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venerdì 3 dicembre 2010

Vecchi politicanti: il Pd teme il Centro estremista

Ora che Di Pietro vota con loro, i leader del Nuovo Centro o Grande Centro, Casini, Fini, Rutelli, Briguglio e Tabacci, sono certi che il voto contro Berlusconi da loro proposto avrà la maggioranza alla Camera, 317 voti assicura trionfante dai telegiornali l’onorevole Bocchino. Nomen omen, certo, l’onorevole può dire quello che vuole, ma non conta che al Senato invece, con tutto Di Pietro, il Nuovo Grande Centro è deficitario. Che cioè il Nuovo e Grande Centro apre una crisi senza sbocco, come un qualsiasi gruppuscolo estremista. E per prima cosa ha suscitato più diffidenza che attese nel partito Democratico: il Pd teme le elezioni anticipate, soprattutto se dovesse portarne la responsabilità.
L’impudenza è segno di strafottenza, e questo potrebbe anche aver reso simpatico l’onorevole, con tutto il suo sguardo atteggiato a furbizia – del resto, c’è più furbo di un napoletano? Ora che si sanno le cose, la strafottenza è anche non senza fodnamento nella nuova famiglia di Fini: se è vero cioè che il Grande Centro, che come idea politica non ha senso, Casini non può stare con Fini, è il progetto di Carlo De Benedetti. Già primo tesserato del partito Democratico. E sempre editore e direttore di "Repubblica" e "L'Espresso", quanto c'è di più chic a Roma.
E tuttavia c’è ambivalenza nel Pd di fronte all’alleanza, ma non è tutta colpa dell’onorevole Bocchino. Né timore di De Benedetti - questo c'è, l'Ingegnere è vendicativo (è lui il vero Andreotti della Seconda Repubblica), ma anche lui ha bisogno del Pd, dei suoi 75 mila, o 750 mila, candidati-lettori. Il fatto è che, a parte l'onorevole Bocchino, le nuove leve di politicanti sono vecchi, anzi vecchissimi, genere prima Repubblica: non conta il voto, l’elettore, le elezioni, contano gli intrighi personali. Fini e Casini non hanno entusiasmato perché si confermano ciò che erano, piccoli manovrieri della destra, all’ombra di Berlusconi, dei voti di Berlusconi. In molti preferiscono ricordare che non è la prima volta che impongono a Berlusconi delle crisi di governo: l’uno l’ha voluta in passato per salvare gli alloggi di servizio gratuiti ai sottufficiali dell’aeronautica, l’altro per fare vice-presidente del consiglio il suo amico (ora ex) Follini.
Nel Pd prevale il timore di accrescere, con questi nuovi vecchi alleati, l’instabilità nel centro-sinistra che il partito stesso è nato per curare: le divisioni, gli scarti, le posizioni personali di questo o quel, seppure minuscolo, politicante. Con strumenti deprecabili: trappole, sabotaggi, vendette. Senza mai una giustificazione. Contro il voto degli elettori.
Questo è forse il punto che apre più perplessità nel Pd. Partito nato all’insegna del maggioritario. In armonia con i due o tre referendum con i quali l’elettorato s’è pronunciato a grandissima maggioranza per un governo stabile, contro le manovre di palazzo. Sono state fatte leggi in armonia con i referendum a livello locale, al Comune, alla Provincia, alla Regione, con l’elezione diretta del leader locale. Mentre il governo è stato tenuto al guinzaglio del primo arrivato: fallita la Bicamerale di D’Alema, falliti i tentatici di Amato, e dello steso Napolitano.
D’altra parte, il Pd fa fatica a prendere posizione, esso stesso frastornato. Un problema succedaneo è infatti che con i nuovi vecchi politicanti va l’opinione qualificata, che omette l’evidenza: nessun commentatore, nessuno scienziato politico che dica quello che le elezioni anticipate sono proibite. Che le elezioni sono il fulcro e il pilastro della democrazia parlamentare, e che si va al voto anticipato solo per rispetto del voto, non di Casini o Fini. Che questi “figli di Scalfaro”, come sono chiamati nel partito, il peggiore presidente della Repubblica, e della peggiore Dc, assoggettano la politica, che è l’arte di governo, a quello che loro vogliono, e che loro stessi non sanno.

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