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sabato 24 settembre 2011

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (102)

Giuseppe Leuzzi

Gor’kij, nel lungo prodigioso racconto “Infanzia”, si ferma a metà libro per dire che “i russi sotto i proprietari terrieri erano migliori, era gente temperata, mentre adesso che sono tutti liberi valgono poco!” Cautelandosi, ma non molto: “Certo i signori non sono troppo generosi ma in compenso hanno più cervello; non lo si può dire di tutti, ma se un signore è buono c’è da restare incantati! Alcuni invece sono signori, sì, ma stupidi”.
È una delle verità sinuose della storia, della democrazia ben temperata. Della diversa sorte della Toscana e della Calabria, ai due estremi del “progresso morale e civile”. Due regioni agricole e non feudali, delle quali una è stata ricca di strozzini. Un grande passato, da Pitagora fino a Barlaam, è finito nella barbarie e una storia senza passato si è innescata ingloriosa.

Il popolo risponde alle rivoluzioni. Per esperienza diretta in più di un caso, in Etiopia, Angola, Iran. Con manifestazioni esteriori oppure no, non importa, ma compatto. Diventa operoso, leale, fiducioso, apprezza l’istruzione e vi si piega, tiene al decoro, a cominciare dalla pulizia, degli abiti, della casa e delle strade. Anche nei casi in cui la rivoluzione va contro l’interesse personale, i grandi proprietari e i funzionari imperiali in Iran e Etiopia, i meticci in Angola. Lo stesso accadeva al Sud dopo la guerra agli albori della Repubblica, in una col verbo socialista, che si voleva rivoluzionario e concreto: il contadino e l’operaio che vi accedeva diventava automaticamente leale, attivo, costruttivo, e sempre aperto al didattismo e all’autodidattismo. Sembra un altro mondo o un’epoca remota, confrontata alla stolida presunzione (assertiveness) di oggi, specie dei giovani - nella finta società dei diritti.

Fra gli “aneddoti” del libro di Amato e Peluffo, “Alfabeto italiano”, c’è un particolare che sempre sfugge: nel 1863, a poco più di un anno dall’unità, il governo Minghetti impiegava al Sud 120 mila uomini armati, la metà dell’esercito. Contro il “brigantaggio”. Tutti briganti al Sud?
Amato e Peluffo non dicono che l’esercito era di coscritti E che la coscrizione fu la prima molla del “brigantaggio”, la prima misura dalla nuova Italia – già avversata in Calabria dai “Massisti” nel 1806, quando fu introdotta dai napoleonidi.

Un colonnello dei carabinieri che ha comandato la compagnia di Gioia Tauro e la tenenza di Firenze dice che la differenza è questa: “Qui (in Calabria), quando arrivano i soldi (del governo, dell’Ue) se li spartiscono tutti, a Firenze solo alcuni”. Divisi in maggioranza e minoranza, ma esclusivi.

I carabinieri sanno tutto e denunciano tutto. Ma dopo un po’, dopo aver conosciuto i Procuratori della Repubblica, “si regolano”: fanno quello che ci si aspetta da loro.

Milano
Miss Italia 2011 è una ragazza di Sinopoli, nell’Apromonte, in Calabria. Forse per questo non merita una riga sul “Corriere della sera”. Che ne ha invece, con foto purtroppo irreparabile, per Franca Sozzani “ambasciatrice dell’Onu”. Chi è Sozzani? Una giornalista milanese di giornali femminili. Che ambasceria porterà? L’eleganza.

Dappertutto dove ci sono affari loschi c’è Intesa, con l’ad Corrado Passera, pupillo del Gran Capo Bazoli, l’uomo della Curia potentissima della “capitale morale”, attivissimo. C’è da pagare il tangentone a Gavio? Ecco Intesa. C’è da “consigliare” Caprotti di regalare l’Esselunga alle Coop? Ecco Intesa. Si direbbe mafia. Ma la Procura di Milano continua a inchinarsi a Passera, Bazoli, Intesa. Non sarà concorso in associazione mafiosa, seppure esterno?

