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giovedì 11 novembre 2010

Contro l'evasione esibita, fisco di quartiere

Girano Suv imponenti da 100 mila euro in su nei paesi scompaginati tra le buche in Calabria, nell’entroterra napoletano, al Tiburtino Terzo a Roma. Con spreco di carburante, assicurazione, gomme. Si stappano bottiglie da cento euro nei bar e i ristoranti dei paesi più remoti della Calabria e della Sicilia, da parte di ragazzotti senza mestiere né reddito conosciuto. Si moltiplicano ovunque i porticcioli turistici, ma sempre indietro sulla domanda, che si aggira già sul milione di posti barca. Si montano sempre più scuderie in ogni angolo d’Italia, con tre e quattro cavalli, i figli di famiglia e anche chi la famiglia non ce l’ha. Stili di vita che richiedono spese per centinaia di migliaia di euro, l’anno.
L’Italia è un paese ricco, e quindi non c’è scandalo. Se non fosse che il fisco non lo sa. L’Agenzia delle Entrate si fa valere come un’organismo coi fiochi e sempre si magnifica, meglio dei carabinieri, mentre non lo è. Perché le basterebbe aprire gli occhi, uscendo per un momento dai modelli e i software di cui l’ha oberata Visco, e i loro assurdi automatismi, per cogliere la realtà. Basterebbe poco, pochissimo, in uomini e tempo, per battere la famigerata evasione. Un agente-consulente-informatore o due in ognuno degli ottomila Comuni italiani, che solo si limitassero a una passeggiata di tanto in tanto per le strade del paese, e nelle città uno-due per quartiere, darebbero un quadro immediatamente aggiornato dei redditi veri degli italiani. Venti-trentamila agenti del fisco in tutto - magari pagati a premio, per accertamento convalidato. Roba di un anno-due, per impostare gli schedari e lanciare i controlli incrociati. Perché l'evasione, in Italia, è esibita, che ci stanno a raccontare che è imprendibile?

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