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martedì 26 novembre 2019

Secondi pensieri - 402

zeulig


Analisi – Induce la depressione? Attraverso la reiterazione, anche per lunghi e lunghissimi periodi, per molti a vita, della confessione. Che non è la confessione al giudice o al prete, la scansione di un evento, quindi in superficie, ma uno scavo, alla ricerca del fossile o del reperto che ci deve essere.  Una forma di autoflagellazione che induce colpevolezza o inadeguatezza più che risoluzione e decisione - liberazione.
Il riesame di se stessi, prolungato, ossessivo, con la scusa di dipanare matasse e grovigli, di trascuratezze, rimozioni, colpe, è una forma subdola di confessione: non espelle – oggettivizza. Non libera in realtà, condanna. Non con un giudizio una tantum, appellabile. Anzi, senza giudizio. Se non la propria volontà, che però il procedimento vuole sbriciolare e non corroborare. Da ognuno pretendendo che riconosca il male, con infiniti artifici, senza distacco. Impegnando tutto se stesso. In un cammino senza uscita. Una forma si direbbe “classica” di sadomasochismo – una trappola da cui non ci si libera.
Una terapia che non risolve è essa stessa una patologia, indotta – colpevole. Si registra, statisticamente, nei tumori, le cure dei quali richiedono la convinzione del paziente. È l’esito di un’aspettativa delusa.
La diffusione della depressione in contemporanea con quella della psicoanalisi, volgare e no, può anche essere significativa, di causa a effetto.

Suicidio - In antico la colpa portava al suicidio. Poi, con metodo cristiano, al pentimento e alla penitenza. Sant’Agostino naturalmente è contro. Ma non senza ragioni. “Dov’è la forza di quest’uomo tanto vantato?”, si chiede di Catone, “non è stato piuttosto per impazienza che per coraggio che questo famoso Catone s’è data la morte, e per non aver potuto ammettere la vittoria di Cesare?” E dei peripatetici, che dicono, “con ragione, che è il primo grido della natura che l’uomo ami se stesso, e pertanto che abbia un’avversione istintiva per la morte”, per poi soccombere ai mali uccidendosi, che dirne, “se gli stessi credono alla verità come credono alla morte?” 

Il suicida di Borges è molto pieno di sé, che dice: “Lascio il nulla a nessuno”.

Wittgenstein, dei cui quattro fratelli tre si suicidarono e uno, il primogenito molto amato, pianista avviato, tornò dalla guerra senza un braccio, lo dice illecito: “Se è lecito il suicidio, allora tutto è lecito. Se esiste qualcosa che non è lecito, allora il suicidio non lo è”. Oppure no: “Oppure il suicidio in sé non è né buono né cattivo”.
Il fatto è oscuro per Wittgenstein in quanto “esso getta una luce sull’essenza dell’etica. Poiché il suicidio è, per così dire, il peccato fondamentale. E quando lo si interroga è come se si interrogasse il vapore di mercurio per capire l’essenza dei vapori”. Sfugge.
Il suicidio è problematico (per l’etica, il diritto, i rapporti umani), non è un “atto” isolato. Lo è testualmente, ma la vita non è un fatto isolato.

“Nessuno è autorizzato a togliersi la vita, dato che non è sua”, è riflessione di Joseph Roth, “Autodafé dello spirito”, 87. Il poeta Evtushenko è più radicale: “Sappiate che esistono solo omicidi.\ Al mondo nessuno si è mai suicidato”. Ma proprio i legami tra legami tra narcisismo e suicidio indaga una delle poche analisi scientifiche in materia dopo Durkheim, quella di Paul Mathis, “I percorsi del suicidio”, 1979: Mathis, neurologo analista, École Freudienne di Parigi, indaga la diffusione del suicidio tra gli scrittori.
I casi sono molti, anche non elencati da Mathis.
Salgari ci provò dapprima eroicamente, buttandosi su una spada, ma non l’aveva ben fissata. Poi con un brutale harakiri, in un boschetto isolato – ma il rasoio era affilatissimo. Lasciando ai figli  diritti d’autore che lui non aveva avuto in vita, e tanto rancore.
Kawabata si uccise da vecchio, e semplicemente col gas, ma dopo un sogno ininterrotto di Mishima, suo protetto e amico, che si tagliava il ventre con la spada: lo stesso incubo per due-trecento notti di seguito. Mishima aveva scelto di eviscerarsi, a soli 45 anni, in diretta tv, nell’ufficio di un generale, dopo l’esaltazione al balcone del Giappone e dell’imperatore, e l’esecrazione dei trattati di pace e della costituzione democratica.
“Scriverlo mi ha uccisa”, scrisse del suo quarto dramma, “Sinfonia per voce sola”, Sarah Kane, nel biglietto con cui spediva al suo agente la sua quinta opera, “4.48 Psychosis”, per poi uccidersi – si impiccò con i lacci delle scarpe in un bagno del King’s Hospital a Londra, dove si era ricoverata per aver reso troppi farmaci.

