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giovedì 11 novembre 2010

Da Fini a Fini, il golpe continua

Che un presidente della Camera provochi la crisi del governo eletto e sciolga il Parlamento dice tutto sulla natura della crisi. In un regime costituzionale vero ciò equivale a un golpe, seppure senza gli sceriffi in armi. Ma questo è inutile ricordarlo ai tanti legulei e scienziati politici, che imperversano sui giornali e nelle televisioni, e ai tanti custodi della legalità repubblicana, dal Quirinale in giù. Il fatto è che Fini ci ha preso gusto nel 1992 col golpe dei giudici allora neo fascisti, i procuratori Cordova e Di Pietro, e ci riprova con gusto: è la sua Italia.
Diverso è il giudizio altrove in Europa. In Germania la cancelliera Merkel e il presidente del Bundestag si sono rifiutati di ricevere Fini. E un tentativo di viaggio a Bruxelles dello stesso alla presidenza dell’Unione europea è abortito sul nascere. I regimi costituzionali moderni sono nati dal Lungo Parlamento, che si oppose a Londra a metà Seicento allo scioglimento perseguito dal re.
Ma non c’è solo Fini, c’è l’ideologia della crisi con cui i padroni del paese, nei giornali e nelle proprietà dei giornali, perseguono l’obiettivo dichiarato di avere governi deboli. Anche quando sono eletti con una larga preferenza dell’elettorato. In Inghilterra un voto diviso dà comunque campo a un governo stabile, in Italia un voto plebiscitario, per tre elezioni di seguito, una nazionale e due regionali, si rovescia con i Woodcock e i Fini.
Fino a quando? Fino a quando si potranno fare governi come quelli di Scalfaro, manovrati a prescindere dal voto. Napolitano potrebbe non ripetere quell’esperienza, avendo lunga e onesta esperienza della politica. Ma non è detto, la sindrome Scalfaro è forte, o sarà l'età, o l'aria infetta del Quirinale: come Scalfaro nel 1994, anche Napolitano ce la sta mettendo tutta per sabotare la legge di stabilità. Anche se l'Italia rischia il declassamento del debito -tanto più ora che l'Irlanda sta rilanciando la speculazione. Mentre sui giornali e nelle tv nessuno dei professoroni che fanno l’opinione ha detto o scritto una sola parola sulla gravità dell’iniziativa di Fini. E questo conduce a un’altra, più inquietante, prospettiva. Vige la vulgata che l’Italia è un paese allo sbando perché berlusconiano: farfallone cioè, consumista, inetto. Mentre l’inverso è vero: il paese lotta da quasi vent’anni contro l’antipolitica – ma è golpismo – che lo affligge.
Un minimo di riflessione dice che Fini non può fare il leader della sinistra, nessuno lo seguirebbe. Non può fare nemmeno l’alleato, lo seguirebbero i gregari in cerca di posto. Oggi sarebbe solo un indipendente di sinistra, l’ultimo, fuori tempo massimo, cui il partito garantisce l’elezione e basta, poi taccia – ammesso che il Partito possa ancora garantire un’elezione, in quell'area le cose vanno di fretta. Ma sul suo versante, seppure farfallone e inetto, ci sono i clercs: i depositari della verità e dell’opinione. I professori. Che sono gli stessi che hanno messo in profonda crisi l’università e tutti gli studi, con spese folli e il piccolo potere dei baronaggi, cioè della scelta mediocre dei nuovi professori. Ma sono inamovibili, e fanno da baluardo al partito della crisi. Insieme con i giudici e gli altri strenui difensori dei micro privilegi “costituzionali”. L'Italia di Fini è questa.

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