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sabato 2 maggio 2020

Dante cantabile

La “Divina Commedia” in ottonari. Il verso, nota lo stesso Ceccatty, del “Corriere dei Piccoli”, delle filastrocche, di “quant’è bella giovinezza\ che si fugge tuttavia”, delle arie d’opera, di Pessoa – e dei cantastorie. Senza un sola nota di spiegazione. Un verso cantabile, come alla fin fine si vuole il poema, che è in ogni piega “musicale”, invece del solenne alessandrino, o dell’endecasillabo.
René de Ceccatty ha voluto aggiungere una versione pop, o meglio rap, della “Commedia” alle tante già in uso in francese. Rifacendosi al Dante “romanzesco” e “realista” quale lo voleva Elsa Morante, che cita in esergo. Traducendo il poema in versi ma mettendolo in rapporto col pubblico. A cui lo stesso Dante si rivolge, sedici volte (al modo dei cantastorie, si può aggiungere) – “secondo una postura narrativa che sarà spesso ripresa dagli scrittori, fino a Violette Leduc e Jean Genet, passando per Villon, Baudelaire, Stendhal e Lautréamont”. Confrontandosi a Dante dal vivo, invece che al monumento. Fino a ipotizzare una sorta di “bottega” del poema, altrimenti di “impossibile” fattura.
L’ipotesi – “il sospetto” – che Ceccatty butta lì, in breve, tra parentesi, “che il libro non è di una sola mano”, sembra eretica. Ma a ripensarci persuasiva: che Dante possa avere lavorato al poema in analogia con i maestri delle arti applicate, la pittura, la scultura. Rime ripetute, rime astruse, neologismi in serie, talvolta senza senso altro che il suono, danno l’idea del lavoro creativo quale è stato, impervio. Con possibili rifiniture, quindi, di scuola. La bottega non c’è, la vita e l’opera di Dante non sono un mistero, ma la possibilità è seducente.   
Sulla scia della traduzione calzante, filante, ritmata di Jacqueline Risset, e mentre se ne prepara una nuova per la Pléiade, in sostituzione di quella di André Pézard, l’anno venturo per le celebrazioni, questa “popolare” di René de Ceccatty, la fortuna di Dante in Francia non ha soste. Maggiore che in Italia, si direbbe, a giudicare dalle continue riproposte. Non di tutto Dante, del poema. E al modo, Ceccatty ora dopo Risset, come De Sanctis consigliava di leggere il poema  senza note. Ma Ceccatty, pur semplificando, tiene ben presenti nell’ampia introduzione il “Convivio” e la Vita Nuova”.
Il linguaggio di Dante è complesso, è il ragionamento del traduttore irriverente: “Digressioni astruse, allusioni mitologiche o politiche, metafore complicate, personaggi designati per un gesto, una battaglia,una città, città evocate da un fiume, stagioni suggerite da un segno zodiacale…”. Dante non si può leggere senza le note? Volendo farne a meno, bisogna semplificare il poema. Ma la semplificazione, assicurare la “leggibilità”, non è operazione da poco. Ceccatty avverte che ha sacrificato molto del poema: parole o immagini speciose, di significato incerto, intraducibili o insignificanti in francese. Difficile, ammette onesto, anche rendere la varietà e complessità semantica e lessicale: Dante spazia tra varie lingue, il latino, l’ebraico, il provenzale (non l’arabo…), i giochi di parole, e perfino gli anagrammi (“515”, possibilmente anche il “pape satàn”). La sua traduzione considerando egli stesso nella premessa “un sistema riduttivo”. Filosoficamente: “Ogni traduzione è inesatta”. Anche solo tradurre “follia”, “cielo”, “inverarsi”, “segno”, parole comuni, è arduo.
Ceccatty è modesto, del poema e di Dante avendo opinione come di entità irraggiungibili – “il Paradiso può essere considerato un’opera filosofica a parte intera che annuncia quella di Leibniz”. Anche se c’è ironia nella cantica, Ceccatty la trova evidente. Beatrice del resto denuncia come severa e non amorevole, in immagine evocando quella di Caterina Boratto, la madre di Giulietta Masina in “Giulietta degli spiriti” - se non saccente, “una chiacchierona impenitente”.
Una traduzione svelta. Anche come applicazione, dice Ceccatty: in poco tempo, pochi mesi, viaggiando da Parigi a Montpellier per l’insegnamento, e in vacanza in Canada, in Italia e alla Réunion. In aereo, “luogo predestinato per questo lavoro”. E a Spoleto e in Umbria. Ma soprattutto a Parigi. Partendo da un omaggio – un monumento - alla traduzione di Jacqueline Risset, la poetessa franco-italiana scomparsa sei anni fa, grande cultrice di Dante - tentò anche di farlo al cinema con Fellini. Anch’essa si era posta “la necessità della leggibilità”, spiega Ceccatty, e c’è riuscita, senza tradire il poema, per la “sua sensibilità poetica”: “Poeta lei stessa nelle due lingue, italiano e francese, sa perfettamente ciò che vuole dalla poesia, fatta di concentrazione e folgorazioni, che ricerca e riproduce in francese”. Per cui “la versione di Jacqueline Risset è la sola che dà un’idea della vita, dell’invenzione, dei cambiamenti di ritmo, degli effetti di realismo, della sensualità, degli scherzi o dei momenti di profonda meditazione, di questo testo sempre inatteso”.
Una nuova traduzione con un atto di resa. Curioso. Ma il Dante cantabile non è del tutto un tradimento. Vale sempre il suggerimento di Dorothy Sayers, che traducendo il poema in inglese nel 1949 consigliava di leggerlo di seguito, come un racconto di avventure.  
Dante, La Divine Comédie, Points, pp. 695 € 13,90

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