Cerca nel blog

martedì 27 settembre 2022

Il mondo com'è (453)

astolfo

Francesco Bianchini – Astronomo, storico, archeologo, fra Sei e Settecento, veronese trapiantato a Roma, alla corte pontificia, in corrispondenza con Newton, Leibniz e gli scienziati europei dei suoi anni, ricordato solo dalle guide turistiche, come architetto della meridiana nella basilica romana di Santa Maria degli Angeli, e in poche righe da Francesco de Sanctis nella “Storia della letteratura”, è ora rivalutato in America, con la pubblicazione alla Oxford University Press di una ricerca dello storico emerito, quasi novantenne, John Lewis Heilbron, “The Incomparable Monsignor: Francesco Bianchini’s World of Science, History and Court Intrigue”. 

Servì sotto tre papi, protetto dal cardinale Ottoboni prima e poi dal re Giovanni V, il Gran Re del Portogallo - anche quando i rapporti di Lisbona col papa si deteriorarono. Scoprì e segnalò tre comete. Scoprì anche Pompei, i resti di Pompei – e molto altro a Roma: la domus Flavia, il planisfero egizio all’Aventino, il colombario di Livia Drusilla sulla via Appia. Studiò Venere: voleva rifare quanto Galileo aveva fatto con la luna un secolo prima, redigerne una mappa, e a tale scopo costruì vari telescopi giganti – il più lungo era di 24 metri, con una capacità di ingrandimento di 112. E su Venere si perdette – sul calcolo della distanza e anche sulla superficie.

Oriente – Se ne contesta la nozione, in quanto colonialista, ma parola e concetto sono del Cinquecento. C’è un Oriente creatura dell’Occidente, fumoso – quello dei viaggiatori e fumatori, da Pierre Loti, anche Flaubert, a Robert Byron e Bruce Chatwin, sintetizzato da Pessoa: “Cerco nell’oppio che consola\ un Oriente a oriente dell’Oriente”, una via di fuga. Ma alle origini era solo un dato di fatto, raccontato già da Marco Polo, nel Cinquecento mediato culturalmente da Guillaume Postel - un gesuita che nel 1553 si erigerà in difesa di Serveto, il negatore della Trinità bruciato dai calvinisti, nel nome della “fede ragionata”.  

Parola e concetto di Oriente risalgono a Guillaume Postel, 1510-1581, giovane professore a ventotto anni al Collège de France di ebraico, arabo e siriaco, nonché conoscitore di greco e latino. Dopo essere stato a ventisei in ambasceria a Costantinopoli, alla corte di Solimano il Magnifico, per conto di Francesco I, in veste d’interprete e collettore di testi classici, greci, arabi, ebraici - il “re cristianissimo” cercava un’alleanza con i turchi contro Carlo V, il “protettore della cristianità”. Degli astronomi arabi Postel fu preciso commentatore, facendo dubitare della conoscenza che si aveva di Copernico allora in Europa, se non dello stesso Copernico. Sagacia analoga applicherà all’Egitto, ed è quindi anche all’inizio dell’“orientalismo”. La “fede ragionata” e la “ricomposizione di tutte le cose” nella fede unita, per le quali Postel si batté tutta la vita, annegheranno poi nell’egittologia – nell’orientalismo come esotismo. Che sarà napoleonica per essere stata anch’essa di Postel, in quanto autore anche di una “Chiave di tutte le cose”, ossia dei tarocchi – l’Egitto del futuro imperatore era nelle carte.

 

Nel 1549, illustrando “La vera descrizione del Cairo”, la mappa stampata a Venezia da Matteo Pagano, Postel spiega, correttamente, che la città è turca più che araba, e che le Piramidi sono “mostri incoronati”, monumenti alla tirannide, non i granai di Giuseppe che si dicevano. Ma nella “Chiave di tutte le cose”, pubblicata prudentemente postuma, un secolo dopo, nel 1646, quando l’astrologia con Urbano VIII era in vigore, apre la città ai misteri.

