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venerdì 29 maggio 2020

Il mondo com'è (404)

astolfo
Alsaziano – È Il cane pastore tedesco, ribattezzato “alsaziano” in Francia e Inghilterra dopo la guerra del 1914-1918 in odio alla Germania.
 
Fritz BauerÈ un giudice tedesco, ebreo, emigrato al tempo di Hitler dopo una breve carcerazione, dapprima in Danimarca, poi in Svezia, esponente socialista di primo piano, animatore nell’esilio anche di una “Sozialistische Tribüne” con Willy Brandt, tornato in patria nel dopoguerra e reintegrato. Si impegna soprattutto nei dossier sulla persecuzione antisemita. Ma con difficoltà: a lungo non riesce a scuotere il torpore, la voglia in Germania di rimuovere gli anni di Hitler, e anzi viene ritenuto un mestatore. È lui che indirizza il Mossad su Eichmann in Argentina, dopo che la Germania ha rifiutato di estradarlo e processarlo. Scopre anche che in Argentina Josef Mengele, il famigerato dottore dei lager, che conduceva esperimenti dal vivo sulle carni dei gemelli, risiedeva in tutta tranquillità, poiché nel 1956 aveva ritirato al consolato tedesco un passaporto a suo nome.
I rapporti di Bauer erano del resto difficili anche con Israele. Abitato e governato da ebrei dell’Est Europa prevalentemente, che non amavano gli ebrei tedeschi, ritenuti supponenti. La prima volta che Bauer si recò a Gerusalemme il fondatore e capo del Mossad Isser Harel gli oppose brutale: “Io mi occupo degli ebrei vivi, non degli ebrei morti”. E quando infine il Mossad decise il colpo di teatro del rapimento e il processo di Eichmann, Bauer non ottenne in Germania, benché fosse una personalità di rilievo, di farlo estradare: un processo a Francoforte, dove era la sua giurisdizione, avrebbe significato smascherare troppe complicità. Una eventualità che non solo Adenauer, il cancelliere degli anni 1950-1960, ma anche gli americani non potevano permettersi.
Su Bauer si è esercitato ultimamente Olivier Guez, “L’impossible retour, histoire des juifs en Allemagne après 1945”.
Nel 1975, morto Bauer, Isser Harel, libero dagli incarichi ufficiali, ha raccontato in un memoriale fiume, “The House on Garibaldi Street”, il rapimento di Eichmann in Argentina, senza fare menzione del giudice Bauer – si limita a dire di avere avuto l’indirizzo di Eichmann in Argentina da “fonte sicura”. Non lo menziona nemmeno dopo, quando gli oppone il suo vaffa: “Io mi occupo degli ebrei vivi, non dei morti”.
 
Malleczeven - Friedrich Rech-Malleczeven, 1884-1945, barone, si ricorda per aver tenuto un diario manoscritto anti-Hitler durante gli anni di Hitler nascondendolo per precauzione in giardino. Un conservatore, che ricorda nello stesso diario con affetto i suoi “graziosi padroni”, i re di Baviera, e vede i totalitarismi figli della Ragione borghese e della Rivoluzione francese. Ma che su Hitler ha idee ancora più chiare: “So perfettamente che bisogna odiare con tutto il cuore la vostra Germania, se si ama veramente la Germania”.
Un personaggio, quindi, che la Germania non terrà in considerazione – la Germania è anarchica ma non ama i dissidenti. Del barone si è sentito solo nel Sessantotto. Disperato dalla Notte dei Cristalli e dalle persecuzioni, per primi degli ebrei, si augurava la guerra, e la sconfitta.
 
Turanismo – Ritorna con Erdogan? È l’ideologia panturca che, originata in Persia, è stata coltivata nell’Ottocento soprattutto in Europa, in Germania e in Ungheria, oltre che in Turchia, e in Giappone. Elaborata da intellettuali ottomani, che in chiave di “risorgimenti” nazionali offrivano ai popoli ugro-finnici, o ugrici, una tradizione radicata ancora più lontano che in Persia, in India (dravidismo), in Mongolia e in Giappone. “Sistemata” da Friedrich Max Müller (1823-1900),  figlio di Wilhelm Müller, il poeta autore della “Bella Mugnaia” – Müller è mugnaio - e del “Viaggio d’inverno” di Schubert. Iniziatore delle religioni comparate, professore di Filologia comparata a Oxford, il primo titolare al mondo di questa disciplina, Friedrich Max Müller fu animatore del turanismo: “tutti turchi”, tutti quelli che parlano lingue uralo-altaiche, che lui dice sbrigativamente  turche.

