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domenica 28 novembre 2010

Il mondo com'è - 50

astolfo

Capitalismo – Il suo segreto confessionale potrebbe essere nel mancato riposo domenicale. O meglio nel riposo – è l’Inghilterra che ha inventato la settimana corta – ma senza possibilità di diversivo, di giocare e ballare: il sabato ebraico, la domenica scozzese o inglese, calvinista, anglicana. Da quando gli inglesi la domenica bisbocciano, è finito il loro impero. Lo spreco in questa logica è negativo non come spesa, che è parte costituente del gioco del capitalismo (c’è chi deve perdere per far guadagnare altri), ma come dissipazione di energie. Si può spendere, si deve, ma non per godere. Non è il thrift il segreto, ma il cuore arido.

I due capitalismi, il thrift e la dépense, la micragna e lo spreco, sono fisicizzati nel racconto di Karen Blixen, “Il pranzo di Babette” (meglio “Babette’s Feat”, il banchetto), e di più nelle immagini del film. È su due approcci antitetici alla vita che il racconto è costruito: il piacere, e la rinuncia. Anche un casto bacio è uno spreco, né si può indugiare sulla memoria di quel che non fu, il riserbo è una ghigliottina. Ma è la fisicità, delle persone e le cose, la spettralità e la magnificenza, che dà corpo al racconto, differenziando e scolpendo i caratteri. Su due modi diversi dell’accumulo che sono due mondi diversi, il germanico e il latino, il protestante e il cattolico, il Nord e il Sud. Quello del risparmio e del timore di Dio conclamato (recitato) e quello vissuto, del gusto, dello scialo. Quello del timore e quello dell’intemperanza, entrambi in grado di dare prosperità e indigenza, piacere e insicurezza, nel quadro di una vita che si dà il suo scopo. Che è il fondamento ultimo del capitalismo.

Conservazione – Fiorentissimo business. Come la carità. Ma è più vorace, neo controllato.
Uno dei più squallidi mai immaginati, perché: 1) camuffa il rapace profitto, e la corruzione, sotto le sembianze superiori dell’estetica, 2) a spese di tutti noi, 3) a opera di architetti e ingegneri, il cuore della modernità, della buona coscienza del paese.

Fascismo– Fu popolare (De Felice), fu l’espressione dei ceti medi, della piccola borghesia (Salvatorelli, Gramsci, e i tantissimi altri, per esempio Asor Rosa ultimamente). Sono connotazioni che sono anche un critica della democrazia di massa.
Nella democrazia di massa, a suffragio universale, a partecipazione diretta, è inevitabile che i partiti e le politiche vincenti siano di massa, o comunque maggioritari, e per ciò stesso rispecchino anche larghe fette di ceti popolari. Ma, eticamente, una colpa si può loro addebitare solo se si identificano con gli atti perversi di un regime, non se ne sono traditi, o ne sono divenuti ostaggio. Politicamente è insensato scindere, come usa nei film e romanzi su Pinochet o l’apartheid, la massa piccolo borghese dalla grande borghesia di censo, cultura, nascita. La prima facinorosa, la seconda tollerante e illuminata. È certo vero che ci sono più torturatori fra i piccoli che fra i grandi borghesi, ma è un fatto statistico. Mentre non c’è regime che si sia affermato contro le classi dirigenti. Anche il khomeinismo: l’ayatollah fu l’uomo della grande borghesia, intellettuale, finanziaria, militare perfino, laica. Ugualmente è proporzionata secondo statistica la disillusione. Con una differenza: quella dei ricchi e colti è più visibile, sa farsi meglio valere.
C’è un curioso ritorno di spirito aristocratico nella critica al fascismo (mazismo, peronismo, razzismo, khomeinismo e integralismo, bonapartismo arabo e sudamericano) come fenomeno popolare. Curioso perché scinde la colpa e in sostanza assolve i ricchi e i potenti, anche se dichiara il contrario. È questa un’operazione di destra, anche se non rozza come il fascismo, con le armi della critica democratica. Diverso sarebbe criticare i meccanismi della democrazia popolare: la formazione-manipolazione dell’opinione pubblica, il ruolo intangibile (strumentale) dei media, i limiti del voto.
De Felice non è criticabile perché fa opera di storico: dice che il fascismo fu popolare quando lo fu, e i motivi per cui lo fu – e che fu anche impopolare. Diverso è il giudizio a carattere politico – della sociologia politica da Salvatorelli a Asor Rosa – che attacca la democrazia popolare senza criterio: senza rispondenza ai mutevoli fatti storici, e senza un quadro generale delle cause e degli esiti.

Gattopardismo – Non è un artificio o una trappola, è una disposizione d’animo: l’aristocrazia, che sia nobilitata o sia borghese, è debole. Esaurita la spinta acquisitiva, nella fase della fruizione (aristocrazia), i potenti sono fiacchi. Non per stanchezza, per natura. Forse per sazietà, ma soprattutto per “natura”, anche la natura si acquisisce: si diventa aristocratici nella fase – familiare, sociale – della conservazione, che vuole disponibilità e quieto vivere. Nella fase dell’acquisizione si è invece “naturalmente” briganti e ribaldi avidi. L’aristocrazia che, secondo Tocqueville, ha fatto grande e sempre moderna l’Inghilterra è quella nascente, la borghesia che la corona sempre si occupa di nobilitare.

Hong Kong – L’Inghilterra ha “aperto” la Cina in due maniere, con la guerra dell’oppio e con la retrocessione di Hong Kong. Con Hong Kong ha contagiato la Cina meridionale, da Canton a Shangai e Nanchino, fin negli stili architettonici e i modi urbani, metropolitani.
È l’ambivalenza dell’imperialismo, che non è (solo) sfruttamento: violenza e ammodernamento. Anche se è stato meno efficace, nel senso dell’ammodernamento e del progresso materiale e civile, là dove è stato meno violento: nelle colonie portoghesi e nel Congo Belga.
Hong Kong è anche un paradosso del colonialismo. Perché per un ventennio prima della retrocessione è stata più inglese dell’Inghilterra. Per la ricchezza, l’applicazione, la tenacia, la buona amministrazione: l’urbanizzazione di una laguna infetta, sotto erti aridi pan di zucchero, la pulizia e il decoro, l’efficienza burocratica, il senso civico. Anche Singapore è un capolavoro dell’imperialismo, la durezza politica inclusa.

Laicismo – Il problema con i massoni è, come con i comunisti, che non lasciano vivere: la cultura laica è intollerante. Dei cattolici invece, oberati dal senso di colpa, si può profittare.

Opposizione – La destra non la sa fare, non in democrazia. La sinistra ci riesce meglio che al governo. I due orientamenti hanno funzione distinta?

astolfo@antiit.eu

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