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sabato 27 maggio 2023

Secondi pensieri - 515

zeulig


Antisemitismo
– Una proiezione – una sorta di golem, una oggettivizzazione esoterica della paura del mondo, del male. Lo scrittore Vassilij Grossman, di famiglia ebraica, che propone questa proiezione (in "Ucraina senza ebrei”), distingue l’antisemitismo di Stato, una misura di violenza opportunistica come ogni altra (Grossman ce l’aveva in casa, in Russia, anche se del’epoca zarista, “I protocolli dei savi di Sion”, che però non cita) , dall’antisemitismo ideologico. Che invece “esiste in ogni paese del mondo ed è esistito nelle varie epoche della storia umana”: “L’antisemitismo ideologico  è un fenomeno che nasce dal bisogno fisiologico di specchiare i mali del mondo e delle persone guardando uno specchio anziché se stessi”.
Può essere anche questo un artificio politico. Ma Gossman constata che “è nella parte istruita della società che si incontrano, soprattutto, i latori dell’antisemitismo ideologico”.
 
Un’osservazione scritta nel 1943, in una corrispondenza di guerra, di uno scrittore certamente all’oscuro di Heidegger, ma che si attaglia, quasi una specifica ex post, all’antisemitismo del filosofo. Serpeggiante nelle celebrazioni del Volk, del popolo, della tradizione, ed esplicitato nei “Quaderni neri”, della Shoah come “autoannientamento” – colpa degli ebrei, in quanto agenti della modernità – tecnica, rivoluzione. Gli ebrei sono gli agenti della modernità; ne hanno diffuso i mali. Hanno deturpato lo «spirito» dell’Occidente, minandolo dall’interno. Complici della metafisica, hanno portato ovunque l’accelerazione della tecnica. L’accusa non potrebbe essere più grave. La Judenschaft, la «comunità degli ebrei» — scrive Heidegger nel 1942 — «è nell’epoca dell’Occidente cristiano, cioè della metafisica, il principio di distruzione». Poco più avanti aggiunge: «Solo quando quel che è essenzialmente “ebraico”, in senso metafisico, lotta contro quel che è ebraico, viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia».
 
Entropia – “L’entropia misura cambiamenti irreversibili (dissipazioni) in un sistema, misura la nostra ignoranza su un sistema o, equivalentemente, l’informazione di cui abbuiamo bisogno per comprenderlo, o, ancora, di un sistema misura il disordine, che può prendere l’accezione di libertà di scelta, o di incertezza, a seconda del punto di vista” – L.Leuzzi, E.Marinari, G. Parisi, “Calcolo delle probabilità”, pp. 363-364.
La vita è uno spreco, per quanto si accumuli, risparmiosi, industriosi?
La libertà è uno spreco?
 
Non c’era ancora (non c’è) nella Garzantina di Filosofia trent’anni fa. Il pensiero fatica ad aggiustarsi a un concetto nuovo? Benché di ottica radicalmente rovesciata, su concetti, e realtà, basilari: storia, progresso, sviluppo – il mondo si consuma, o si immortala?
 
Heidegger - Non si riflette quanto la sua critica alla modernità, alla tecnica, allo sviluppo, sia reazionaria, e anche poco riflettuta – epidemica, superficiale, irritata: irretita in un pregiudizio “popolare”, provinciale - la vita modesta, il costume, il bastone, le uose. La cosa è argomentabile agevolmente. Ma basti richiamare l’analoga critica del Dostoevskij pubblicista, specie in tarda età, vituperatore dei “mercanti” ebrei, che Vasilij Grossman, “Ucraina senza ebrei”, conduce radicale in poche righe. Il tardo Dostoevskij confonde l’irruzione della borghesia negli assetti sociopolitici tradizionali della Russia, Stato autocratico e oligarchico, di mercanti e appaltatori, accaparratori, industriali, finanzieri, con la microboghesia ebraica. Una curiosa reazione, politica prima che una manifestazione di antisemitismo: “Studiò il personaggio del commerciane ebreo e lo prese in odio, senza capre che, mentre osservava il commerciante ebreo, l’appaltatore ebreo, l’intermediario ebreo, stava semplicemente guardando lo specchio che rifletteva i milioni di facce” della borghesia russa, una novità storica. 
 
Di Cesare di ontologico l’antisemitismo di Heidegger. Ma di che ontologia? Minima, da agitatore, predicatore,
spiessburger.


Nel gergo polivalente (ambiguo) alcune cose sono chiare. Spiacevoli, o deludenti. 


Nazionalismo – Si rifiuta perché ha derivato all’identità, micragnosa, microscopica, dopo aver derivato all’eccezionalismo, ai “primati”. O meglio essere passato per entrambe le derive, l’uno nutrendo l’altro. Dopo essere stato fattore di libertà, e di recupero della tradizione, del passato, della storia – e di linguaggi, usi, costumi, del folklore perché no. Ha derivato a fattore di imperialismo etnico. A un imperialismo chiuso, mercantilistico e non diffusivo, e arcigno. Fino alle degenerazioni dell’eccezionalismo, di cui molto soffre la politica contemporanea, a rischio deflagrazione. Di imperialismi che si ancorano all’eccezionalismo, alla chiusura come superiorità nazionale, etnica. Seppure curiosamente, nel caso dell’America, bilanciere e motore di questa deriva, di un’etnia composita e anzi affastellata. Di componenti che spesso si contrastano, per un eccezionalismo deviato a faide interne - ora ancora difensive, la cancel culture e la critical theory, domani chissà.

 
Poesia - “La traduzione di una poesia è una poesia, che ha in un’altra poesia la sua ragione di essere” – Ottavio Fatica, “Lost in translation”. Come da etimo, poiesis, creazione.
Fatica si rifà a Cocteau, la poesia è un linguaggio a sé. E a Mallarmé, la prosa non esiste – c’è l’alfabeto, e poi versi più o meno compatti, più o meno diffusi. Ma Mallarmé, che è forse l’ultimo guardiano delle metriche francofone (si pregiava di essere il poeta nazionale, nell’anno o due dopo la morte di Verlaine) è lo stesso che sancirà, a suo dire, anche la crisi del verso, con i fili stesi del postum “Coup de dés”, poema grafico (tipografico), cioè in immagine invece che in parole – l’alfabeto ridotto a segno grafico.
Pasolini farà poesia-oratoria in prose libere, non scansionate, dette versi perché tagliate a un certo punto ma senza scansione interna. Che si rileggono inerti, insonore, malgrado l’intento incitatorio – militaresco, di mobilitazione.
 
Prosa – “Il fatto è - conclude Fatica, sempre “Lost in translation”, la sua succinta trattazione della traduzione come “poesia” - che la prosa non esiste”. La sua, però, sì. Fatta di avanzamento, ragionamento, misura logica – spiegare, dimostrare, richiede una costruzione sapiente, cioè architettata, misurata.
Fatica si rifà a Mallarmé, che a un certo punto, elevato(si) a poeta nazionale, scopre anche questo, che la prosa non esiste – c’è l’alfabeto, suoni articolati, con una serie di combinazioni, bene o male articolati. Tutto in effetti si può dire, purché abbia un senso, buono o sbagliato.
 
Sogni – Bagheera chiama Mowgli “il piccolo sognatore di sogni”. Una creatura forse per questo più realistica, fra le tante, animali, materiali, che popolano fantasiosamente “I libri della giungla”. Freud era cresciuto? Ma si sa, perlomeno si dice, che teneva “I libri della giungla” fino all’ultimo, anche nel trasloco dell’esilio, come livre de chevet.

zeulig@antiit.eu

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