Una Società Turanica risulta fondata nel 1839 fra i Tartari della Russia. Con lo steso nome ne fu fondata una in Ungheria nel 1910. Doppiata dieci anni dopo da una Alleanza Turanica. In Giappone il cammino è inverso: Alleanza Turanica nel 1921, Società Turanica dieci anni dopo.

L’“Enciclopedia Treccani” trova al fenomeno radici europee: “Le origini del panturchismo si potrebbero cercare anche più lontano, nelle pubblicazioni del polacco Costantino Bosenski, emigrato a Costantinopoli nel 1848, e diventato musulmano, autore dell’opera «Les Turcs anciens et modernes» (Costantinopoli 1869), negli scritti turcologici di A. ámbéry, nella «Introduction à l’histoire de l’Asie» di L. Cahun, nelle prime poesie nazionaliste di Meḥmed Emīn (1896-1897). Tutto ciò servì a far sorgere una coscienza nazionale dei Turchi, che fino allora si sentivano più ottomani o musulmani che turchi; questo nazionalismo diventò fin da principio panturchismo e ciò si spiega per ragioni politiche; i Turchi evoluti della Russia infatti si volsero a Costantinopoli come a faro della rinascita turca e furono anzi i migliori propagandisti dell'idea nazionale”.
Un fantasma geopolitico oggi – resta solo nella voce cospicua dell’Enciclopedia Treccani. Che però non è morto, e anzi radica, sotterraneamente, e per lo più indistinto, il nazionalismo turco. Basato sulle ricerche linguistiche, dell’origine e le derivazioni dei linguaggi. Nonché, ultimamente, stando a wikipedia, da ìl Dna: le teorie “panturaniche” avrebbero ricevuto nuovo impulso dalla “presenza dello stesso aploide N3 nel cromosoma Y del DNA” di Jakuti (80 per cento), Finni (70), Inuit dell’Ovest (60), Udmurti (53), Sami (49), Buriati (47), Lituani (41), Lettoni, Evenchi dell’Est (20).
Il termine è derivato dal bassopiano detto Turanico, che unisce gli stati turchi dell’Asia centrale, Turkmenistan, Uzbekistam, Kirghizistan, e Kazakistan. E in quest’area sopravvive, oltre che in Azerbaigian, più vicino all’Europa, nel Caucaso. Ma anche in Turchia ha, non dichiarate, radici.
Al turanismo vengono collegati i Lupi Grigi, il gruppo terroristico di cui faceva parte Alì Agca, l’attentatore di papa Giovanni Paolo II a san Pietro, e il Movimento Nazionale Turco, residuato del kemalismo, il rinnovamento repubblicano del primo dopoguerra. Al turanisno si ispirano anche due partiti politici di estrema destra in Ungheria, Jobbik (Movimento per un’Ungheria Migliore), che ha un decimo dei seggi all’Assemblea Nazionale, e in Giappone, Kokka Shakaishugi Nippon Rodosha.To, partito Nazionalsocialista Giapponese dei Lavora ori, senza rappresentanza politica.
 
Insieme con la localizzazione geografica, il nome fa riferimento a un Tur o Turai, personaggio dello “Shah-Nameh”, l’epopea persiana di Firdusi, 1000 d.C. circa. Tur-Turaj, da intendere “il padre dei Turani”, è il primogenito dell’imperatore Fereydun. Fratello peraltro di un Iraj che il poema dice espressamente capostipite dei Turani-Turchi. Turanshah, scià dei Turani, è il nome del fratello di Saladino.
Di origine persiana è comunque la parola: Turan era il paese a Nord dell’Amu-Darja (Oxus), territorio non conquistato e nemico – solo successivamente diventano Turkestan.
 
Turandot, nome diventato famoso con Puccini, è “figlia di Turan”, nome in uso sia in Iran che in Turchia.Il nome e l’opera sono tratti dalla “fiaba teatrale” di Carlo Gozzi (1762), che dice la sua “commedia dell’arte” tratta da “Les mille et un jour”, di François Pétis de la Croix.
La fiaba di Gozzi ha avuto molte impersonificazioni. Soprattutto in Germania, a opera di Goethe, di Schiller e di molti altri, fino a Brecht, e musicata da von Weber (1809). Dopo Puccini, sarà ripersa da Busoni, nel 1917.

astolfo@antiit.eu

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