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venerdì 26 maggio 2023

Letture - 521

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Angoscia – Contemporaneamente al “Concetto dell’angoscia” Kierkegaard pubblicava, 1847, un libro di prefazioni a libri mai scritti, “Prefazioni. Lettura ricreativa per determinati ceti a seconda dell’ora e della circostanza”, firmandola Nicolaus Notabene, un’opera umoristica.
 
Ave – L’ave” dell’“Ave, Maria”, non è il buongiorno romano: nel greco del vangelo di Luca, I, 28, è “rallegrati” - χαϊρε, sii lieta.
 
Brexit – Un libro di 10 sterline che costava 11 euro ora ne 15 euro - Stanley Tucci, “Taste” dela Penguin , £9.99, in € prezzo consigliato 16 – la libreria lo vende a 14,75. Cosa è aumentato? Il cambio è semrpe, più o meno, di € 1,1 per una sterlina.  
 
Dostoevskij – Fu antisemita per errore? È la tesi di Vasilij Grossman a conclusione della plaquette “Ucraina senza ebrei”. Odiava l’affarismo, come era e sarà di una larga frangia di intellettuali russi, e confuse la crescente borghesia nazionale, nella Russia ancora vecchia di padroni e servi, come una invasione della microborghesia ebraica.
Una reazione strana, per uno che aveva viaggiato. Ma comune nell’intellighentsia  russa.
 
Eccezionalismo – È, è stato, tedesco prima che americano (o americano per essere tedesco? C’è mancato poco che l’America non nascesse tedesca a fine Settecento). Lo individua Vasilij Grossman nei ritrovati appunti “Ucraina senza ebrei”, “l’ideologia dell’eccezionalismo e del disprezzo per gli altri popoli, dell’indifferenza per le sofferenze altrui e del sentimentalismo esasperato nei confronti dei propri simili”. Era tedesca “l’idea sciovinista cullata e alimentata per decenni dal convincimento che si possa amare il proprio popolo solo se si disprezza il resto dell’umanità; è la certezza sconfinata della propria insindacabile egemonia sul mondo”.
Ma non solo della Germania, antivede Grossman nel 1943, a guerra ancora incerta. Il bacillo dice dell’epoca, come presto sarà nella guera freda, e poi, di più, nella globalizzazione, o “pensiero unico”: “La consapevolezza di un tale eccezionalismo non sonnecchia soltanto nell’animo del popolo tedesco, è piuttosto il flagello dell’umanità di oggi”.
 
Marina Jarre – Dimenticata in Italia, è celebrata in America per la traduzione di “I padri lontani” e “Ritorno in Lettonia”.
 
La Pira – Il “sindaco santo” è uno dei pochi credenti che non si santificano. Ricordando Ettore Bernabei nei suoi ultimi giorni, Marco Bernabei all’incontro fiorentino “Ettore Bernabei, Giorgio La Pira e la cultura fiorentina degli anni ’50” testimonia che, intrattenendo il padre morente di desideri possibili - su “quale desiderio potesse ancora trattenerlo fra di noi” - “vedere la beatificazione di La Pira in San Pietro fu quel che si lasciò andare a dire”.
 
“Nel 1977, quando La Pira muore, Sergio Lepri pubblica nel notiziario dell’ agenzia (Ansa, n.d.r.: - Lepri scrive di se stesso, in fine all’introduzione del volume “Ettore Bernabei e il Giornale del Mattino”) un racconto del viaggio di La Pira ad Hanoi, scritto da Mario Primicerio che lo ha accompagnato nella capitale del Vietnam. Il pezzo è ripreso dalle agenzie internazionali France Presse e Associated Press, e a Parigi “Le Monde “ne pubblica un sunto con un titolo a due colonne.  Sui giornali italiani niente”.
 
