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giovedì 29 settembre 2022

Secondi pensieri - 494

zeulig

Bellezza – La bellezza certo è verità. Non solo per Platone, in senso filosofico cioè, o ma-tematico: la bellezza della formula, l’equazione, il teorema. Sospendono entrambe il vissuto, inevitabilmente mediocre, importuno, e danno un as-saggio di come potrebbe essere. L’assaggio è stato di sostanza cruda, acerba. C’è incidentale un bello illuminante in Rosenzweig, la filosofia a volte aiuta - Rosenzweig vi s’imbatte da apologeta della fede: è proprio vero che “il bello forma un ponte tra ideale e vita?”, si chiede, e si risponde che no, “assolutamente no”. Il bello sboccia nel canto. Appartiene al “regno delle ombre, con la sola differenza che è visibile”. Più in là non si va, a un certo punto l’estraneità dell’arte alla vita diventa taedium artis, “dove l’arte rappresenta ormai solo l’abbandono dell’arte”. Con le mutue estraneità: “La vita ha ciò che l’arte non ha, il gesto autentico”.

La bellezza secondo Wilde rivela tutto perché non esprime nulla.

Filosofia – Leopardi la voleva poesia – “Zibaldone”,  8 settembre 1823 (3383): “È tanto mirabile quanto vero, che la poesia la quale cerca per sua natura e proprietà il bello, e la filosofia ch’essenzialmente ricerca il vero, cioè la cosa più contraria al bello, sieno le facoltà le più affini tra loro, tanto che il vero poeta è sommamente disposto ad essere gran filosofo, e il vero filosofo ad es sere gran poeta, anzi né l’uno né l’altro non può essere nel genere suo né perfetto né grande, s’ei non partecipa più che mediocremente dell’altro genere” 

Non sembra. Ma in appunto precedente, 7 settembre 1821 (1651) è più persuasivo: “Quanto l’immaginazione contribuisce alla filosofia (ch’è pur sua nemica), e quanto sia vero che il poeta in diverse circostanze avria potuto essere gran filosofo, promotore di quella ragione ch’è micidiale al genere da lui professato, e viceversa il filosofo gran poeta”, osserva nella “facoltà e la vena delle similitudini”, anche “astrusissime e ingegnosissime”. Che è “facoltà d scoprire i rapporti fra le cose, anche i menomi, e i più lontani, anche delle cose che paiono le meno analoghe ec.”, che fa “tutto il filosofo”.

Giustizia - Noi gentili siamo legge a noi stessi, per via della coscienza. Che il senso morale ha prossimo, come il linguaggio, all’innatismo. Senza tavole del-la legge, o salmodia, o altre corazze orientali: la giustizia per un cristiano non è affare di legge ma di verità. Era così nella tradizione di Socrate, cioè di Platone, di cui san Giovanni fa un precetto del Vangelo, 1, 17: “La legge fu data a Mosè, la verità e la grazia sono date con Gesù Cristo”. Per questo la legge è sempre insoddisfacente. Il male del resto è molto più dell’illegalità, assassinio incluso: il peso del crimine sarà del cinque, dieci per cento rispetto a tutto il male autoinflitto, a quello della natura, malattia inclusa, degli affetti, del lavoro, dell’invidia, della gelosia, dell’avarizia e di ogni altro peccato, e della prepotenza quotidiana, specie quella dei tutori dell’ordine, che vogliono essere sbirri.

Immortalità – È implicita nel senso (concetto) della vita. Ma anche nel suo modo di essere. L’esistente è costellato di morti, nessuno e niente vi sfugge, animato o inanimato, probabilmente anche il minerale, ma il mondo non muore. La scienza ha difficoltà a stabilire un inizio vita, come forma (procedimento) e come tempo, anche all’ingrosso, di milioni o miliardi di anni. È come se la vita scorresse a prescindere dalle vite singole, come un essere al di sopra o al di fuori dell’esistente, del mondo – dell’universo? C’è la morte, sempre, ma la vita la trascende.

Sartre - Stoico lo vuole Simone de Beauvoir. Nel “Ritratto di Jean-Paul Sartre”, il primo di una serie, quello che scrisse a fine 1945, sull’onda del successo dell’“esistenzialismo” nelle boîtes di Montparnasse, per la rivista americana “Harper’s Bazaar”, che lo pubblicò a gennaio del 1946, in occasione del viaggio di Sartre negli Stati Uniti (gennaio-aprile 1946), invitato per una serie di conferenze – un testo rimaneggiato dalla rivista, e ora ripubblicato nella stesura originale nei Livres de Poche, in calce a “Les Inséparables suivi de Malentendu à Moscou”): prima di scoprirla a Mosca, Sartre aveva cercato la libertà in America.

