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sabato 22 maggio 2021

Il racconto dell’odio volto in idillio

Tre solitudini, di personaggi e trascorsi che si intersecano e si inestricano, ma non si liberano dal pregiudizio, dalla passione, dalla debolezza. Una storia del migliore Antonioni, dell’incomunicabilità, anche a dispetto delle migliori intenzioni. Tra ebrei condannati dalla memoria, fascisti violenti, anche con se stessi, e la bontà minuta, generosa, che “non può essere”. Una storia di sentimenti buoni e pulsioni aggressive. Un film violento e idillico insieme, eppure tiene.  
Sfortunato all’uscita, alla vigilia del secondo lockdown, dopo il successo al festival di Venezia, si avvale di tre superbe interpretazioni. Di Sara Serraiocco, la fatina che attraversa le turbolenze: è la sua presenza, minuta fisicamente e moralmente, della vita come viene, a far muovere la difficile guerra di posizione dei pregiudizi. Di Alessandro Gassman, il protagonista, in un difficile ruolo bifronte, tra il dover essere, del medico, del buon cittadino, e la passione, la vendetta. Di un esordiente Luca Zunic, che non sembra recitare lo squadrista picchiatore, a caccia di “giudei”. In un ambiente inconsueto, che aggiunge realismo e magia alla vicenda: una Trieste terragna, seppure a bordo d’acqua.   
Il racconto è semplice, dell’odio. Immotivato, dell’odio come avviene. Un chirurgo di nome Segre, solitario, in lite col padre, ancorché morto, perché da studente di medicina curò i denti dei nazisti per salvare la pelle nella deportazione, non salva, come potrebbe, il padre di tre ragazzi vittima di un pirata della strada perché ha tatuata sul petto la croce runica. Ragazzi con cui viene poi in contatto, bene e male, tra l’essere una brava persona, benché solitaria, e l’essere “un giudeo”. Tale è per il bambino innocente. E per questo esca a molta violenza del figlio picchiatore, nella palestra equivoca di boxe, tra camerati che sono anche aguzzini e usurai. Mentre la figlia oppone umile la resistenza del dover essere, tra le passioni opposte.
Mauro Mancini,
Non odiare

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