raso. Il vanaglorioso pittore di palazzo Vecchio, che si incaricherà nel “Supplemento” di “assassinare il coro di San Lorenzo”, il capolavoro del Pontormo, l’opera con cui il duca Cosimo puntava a strappare a Roma, nella chiesa di famiglia, il primato delle arti – di cui il fiorentino Michelangelo aveva insignito la città dei papi. Non era difficile: il Cinquecento italiano è una miniera d’oro a cielo aperto – al confronto con l’Italia oggi, poi, che vive di cialtronesche influencer, ritoccate al photoshop - ma bisognava dedicarvisi. Fernandez lo ha fatto.
Un indice dei quadri, disegni, affreschi, con rinvio alle pagine, agevola la lettura.
Dominique Fernandez, La société du mystère, Livre de poche, pp. 684 € 8,90

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