“Il comunismo non avrebbe vinto, come credevano Dossetti e anche Aldo Moro”, ricorda di La Pira nello stesso volume Lepri, in una ricostruzione della Firenze degli anni del “sindaco santo”. “«Il comunismo non può non morire», diceva La Pira” - per una ragione per lui semplice: “«Il comunismo è ateo»”.
 
Lascia o raddoppia – “Il «Giornale del Mattino»”, ricorda ancora Lepri, che ne era caporedattore, “unico quotidiano in Italia, ha un’ida che si dimostra fruttifera di simpatie e di vendite: ogni venerdì una pagina intera è dedicata al resoconto di «Lascia o raddoppia?»”, il programma di Mike Bongiorno, che andava in onda giovedì, “ai ritratti dei concorrenti, alle riproduzioni delle domande e delle risposte”. A Milano, invece, il “Corriere della sera” ragionava così, contro la volgarità dell’intrattenimento: “Se non en parliamo noi non esiste” – è vero che era il parere del condirettore Michele Mottola, “napoletano di origini irpine”, probabile nobile, ma per un periodo fu così.
 
Russia – Ottavio Fatica evoca Kim, nel suo trattatello “Lost in translation” sulla traduzione-come interpretazione, la dimenticata lettura di ogni ragazzo, che “gira sempre in tondo nel Grande Gioco o Torneo delle Ombre (quello fra l’orso russo e il leone britannico) che giorno e notte mai non cessa”. 
 
Stupro – Alice Sebold, la scrittrice famosa per “Lucky” e “Amabili resti”, un memoir e un romanzo sullo stupro di cui fu vittima a diciott’anni, l’8 maggio 1981, a mezzanotte, nel sottopassaggio di un parco, non trova più parole, dice, da due anni, da quando l’afroamericano condannato per la violenza è stato riconosciuto innocente. Dopo sedici anni di carcere, in semi-isolamento in quanto stupratore di un ragazza, e venticinque di isolamento sociale. Non trova “più parole” per scrivere, nemmeno per scrivere alla vittima dell’errore giudiziario, da lei indicato ma senza colpa.
 
Suicidi – Suicida per antonomasia è la “Signorina Else” del racconto di Schnitzler. Ma si è veramente uccisa? Ha preso abbastanza veronal per farlo, ma all’ultimo i soccorsi arrivano, e poi è lei stessa a raccontarsi la sua ultima convulsa giornata. Fino agli ultimi istanti, prima dell’assopimento col veronal – i soccorsi sono in tempo per la lavanda gastrica.
 
Titoli nobiliari – Sono vietati all’anagrafe in Austria, già dal 1919, alla nascita della Prima Repubblica dopo il crollo del’impero absburgico – come dopo la seconda guerra mondiale in Italia. Mentre sono utilizzabili in Germania. 
 
Traduzione – Ottavio Fatica, traduttore eminente, la vuole sempre “poetica” –  come da etimo, poiesis, creare: “Quando si traduce ci si accorge con stupore  di non scrivere in prosa bensì, volenti o nolenti, in versi, prigionieri di un ritmo, ingabbiati dentro leggi e misure”.
 
Usa – Stanley Tucci, attore e gastronomo rinomato, buon patriota, si ritrova nella Festa dell’Indipendenza o della bandiera solo nel paio di occasioni in cui l’ha celebrata a Londra, dove si è stabilito da una decina d’anni, invitato all’ambasciata. A casa no, la festa della bandiera “è stata monopolizzata”, nota in “Taste, la mia vita nel cibo”, “da falchi che agitano la bandiera più come un’arma che come un simbolo di liberta, accettazione e opportunità”. E ricorda, dei suoi ultimi anni in America, che si era cominciato a chiamare le  patatine fritte, in inglese french fries, Freedom Fries, “mentre si boicottavano e perfino si frantumavano bottiglie di vino francese perché la Francia si era rifiutata di mandare truppe a sostengo degli Stati Uniti in Iraq”.
L’Italia ce le ha mandate – con molti morti anche, per inavvertenza: avrà venduto più vino?

letterautore@antiit.eu

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