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sabato 1 ottobre 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (505)

Giuseppe Leuzzi

La ‘ndrangheta del Procuratore

Cafiero de Raho, che a Reggio Calabria ha costruito la sua nomina a Procuratore Nazionale Antimafia vituperando la città (“bisogna vivere sempre da soli”, confidava a Tg2000, il tg dei vescovi, “questo è un territorio nel quale non si possono avere rapporti con altre persone… prima giocavo a tennis ora non lo posso più fare”), ne è stato retribuito col raddoppio del voto nazionale del suo partito, i 5 Stelle, col 30 per cento dei voti. È vero che hanno votato in pochi, cinque su dieci, ma raddoppiare la percentuale del proprio partito è una soddisfazione. Calabria 1, la circoscrizione di Reggio Calabria, ha per questo perfino ridotto la percentuale di consensi a Giorgia Meloni.

Il Procuratore, o l’organizzazione dei 5 Stelle, aveva fatto preventivamente gli scongiuri augurandosi un voto zero: “Per De Raho il miglior successo è non prendere un voto. Significa che le mafie si sono coalizzate”, eccetera.…”. A Reggio Calabria un modo di dire è: “Falla come vuoi, sempre è cucuzza” – semre finisce a mafia.

La guerra civile italiana, l’anno dopo l’unità

“Ci fu una guerra civile e i piemontesi l’hanno persa”, titola il “Corriere della sera” il 28 settembre la pagina della posta. Rispecchiando esattamente la rubrica di Aldo Cazzullo. La guerra civile è subito successiva all’unità d’Italia, contro i briganti - e contro le proteste in Sicilia.

A Cazzullo un lettore chiede lumi sull’“odio al Piemonte” di una sua precedente corrispondenza. Cazzullo ricorda il regista Squitieri – napoletano, è bene ricordarlo, marito molto amato di Claudia Cardinale - che, “sul divano di casa Craxi ad Hammamet”, gli dice: “Io odio il Piemonte”. E prosegue spartendo torti e meriti del Piemonte, che “ha fatto l’Italia, e a lungo ha esercitato sull’Italia una certa egemonia economica, politica, militare, culturale; non sempre con buoni esiti”. Parlavano in dialetto, compreso Vittorio Emanuele III che era nato a Napoli e regnava a Roma”, in dialetto – con sufficienza – prepararono Caporetto, eccetera. Ma diedero all’Italia “i Cavour e i Quintino Sella, e pure quelli della sinistra liberale, Michele Coppino e Giovanni Giolitti”, i migliori comunisti, Gramsci, Togliatti, Tasca, Secchia, Terracini, i capi militari della Resistenza, “santi veri e santi laici” – una lista effettivamente impressionante: “don Bosco e Piero Gobetti, don Cottolengo e Norberto Bobbio, Piergiorgio Frassati e Alessandro Galante Garrone, e poi Luigi Firpo e Augusto Del Noce, Adriano Olivetti e Vittorio Valletta, Giovanni Agnelli e Rodolfo Debenedetti, Michele Ferrero e Sergio Pininfarina, Carlo e Primo Levi, Vittorio Foa e Umberto Eco, Cesare Pavese e Giovanni Arpino, Giampaolo Pansa e Giorgio Bocca, Carol Rama e Fernanda Pivano, Rita Levi Montalcini e Natalia Ginzburg”. Ma conclude: “La guerra civile che seguì al Risorgimento non fu vinta dai bersaglieri; fu vinta dai briganti amati da Squitieri. E l’Italia di oggi somiglia più a quella dei Borbone che a quella di Camillo Benso conte di Cavour”. Questo è vero, ma questi “Borbone” non sono piemontesi?

Il banditismo. Non erano guerriglieri, erano briganti, gente di mano, ma in qualche modo anche lo erano. E non erano soli. Ci fu la sollevazione popolare a Palermo, e nel contado agrigentino, per il pane e contro la leva obbligatoria, sconosciuta nell’isola. Ci fu lo sgomento di Napoli città, ridotta da capitale di un regno a capitale dei cenciosi - basta leggere un sicuro unitario come Pasquale Villari, che scriveva di cose viste.

Una prima – enorme - guerra civile italiana a ridosso dell’unità non dà da pensare a Cazzullo? L’unità fu una rivoluzione, l’Europa intera ne fu ammirata, il mondo intero. Ma non fu il Piemonte a tradirla, solo pochi mesi dopo – e non perché lo diceva Garibaldi, non solo? Quelli stessi piemontesi così buoni e bravi che tra di loro parlavano in dialetto – non affettati, certo, anzi popolari e popolareschi, ma di che intelligenza? Dice: Cavour, dice Sella. Ma Cavour è morto prima. E Sella purtropo ha inventato il “debito estero”, che ci affligge da centocinquant’anni, onni due-tre anni, inesorabilmente.

Se guerra fu, e non rivoluzione, l’hanno persa i piemontesi o l’hanno persa i meridionali?

L'Italia fuori dal Sud

“Fuori l’Italia dal Sud” chiedevamo antifrasticamente trent’anni fa nel libro che ha aperto questa rubrica. Ma forse è la verità, il Sud perlomeno inconsciamente si avviava su questa strada: ora, senza rappresentanza politica, finisce per non riconoscersi nello Stato, che non ha mai amato, tra pratiche, naja, e carabinieri. Ma non è un passo avanti, una svolta: è un surplace, tra smarrimento e meraviglia (come si è potuti arrivare a tanto?), e questo è un dramma.

