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mercoledì 19 maggio 2021

Pavese fuori dal mito

Riedizioni ricche, del Pavese più pacificato, quasi scherzoso, allo scadere del copyright. L’editore per eccellenza di Pavese, la casa che lui stesso ha per larga parte creato, raddoppia lo spessore della sua edizione 2014, con introduzione di Nicola Gardini in aggiunta a quella di Sergio Givone, e con antologia critica, note, vita e opere. Adelphi, nuovo arrivato, assortisce l’opera con un’introduzione frizzante e informata di Giulio Guidorizzi. E con una conversazione tra Carlo Ginzburg e Giulia Boringhieri. Lo storico è figlio di Natalia e Leone Ginzburg, la compagna di lavoro più stretta di Pavese alla Einaudi (e quella che ne curerà a lungo le opere dopo la morte) e l’amico forse più intimo, sicuramente più brillante, di Pavese (di lui si ricorda nelle biografie che, benché minore di un anno dello scrittore, ma già addentro all’università, gli trovò in un paio di giorni un relatore per la tesi di laurea su Walt Whitman, che l’anglista con cui Pavese aveva lavorato, Federico Olivero, non voleva presentare).
L’intervista è poco informativa, e quasi svogliata. Come se l’allora undicenne storico fosse già in polemica generazionale con la madre Natalia (il padre, Leone, era morto ai primi del 1944 a Regina Coeli a Roma, per le torture subite da parte della Gestapo). O forse impacciata: forse lo storico non ha ricordi precisi. Ricorda però il silenzio: lo sconcerto, e la tristezza. Pavese si continua a prendere dalla fine, dal suicidio – l’editoria non trova  probabilmente altri temi promozionali.
I “Dialoghi”, scritti a Roma tra fine 1944 e inizio 1945, a guerra finita, sono il libro che Pavese sentiva più suo, e si portò dietro la notte del suicidio. Accolto con “elusiva diffidenza”, eufemizza l’editore Adelphi: “Si stenta oggi a crederlo, ma all’epoca in Italia il mito godeva di pessima fama” - godeva si dice per dire. Ma non è tanto il mito che muove Pavese quanto l’allegria, lo scherzo, la disinvoltura. Per una volta leggero, nella lettura che su questo sito ne è stata fatta di recente:
http://www.antiit.com/2019/04/il-mito-dei-miti.html
E più per riuscirci immerso nella cultura, da lui ferocemente acquisita e vissuta. Un “capriccio serissimo”, come lo dice Givone nella presentazione. Ma rilassato, ironico – Saffo è “lesbica di Lesbo”, la “dea vergine” Artemide ha “carattere non dolce”. Un capriccio non di un creatore di miti: Pavese, appassionato di antropologia, sapeva che i miti non si creano.
Non c’è scrittore del Novecento più colto, dell’antico e del moderno (contemporaneo) di Pavese. È questo un tratto che la liberazione del copyright, e quindi inevitabilmente degli studi, dovrà approfondire. Ma qui, in quest’opera, è la vena irriverente che emerge di Pavese, come nelle lettere e nel “Mestiere di vivere” non espurgato (lo è stato per molti anni a opera purtroppo di Natalia Ginzburg).
Un Pavese fuori dal mito Pavese – il disadattato suicida. Sì, si parla di destino, e cose del genere, ma come se ne parlava in antico, in conversazione. Molto c’è anche, in quest’opera apparentemente stravagante, dell’anno trascorso da Pavese a Brancaleone in Calabria, al confino politico. Notte e giorno a fronte del mare – Luecotea è la “dea bianca”, in antico identificata con Ino, dea marina, bianca come la spuma sul mare? Con immagini di satiri e ninfe, benché “caprine” - o perché “caprine” nel senso che in antico si voleva, di esseri voluttuosi?
Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Adelphi, pp. 226 € 18
Einaudi, pp. XIV + 224 € 12

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