Il Cairo costituisce da sempre un problema aperto per l’orientalismo. L’origine di questo Oriente è in Plutarco, che attribuisce a Iside l’istituzione dei misteri, grandi e piccoli, o verità esoteriche riservate agli iniziati, nonché in Erodoto, Platone, Apuleio e perfino in Aristotele. Una serie di finzioni ne germinò, culminata in Orapollo, l’autore dei “Hyerogliphica” che in realtà non sapeva nulla dei geroglifici. In epoca moderna l’origine è in Postel, che più di ogni altro pure ha affidabilmente tracciato le radici orientali, semitiche, di tanta cultura occidentale. E nell’Inquisizione, che processò Postel per le opere sulla fede unica, la “fede ragionata”, e sulla concordia religiosa, ma la natura cabalistica dell’Egitto, poi teosofica, lasciò invece incontestata. E fu l’Oriente taroccato, “la chiave di tutte le cose” - ma si direbbe meglio “la chiave delle cose nascoste”.

 

Postel non era un imbonitore, fu anzi uno studioso, dell’islam, le lingue semitiche, l’impero turco, Atene all’era di Pericle, l’unione delle fedi, il dialogo tra monoteisti, cattolici, riformati, mussulmani, ebrei. Ma a un certo punto ebbe le visioni. E costrinse sant’Ignazio a denunciarlo all’Inquisizione, e papa Paolo IV a rinchiuderlo, dannandolo ad infamiam amentiae, all’infamia della follia, e all’Indice. Il carcere gli fu aperto quando il papa morì nel ‘59, ma Postel si isolò nel priorato di Saint-Martin-des-Champs a Parigi, oggi sede del Conservatorio e del Museo arti e mestieri, dove morì nel 1581. Le visioni erano di una Madre Zuana o Giovanna, Vergine Veneziana, o Veronese, Mater Mundi, Nuova Eva, Donna santissima, Messia femmina, che si voleva incarnazione dello Spirito Santo: Postel scriveva per conto di lei, delle sue mistiche unioni.

Primo orientalista, a lungo il migliore, filologo solido, aveva debuttato a tredici anni come maestro di scuola al suo paese in Normandia. Poi decise di continuare gli studi, al collegio Santa Barba a Parigi, dove entrò domestico. A ventisei anni era parte dell’ambasceria di Francesco I a Costantinopoli. A ventotto anni professore al Collegio di Francia. Nell’occasione pubblicò in latino una “Introduzione ai caratteri alfabetici di dodici differenti lingue”, nella quale decritta le iscrizioni sulle monete della rivolta ebraica come ebraico scritto in caratteri samaritani. Insegnò a Parigi, Vienna, Roma, Venezia e altrove. A Parigi, le sue lezioni al collegio dei Lombardi richiamarono tale folla che dovette tenerne anche in cortile, da una finestra.

Delle opere riscattate in Oriente Postel editò gli astronomi arabi e la Cabala. Fu traduttore in latino dello “Zohar”, del “Sefer Yezirah”, del “Sefer ha-Bahir”, nonché illustratore dei significati cabalistici della menorah. Con aperture che avrebbero potuto eliminare alla radice le derive maschiliste della cabalistica, ma gli valsero l’ostilità di sant’Ignazio. L’inquisitore Archinto, cui il santo lo denunciò, lo assolse e l’ordinò prete, “a titolo di purezza, come erano gli apostoli”. Ignazio lo sottopose allora a una speciale commissione di tre giurati, i gesuiti Salmeron, Lhoost, Ugoletto, che lo dichiararono “soggetto a illusioni manifeste del demonio”. Postel aveva conosciuto Ignazio di Loyola quando questi era a Parigi, al collegio dei Lombardi. E aveva preso i voti di povertà, castità e obbedienza, quale novizio gesuita, a Roma, ripetendo il giuramento nelle sette chiese.

Filologo ineccepibile, Postel deriva tarocco dall’egiziano taro, strada reale, termine composto da tar, strada, e ros o rog, regale – da cui, forse, la Scala Reale del poker. Lo studioso individua anche un nesso fra tarocchi e cabala, tra i semi e gli elementi primordiali. Nello stesso anno, 1540, in cui si creava a Rouen la prima società dei maestri cartai. Che nel 1581, l’anno in cui Postel morì, diverrà arte riconosciuta all’interno della Corporazione arti e mestieri di Parigi, quella che avrà poi sede al boulevard Saint-Martin, e assoggettata a imposta di bollo. Ma semanticamente Postel collega gli Arcani Maggiori ai geroglifici del Libro di Toth, il dio della medicina. Geroglifici che ancora per secoli non saranno leggibili.