Lo stoico lo auspica. Baudelaire dirà lo stoicismo una religione con un solo sacramento, il suicidio. Fra gli stoici suicidi merita speciale menzione Seneca, che filosofò l’etica austera ma accumulò ricchezze in Britannia col prestito a usura - a tassi che spinsero i Britanni della regina Boadicea, secondo Dione Cassio, a ribellarsi.

Quello pubblico, di Catone e della libertà  romana, o della elefantessa in cattività allo zoo di Roma, è poco artistico, rileva Corrado Alvaro (“Il mammismo”, in “Il nostro tempo  la speranza”): “Il dramma di Catone che si uccide per la libertà perduta è il solo suicidio che percuota di reverenza l’antichità e i teologi  stessi e Dante. Ma suscitò sempre mediocri opere d’arte, mediocri tragedie, e  solo qualche buon elogio accademico. È la vita che suscita il dramma, è la sopravvivenza agli orrori, ai lutti e alle catastrofi. Anche al colmo della disperazione, il dramma antico non conosce il suicidio, come non lo conoscono, in genere, le belve”. 

Ovidio ha l’empio che si sbrana “con morsi spietati” - e “così lo sciagurato le sue membra smagrendo nutriva”. Ma fino a un certo punto evidentemente.
È l’autofagia, come modalità di suicidio, suggestiva e non reale? Non solo Erisittone, ogni uomo morde incontinente se stesso.

Il primo in chiave eugenetica, di una propria decisione autonoma, senza costrizione o motivo specifico, è quello di Paul Lafargue, l’auore di “Elogio dell’ozio”. In una con la moglie Laura Marx, figlia di Karl, la bella della famiglia. Nella notte dal 25 al 26 novembre 1911, lui di 69 anni lei di 66, iniettandosi l’acido cianidrico, nel loro villino di Draveil, vicino Parigi. Con queste ultime volontà di Paul: “Sano di corpo e di spirito, mi uccido prima che l’impietosa vecchiaia che mi leva a uno a uno i piaceri e le gioie dell’esistenza e mi spoglia  delle forze fisiche e intellettuali non paralizzi la mia energia, non frantumi la mia volontà e non faccia di me un onere per me e gli altri”.

Tempo – Si sottrae e non si aggiunge. È una variabile costante, che si disperde – si accumula, ma nella dispersione. La mobilità lo consuma – spesso lo annienta. Il lavoro ben fatto pure. O l’innovazione, quella veloce odierna: incredibile il tempo che “si perde” con la tecnologia digitale, per le continue innovazioni, le sospensioni del servizio, le riparazioni (le più semplici richiedono conoscenze specifiche). È come se il tempo non esistesse per il digitale, sia quando sveltamente come è nella sua natura funziona sia quando è in riparazione – è come se si prospettasse agenti piatti: utenti, manovratori, ricettori, soggetti umani a due dimensioni.

Tristezza – Michelet la impersona nel mare: “Le nobili e alte tristezze, che sono le migliori impressioni del mare” (“Il mare”, III). Una sorta di elemento liquido, si direbbe con terminologia corrente, amniotico, energetico: “C’è tristezza e tristezza, quella delle donne, quella dei forti, quella delle anime troppo sensibili che piangono su se stesse, e quella dei cuori disinteressati che per sé accettano la sorte e benedicono sempre la natura, ma sentono i mali del mondo , e attingono nella tristezza stessa le forze per agire o creare”. Una condizione o stato d’animo” che si può nominare la malinconia eroica!”


zeulig@antiit.eu

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