Sartre ha avuto due fasi, spiegava de Beauvoir nel 1946: una in cui celebrava la libertà “su un piano immaginario, come creatore di opere immaginarie”. E poi, dopo la riflessione indotta dalla guerra e dalla prigionia, “nel cuore stesso dell’uomo: in quanto coscienza, l’uomo evita d’impantanarsi nel dato, in quanto libertà, lo sorpassa per gettarsi verso l’avvenire” – “la creazione letteraria conserva il suo valore agli occhi di Sartre, ma come una delle manifestazioni possibili della sua libertà”. In questa nuova fase “sembra in effetti a Sartre, come un tempo ai vecchi stoici di cui ama la morale, che con questa ricerca”, in interiore homini (questo Sartre di de Beauvoir si direbbe piuttosto agostiniano), “l’uomo può sfuggire alle minacce di tutte quelle cose irriducibili, ostili, che non dipendono da noi”.

Lo stoicismo di Sartre de Beauvoir aveva una pagina prima rappresentato come “passione di libertà” – e non di libertinismo - nella vita quotidiana: “Rifiutava tutto ciò che avrebbe potuto appesantire la sua esistenza e radicarlo dentro la terra. Non si è sposato. Non ha mai posseduto nulla, né un mobile né un ninnolo, né un quadro, né un libro: abita in camere d’albergo, in cui non si non si trova neanche un esemplare delle sue opere e la cui indigenza sorprende spesso i visitatori; ha sempre speso il denaro a mano a mano che lo guadagnava, talvolta spesso prima”.

Lo stesso Sartre, però, qualche pagina prima de Beauvoir ha detto uomo di città, alieno e anzi ostile alla natura: “Sartre detesta la campagna, la proliferazione degli alberi, il brulichio degli insetti; sopporta al limite il mare orizzontale, la sabbia unita del deserto, la freddezza minerale delle alte montagne; ma non si sente veramente a proprio agio che nelle città, dentro un universo costruito e popolato da oggetti fabbricati. Non ama né il latte grezzo, né i vegetali freschi, né i crostacei, ma soltanto i cibi lavorati, e preferisce sempre la frutta in conserva, i pesci in scatola a un prodotto naturale”.     

Storia - Una verità storica è vera una sola volta, spiega Carl Schmitt, ma non è vero che la storia è unica: ogni storia è come dice Aristotele, imitazione di un’azione.

Verità – Può non essere verosimile e viceversa, si sa - la verosimiglianza è più spesso ingannevole, quando non è stratagemma, del genere romanzesco. Freud ne fa l’esperienza quando prova a costruire la verità di Mosè. Che tutte le prove, anche se poche, dicono essere un altro da quello della tradizione: “Si tratta di una tradizione che riposa su una (sola) fonte, che nessun altro conferma, fissata per iscritto probabilmente troppo tardi (rispetto all’epoca di Mosè, n.d.r.), piena in se stessa di contraddizioni, certamente rimaneggiata più volte e deformata sotto l’influenza di nuove tendenze, intimamente mescolata ai miti religiosi e nazionali di un popolo”. Un “personaggio grandioso” che sta su un sassolino - “niente di quello che di cui disponiamo sull’uomo Mosè potrebbe essere considerato come affidabile”, era la premessa, di una storia che Freud si accinge a compiere sotto forma di romanzo, la “vera storia” non essendo possibile. Ma Mosè c’è, c’è stato per millenni e tuttora vive. E dunque: la verità è del Mosè storico, cioè come è. Perché la storia non sarebbe la verità, per quanto “romanzata”? Se non ce n’è altra.

Ma non può essere di comodo, se è vero ciò che è creduto. Ci vuole un fondamento. È della verità come del mito, fino a una certa epoca, quando era creduto e faceva legge. La verità mitica non è male. Invece della verità assoluta - che, “per la verità”, non si ritrova in nessuna filosofia, nemmeno quella tedesca.

La verità sempre emerge, ha sue vene nervose e più spesso sottili, perfino involontarie, ma sempre fluisce e inavvertita sbocca, la storia si deve acconciare.

L’opposto della menzogna è sempre la verità, un po’, e la menzogna stessa - verum factum, verum fictum non è un refuso: la verità è all’origine finzione e invenzione, e senza non ha argomenti.


zeulig@antiit.eu

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