Regalità – È stata spesso a Londra esposta sulla picca, dopo la decapitazione, anche a distanza di tempo dalla morte. La “rivoluzione inglese” cominciò con la condanna a morte, il 27 gennaio 1649, del re Carlo I, per decapitazione. Olivier Cromwell, il suo nemico, permise che la testa fosse ricucita al corpo, e che dei funerali fossero celebrati, in forma privata. Il giudice, John Bradshaw, subì a sua volta un’esecuzione postuma: fu dissotterrato, impiccato, decapitato, e buttato in una fossa comune, mentre la testa restò a lungo esposta davanti a Westminster Hall, dove aveva celebrato il processo e inflitto la condanna a Carlo I.

Decapitato per tradimento Carlo I, il Parlamento, manovrato e intimidito da Cromwell, si rifiutò di incoronare Carlo II, e passò al regime repubblicano, sotto lo stesso Cromwell, che si nominò Lord Protettore, anche se non c’era erede al trono in minore età, da proteggere – nominerà erede suo figlio, alla coreana, di cui però non si tenne conto. Cromwell inseguì Carlo II per sei settimane, ma il pretendente riuscì a sfuggirgli, riparando in Francia.

Nel 1661, per l’anniversario della decapitazione di Carlo I la salma di Cromwell, morto nel 1658, fu sottoposta a “esecuzione postuma – hanged, drawn and quartered, impiccato, affogato e squartato: il corpo fu gettato in una fossa comune, la testa infilata su un palo ed esposta davanti a Westminster, peer venticinque giorni.

Cromwell liquidò con i Puritani la dinastia inglese più colta e munifica, e la stessa eredità di Shakespeare, distruggendone con cura il teatro – e con la censura occhiuta del suo segretario per le lettere in latino, il poeta John Milton, cavaliere dell’anticensura. Una sorta di Kim Il Sung, pure lui voleva lasciare la repubblica al figlio. Ma veloce, tutti i morti fece in soli quattro anni.  In Irlanda, che stava pacifica, per scacciare i cattolici fece 616 mila morti su un milione 466 mila persone. Li calcolò all’unità William Petty, medico al suo seguito, che divenne per questo computo baronetto e, secondo Marx, il padre dell’economia politica.   

 

La regalità inglese si è distinta per esecuzioni. Maria Stuart, regina a soli sei giorni di vita, educata a Parigi da Caterina dei Medici, era stata fatta decapitare da Elisabetta I sua cugina, dalla quale si era rifugiata, a 44 anni. Elisabetta poi morì nubile, e la corona passò al figlio di Maria, Giacomo Stuart, designato dalla stessa Elisabetta. Calo I Stuart, finito sul ceppo nel 1649, era il figlio di Giacomo.

Enrico VIII Tudor, “il più bel principe della cristianità”, 1,90 m., per ripudiare la moglie e sposare la ventenne Anna Bolena, fece decapitare il suo venerato cancelliere Thomas More, oggi santo, inventore e autore di utopia, la parola e il progetto, di una umanità in pace, accusandolo di tradimento. Era il 6 luglio 1535: la testa di More fu esposta al London Bridge per un mese.

Un anno dopo il re aitante fece decapitare Anna Bolena, accusandola di stregoneria, e di incesto con il fratello, per sposare la dama di corte Jane Seymour - ma la fece decapitare con una spada e non con l’accetta. La prima moglie Caterina invece non decapitò e nemmeno imprigionò, essendo essa principessa d’Aragona, figlia di Ferdinando “Il Cattolico” e Isabella di Castiglia, protetta da Carlo V.

Il 28 luglio 1540, il giorno in cui nel Surrey sposava la quinta moglie, Caterina Howard, alla Torre di Londra Enrico VIII faceva decapitare il suo nuovo Cancelliere fidato Thomas Crown. Due anni dopo anche Caterina finiva decapitata alla Torre di Londra.

La figlia ed erede di Enrico VIII, Mary Tudor, sarà “Maria la Sanguinaria”.

Caro III ha scelto come corona quella dei Tudor.

astolfo@antiit.eu

 

 


Nessun commento: