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lunedì 16 maggio 2011

La fine della sovranazionalità

Non ha più una funzione l’Onu, fino ad allora foro di discussione, camera di decompressione e compensazione, “mercato” aperto per i piccoli e i piccolissimi, che sempre, dice Hobbes, “sono in grado di nuocere”. Non hanno più funzione né vita nessuna delle istituzioni multinazionali e il cosmopolitismo che nella seconda metà del Novecento sembrarono dover improntare gli affari internazionali. Dopo la fine della guerra fredda. Che a sua volta agiva come stimolante di un internazionalismo egualitario, pur nella divisione in sfere d’influenza.
La Nato è diventata un’organizzazione senza sostanza. Un flatus vocis, non c’è alcun ordinamento, se non l’uso sempre più diffuso dell’inglese, lingua comune, tra gli ufficiali comandanti. Già alle celebrazioni del cinquantenario con Clinton non si sapeva che dirne. La formula che la sostituisce, la coalizione dei volenterosi, denota nella sua stessa ridicola denominazione la debolezza del concetto: non c’è una politica comune all’alleanza, non c’è forse nemmeno un interesse comune, se non quello della globalizzazione dei mercati, che si governa in altre sedi, e dunque l’alleanza serve solo alle carriere dei generali.
In Europa non si vedono che crepe e assenze. L’ue è semrpe forte burocraticamente, ma in politica è inesistente. Lo stesso euro, la moneta comune che tanti gravosi impegni sta chiedendo, è più un fatto burocratico che monetario ed economico – l’incapacità di sbloccarlo, di superare la crisi di un’economia così piccola come quella greca, ne è una delle tante prove. Non c’è spirito coesivo, e forse non c’è interesse. La mancanza di spirito coesivo, e di interesse si è segnalata per prima nel paese più importante, la Germania, che ha perso l’ottica e l’iniziativa di stampo renano, da Adenauer a Kohl. Sia la Berlino di sinistra che quella di destra, il cancelliere Schröder e la cancelliera Merkel. La Gran Bretagna aveva avuto un impulso europeista con Blair, fino all’accordo nel 1998 per l’esercito congiunto, e a un tentativo non abbastanza apprezzato di portare a un referendum che forse avrebbe avvinato Londra all’euro. Col Blair indebolito di dopo l’Iraq, con Gordon e più con Cameron, Londra non è più fuori dell’euro ma contro l’euro. Le altre politiche languono, a partire da quella agricola, che non ci ha risparmiato un ritorno dell’inflazione.
La caduta del Muro e lo sciogliete le righe hanno prodotto un’asimmetria: il mondo è diretto dagli Stati Uniti, in modi più spesso che no impenetrabili, con l’ausilio muto della Cina per gli affari economici, eretto a falso coreggente. La Cina è un gigante debolissimo nell’assetto politico, e più in quello sociale (nasse enormi di poveri, forchette tropo ampie nella distribuzione del reddito), e per questo muto e obbediente. Ma questa asimmetria, e il conseguente svuotamento del multilateralismo, tra grandi complessi (istituzioni, aree) sovranazionali, non riporta in auge il vecchio nazionalismo o le piccole patrie, ma instaura una condizione universalmente impotente se non servile, una sorta di eguaglianza dell’inutilità.
Qualsiasi altra razionalizzazione di questa politica non regge. Da ultimo il sostegno alla “primavera democratica” nel mondo arabo, Medio Oriente e Nord Africa. E a guerra al fondamentalismo islamico. Che invece è nato e si è radicalizzato con l’ausilio, le armi e i soldi americani. E si combatte con una propaganda volgare, inefficace se non autopunitiva. Corrispondente forse all’opinione pubblica del “nuovo elettore” americano, giovane, immigrato, incolto, internauta, dalla generazione epidermica. Ma per chi ha familiarità con la storia dell’imperialismo richiama irresistibilmente, se non lo riproduce, il jingosimo, il fenomeno del colonialismo popolare di massa. Mentre dell’esportazione della democrazia (dei diritti politici e di espressione, della rappresentanza, della giustizia), che è la politica ufficiale di Washington e dei volenterosi da un decennio, non si vede traccia.

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