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mercoledì 18 maggio 2011

Letture - 62

letterautore

Aterosclerosi – La disfunzione del cervello a essa associata, per cui si ricorda minutamente l’infanzia e niente di quanto è appena successo, è il procedimento caratteristico della narrativa del Novecento: la rappresentazione di un punto, precisa, ricca, fluviale, poco o nulla storicizzata e non significante – miracoli o misteri verbali. Meglio se della memoria remota. Pochi narratori vi si sottraggono: Kafka, Th.Mann, gli americani anni Trenta (Hemingway, Dos Passos). A tecnica varia: flusso di coscienza, flashback, à tiroirs, autoanalisi, incidentalità, scrittura automatica, al registratore, frammentaria, e i sogni, le visioni. Di un pensiero introiettato – il procedimento è anche della filosofia, dell’esistenzialismo e fino alla deriva del pensiero debole.
Con pretesa di significatività e conoscenza, anzi di allargamento della conoscenza: è una rappresentazione che si vuole apparentare alla fisica quantistica e dell’indeterminazione. Ma è necessariamente non significativa, se non sotto l’aspetto lirico (soggettivo, effusivo). I narratori più scaltriti vi si sottraggono, dandosi spessore storico (territoriale, nazionale, sociale), Proust e Joyce su tutti.

Pasolini – Ha fatto dei “caroselli”. Per esibizionismo? Perché “credeva” nel linguaggio dei caroselli, molto povero allora, e lo sfidava? Ma i suoi tanti celebratori in mostre e cicli d’immagini trascurano questo episodio.

La sua critica del’omologazione dell’italiano (della lingua morotea-televisiva) è un’altra critica all’ordine in realtà, alla piccola borghesia, ai “valori acquisti”. Come tutta la sua opera. Nel nome della moltiplicazione, della discrasia, del diverso, del disordine creativo.
Ma dopo di lui il disordine è finito nell’afasia: molte parole ma senza senso. Il linguaggio è ordine e disordine: è fantasioso. Dopo di lui o non contemporaneamente? Lui lo sapeva e l’ha anche denunciato. Ma a metà: quant’era onesto, intellettualmente, Pasolini?

Proust – È veramente scrittore per scrittori? Non ha proseliti né imitatori. È veramente il più letto? C’è qualche segreto (mistero) nella fortuna di Proust: istantanea in Italia oltre che in Spagna, e negli Usa (in rapporto alla lentezza di riflessi del mercato americano) all’università. In Inghilterra è selettivo. In Germania sembra inconsistente.
Anche i temi e i tipi della letteratura di “seconda fila” andrebbero analizzati.

La difficoltà di leggerlo “dopo”. Dopo aver letto la vasta produzione di fine Ottocento-primi del Novecento, compresa quella di genere, i parnassiani e i simbolisti: Huysmans, Pierre Louÿs, Tinan, Lorrain, lo steso irriso Montesquiou, il Prévost delle démi-vierges, Willy, Colette, “Chéri” etc. Dà l’impressione di essere rimasto un pasticheur, un letterato senza altre emozioni che quelle letterarie (rifà perfino Zola). E per quattromila pagine è troppo. A meno di non imprestargli una, tutt’altro che improbabile “conoscendo il tipo”, gigantesca voglia di derisione, da Rabelais della pagina scritta. È un entomologo, come è stato detto, ma della letteratura e non della società – che non c’è: non c’è la terza Repubblica, non c’è Parigi, non c’è nemmeno lo scandalo Dreyfus. Scrive di temi e vezzi letterari, non di cose o caratteri o gruppi sociali.
“Fine Secolo” è, alla somma, l’amore delle cortigiane. Che non c’è se non dei soldi. Genere vaudeville, leggero, ma anche derisorio. A opera di giovani rivoltati, di gay, e del “nuovo maschio” spregiatore – quello che sarà poi per un secolo il tipo (eterno) del maschio.

La tipologia comincia presto, l’amore a Parigi, con Flaubert e “L’educazione sentimentale”, 1869 – ambientato negli anni 1840, il regno borghese di Luigi Filippo. Dove la Marescialla si fa corteggiare, ma solo dal romantico, sprovveduto, Federico, con gli altri lo fa e basta, senza smorfie, il vecchio ricco Oudry, la celebrità Delmar, il compagno di merende Arnoux. I casi precedenti, da “La signora delle camelie” indietro a “Manon Lescaut”, valgono in altri contesti: la malattia, gli stati sociali. Nell’“Educazione” c’è anche la donna equivoca, Rosannette, forse italiana forse no, forse mantenuta forse innamorata, da tutti concupita, che s’introduce con una (lunga) festa in maschera. E c’è la donna ammirevole, benché borghese, Mme Dambreuse, anch’essa vista nelle sue (lunghe, dettagliate) feste.
Il romanzo borghese, inglese dapprima poi francese, è sentimentale: storia di palpitazioni (incertezze, attese, illusioni, vaghezze – sguardi sfuggiti, sfioramenti), equivoci, destini avversi, attorno all’amore, inafferrabile. Anche in Proust. La “Ricerca” è una saga borghese, di piccoli esseri e piccole passioni – la saga, certo. Proust tenta di dargli consistenza, ma in lunghezza, non in spessore.

Scrittura(scuole di) – Si vendono in edicola e dunque sono un genere forse necessario, di largo consumo se non di prima necessità. Ma hanno diffuso e diffondono la bella scrittura vacua. Sulle orme di Baricco e della sua scuola, la più seguita e grande, o di Foster Wallace, che se ne presume il padre. Dominano in letteratura, ma col nobody e il nowhere. Testi senza radici e quindi senza senso. Specie dopo i due grandi secoli della narrazione, pieni di cose, persone e fatti “storici”, da Stendhal e Manzoni a Salinger – che non è il “padre” di Foster Wallace, è una costola raffinata del vecchio tronco (mentre Foster-Wallace è all'origine un filosofo, niente a che vedere con le vacue scuole di scrittura).
È la lezione, se si vuole, di Calvino. Ma Calvino non si chiama fuori, si situa nel filone utopico e fantastico (Calvino è, bene o male, la punta raffinata del genere fantasy). Questo è vecchio ma come il tema d’italiano, ben scritto e avulso.

Scrittura – È la realtà, poiché la fa. In senso heideggeriano e lacaniano: l’essere accade, si trasmette, si comunica. L’essere è linguaggio e comunicazione. La scrittura è linguaggio ben conservato.
Anzi, è doppiamente heideggeriano: come reperto, oltre che come mezzo.
Se Heidegger può essere preso sul serio. O Lacan.

letterautore@antiit.eu

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