Ampia, anche commossa, evocazione del partito neo guelfo sul “Corriere della sera” di martedì 20 settembre. Il messaggio della bene orchestrata partitura è: “Aspettare”. A tutte le seconde file che scalpitano, Casini, Fini, Rutelli, Marcegaglia, Montezemolo. Su ispirazione e in attesa, l’estraneo deve presumere, di Giovanni Bazoli, il patron surrettizio del giornale? Ma perché non essere chiari? Sembra una comunicazione in codice, di stampa mafioso.

Il giudice di Milano Patrizo Gattari condanna Caprotti, il padrone di Esselunga, a una grossa multa e al ritiro del libro “Falce e carrello”, eccependo “un’illecita concorrenza per denigrazione ai danni di coop Italia”. Nel libro Caprotti documenta, non smentito, una serie di vessazioni da parte delle amministrazioni locali delle regioni ex rosse ai suoi danni, del tipo codificato come mafioso. Il Tribunale di Milano è un tribunale di mafia, ancorché non sanguinaria?

La polpa senza l’osso
Si attraversa la Piana di Gioia Tauro con una sensazione di già visto. È il giardino delle Esperidi di remote letture: uliveti sterminati, rigogliosi, agrumeti a vista d’occhio, coltivazioni irrigue lungo i fiumi. Era uliveto, malgrado la malaria, già nel Settecento, i viaggiatori sbalordivano.
Remoto, già sentito, anche il “discorso” sulla Piana, di cinquanta, sessant’anni, una vita: la mosca, la lupa, la tignola, la cocciniglia, la fumaggine, non senza la lebbra, e il troppo caldo, il troppo freddo, la sovrapproduzione, la concorrenza, il prezzo, il costo del lavoro. Insomma, il noto tema avunculare “la rendita non basta più, bisogna intaccare il capitale”. E la sensazione che, se la Piana di Gioia Tauro fosse nella Pianura Padana, renderebbe cinque e dieci volte tanto.
Questo è un fatto. È la mafia? No. È il Nord? Solo in parte, in quanto patologia psicosomatica del Sud.
È un malattia che moltiplicasse la polpa, senza l’osso.

È “la Piana” per Bartels, il senatore e borgomastro di Amburgo, che l’attraversò nel 1786, “lunga 40-50 miglia italiane, profonda 18-20” – un “miglio italiano” è 1.837 metri. Antonio Genovesi, l’economista napoletano padre dell’Economia politica, la dice una miniera di superficie, “miniera sopra terra”. Bartels, che ci ha viaggiato, è al solito perspicace: “Per quel che riguarda la fertilità, questa Piana è il paradiso in terra”, annota sintetico. Ma il tutto è disorganizzato, incolto, trascurato, le olive marciscono per terra perché non si sa come raccoglierle, il “discorso” già sentito. L’altopiano da Pizzo a Mileto (oggi del Monte Poro, n.d.r.) fornisce un terzo del frumento alla Calabria Ulteriore, ma… Iatrinoli e Radicena (borghi oggi assemblati in Taurianova, n.d.r.) “da sole producono annualmente 50 mila ducati napoletani di un lino che non ha nulla da invidiare per qualità a quello alessandrino”, ma….

Carlantonio Pilati, il giurista trentino che viaggiò in Calabria nel 1775, nota che l’unico commercio della regione è possibile solo per l’intraprendenza dei liguri, che sopperiscono alla mancanza di porti con le loro piccole imbarcazioni. E un raffronto sorge, tra le Cinque Terre e la Costa Viola, il tratto di costa calabrese tra Palmi e Scilla, pieno di Ulissidi, Oreste e Répaci, nonché di anfratti e grotte marine, spiagge isolate, profumi. Le Cinque Terre sono un business turistico fiorentissimo. Lungo la Costa Viola, che chiude la Piana a Sud, nessuna escursione è possibile, a nessun prezzo: non interessa, troppa fatica.

leuzzi@antiit.eu

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