La sfiducia è nel voto, poco e male indirizzato, quasi un “vaffa”. Meno 9 per cento al voto il 25 settembre, rispetto a quattro anni fa: quattro milioni e mezzo di elettori in più non hanno pensato a votare. Un popolo. Ma soprattutto al Sud. In Calabria appena il 50,80 per cento. In Sardegna il 53,17. In Campania il 53,27. In Puglia il 56,56. In Sicilia, dove si votava anche per la Regione, il 57,35 per cento.

Il Movimento 5 Stelle è stato primo in tutto il Sud: Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia – secondo in Sardegna e Abruzzo, dietro Meloni (in Sardegna per mezzo punto, poco più, dietro Fratelli d’Italia: 21,94 per cento contro 22,58 - in Abruzzo 18,7 contro 27,2). Il Sud che non si è astenuto ha votato 5 Stelle.

Li hanno votati la Campania, al 35 per cento (Napoli addirittura al 41,5 al Senato, al 45,5 alla Camera), la Sicilia 1 (Palermo, Trapani, Agrigento) al 33, la Sicilia 2 al 29, la Puglia al 30, la Calabria al 29,50. Solo la Sardegna si è avvicinata al 15 per cento nazionale, col 22 per cento. Tutto e solo per effetto del reddito di cittadinanza - le percentuali 5 Stelle riflettono i percettori del reddito e i loro aptenti e amici. Cioè della legge più improduttiva. Il Sud non ha futuro – comunque vota non per il futuro.

E se non ci fosse stato l’effetto reddito di cittadinanza al Sud, che ha portato al successo dei grillini in Sicilia 1 e Sicilia 2, e a Napoli città, a che percentuali di astensione sarebbe arrivato il Sud? Ma questo non è materia di riflessione: nei commenti il Sud è sparito.

Al Sud il partito Democratico è terzo, dietro Fratelli d’Italia, e dietro 5 Stelle. Cioè a poco. Singolare la campagna del Pd al Sud, dove nessuno sa che cosa volesse e chi fosse. De Luca a Napoli sapeva solo invettivare Meloni come “sora Cecioni”. A Bari il giudice Emiliano minacciava – minaccia? – di far “sputare sangue” a chi non avesse votato Pd. Non una grande politica.

Milano

Stupefacente Letizia Moratti, già presidente Rai, ministro, e sindaco di Milano con Berlusconi, candidata da Giorgia Meloni al Quirinale, come ricorda subito dopo il voto, mentre la settimana prima si distingue sul “Venerdì di Repubblica” per promuovere “l’arte afro e le battaglie lgbt” – ma “contro il blocco navale di Meloni”. Ma a Milano non fa scandalo - come Sala, che adesso è a sinistra. Una “tattica”, che è però un modo di essere, e una forza.

La Regione Lombardia mette a premio la ricerca: un milione al progetto che risulta ogni anno vincitore. È una somma rilevante per una simngola ricerca. Mecenatismo? Il 70 per cento del premio va speso in Lombardia, in beni e retribuzioni. È intelligenza: con 300 mila euro si paga una campagna pubblicitaria gratuita sui media, e forse anche un manufatto innovativo, o una metodologia, una procedura.

Un ministero a Milano sembrerebbe una stravaganza – Salvini ne dice tante, è una tecnica per occupare gli spazi. Invece Milano ci crede, il signor Cottarelli di ogni bordo.

Milano è onnivora, diversa dalle altre capitali morali, cioè degli affair, da New York rispetto a Washington, da Shangai rispetto a Pechino. Vorrebbe tutto, anche lo straccio delle pulizie – ma questo per, come diceva Malaparte, buttare la spazzatura al piano di sotto. 

È la capitale degli affari, ma anche – più – dell’opinione. Che si pensa fatta a Roma, dove si fa il cinema e la televisione, e invece è fatta a Milano: è senza confronti il peso di Milano sull’opnione: la moda, il gusto, i media, l’agenda politica e il giudizio politico.

Solo 17 giovani, insomma sotto i 35 anni, candidati in tutta la Lombardia. L’8 per cento del totale. Nessuno in posizione vincente nel proporzionale. Da dove si fa la morale alla politica vecchia.

“Cologno Monzese, preso con 470 kg. di hashish”. Non poteva sfuggire, è quasi una mezza tonnelata, e l’hashish ha anche peso specific ridotto, quindi ha volumi ingombranti. Non si poteva non vedere. La cocaina invece no, passa inosservata, anche ai Carabinieri.

E chi è il commerciante di hashish di Cologno Monzese? Un autotrasportatore, solo questo sappiamo di lui, niente foto, niente nomi. E che è cittadino italiano. Non un calabrese, però, è uno “nato in provincia di Milano”. L’inquisito lombardo vuole riguardi.

Record di multe stradali, grazie anche al gran numero di autovelox installati. È un bene o un male – gli autovelox sono acclarati macchine di tasse, e quelli nascosti arbitrary per di più?

Solo il quaranta per cento delle multe stradali sono pagate. È un bene o un male – il sessanta per cento dei multati le contesta? O le evade, c’è un modo a Milano?


leuzzi@antiit.eu

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