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domenica 26 maggio 2013

Secondi pensieri - 142

zeulig

Autentico – L’autentico non si cerca nella sofferenza – sono ladro per esser povero, etc. – ma nell’invenzione. Di una poesia che è finzione che si accetta. E allora tanto più vera: dice, attrae, innova.

Si connota nel senso di veritiero, reale, rispondente alla vera “realtà”.
È concetto tedesco, per questo indefinito. È inautentico, che all’epoca era anche il disusato filisteo, molto del moderno fra gli scrittori poi detti della Mitteleuropa, o della fine del regno, da Hofmannstahl a Musil.
Adorno, che molto ne scrisse, lo fa sinonimo di artificioso, l’essere dell’arte – lui che i cultori chiamano l’ “esteta incorreggibile”: un gergo, “il gergo dell’autentico”. In musica, nelle arti visive. In alternativa all’inautentico che era il capitalismo – parliamo del 1950.
Autentica in letteratura è in realtà l’invenzione. Allo sbando (libera) ma non contro natura o contro tendenza. E non necessariamente artificiosa. Non lo è anzi in senso proprio, quando è slegata dalla “giustificazione” – oggi dal dolore, la sofferenza, la povertà, lo sfruttamento, specie nel mondo che meno ne soffre. Da ultimo nel neo realismo, che non è morto, e anzi dilaga, ma forte dal romanticismo “maledetto”, dal maledettismo. Anzi dal primo romanticismo, di Brentano, non a caso finito bigotto, e Arnim. Quando la fantasia si riconosce per essere voluta, artificiosa.

In tedesco è eigentlich. Che è anche “precisamente”, “realmente”, “appropriatamente”, “specificamente”, “in definitiva”, “in fondo”, “in pratica”. Un intercalare, proprio perché  indefinito. Derivato da eigen, proprio a, con costruzione quasi siciliana, “uguale allo zio”, eigen più dativo. Da cui Eigentum, la proprietà, anche intellettuale, titolarità. Non invece nel senso di pulito, o di ciò che è specifico, speciale. Che è l’autentico italiano.

È un residuo dell’esistenzialismo, che ne ha fatto il proprio dell’uomo, il suo fattore (valore)  distintivo. Ma con un senso specifico in Heidegger, la sua Sorge, la cura.  L’autenticità, dice Heidegger, il prendersi cura, è simulazione: reticenza e finzione. Su questo il filosofo del chiaroscuro e del celarsi è esplicito: “Non bisogna farsi ingannare, a causa della valenza etica negativa della menzogna, sul senso del tutto positivo che essa ha nella strutturazione di determinati rapporti concreti”.
Meno problematico (più onesto?) in Jaspers, “Psicologia delle visioni del mondo”, 1918, ma allora come mnemotecnica: “L’autentico è ciò che è più profondo in contrapposizione a ciò che è più superficiale”, quello che è “in fondo” alla psiche rispetto a quello che in pelle. Mai puro peraltro, sempre mescolato all’inautentico. Come non detto.

Poligamia – La filosofia se ne disinteressa, come dell’istinto volage in genere, dell’incostanza – la tirannia della naturale insocievolezza (ma naturale non è, per l’uomo, la compassione?). Schopenhauer, che dell’amore scrisse la metafisica, la usa in forma di poliandria. Volendo ravvivare la natura, che ripetitiva genera tanti uomini quante sono le donne, ideò il sistema variabile a scalare della donna in uso a due uomini, da surrogare via via con una più giovane.
Proposta migliore se ne potrebbe ricavare dai cavalli semibradi, tra i quali la poligamia è diffusa ma non la comunione delle giumente: lo stallone, rinchiuso quando la forza monta con una dozzina di femmine coetanee e poi da esse separato, sa ritrovarle alla nuova stagione degli ardori, le infedeltà equine sono rare. Questa sfuggì a Schopenhauer – ma è pure vero che soddisfare una dozzina di fedeltà non è impresa lieve.

Preghiera – “La preghiera fa i miracoli”, ama dire il papa Francesco. O non il miracolo è la preghiera, che è una forza di auto convincimento? Come, nei riti collettivi, il peptalk, l’inno di battaglia. L’invocazione di Dio o dei santi come una forza di autosuggestione. “Tu non puoi supplicare Dio con le preghiere” è verso di Jim Morrison, quello dei Doors, un cantautore dunque, sregolato (morrà di eroina): ottima teologia.

Si prega in ginocchio ma più spesso in cammino. Sul marciapiedi. A Roma è frequente fra tante edicole di devozione, in particolare tre o quattro della Madonna del Divino Amore, quella della “Dolce Vita”. Una devozione dopo cinquant’anni, se possibile, moltiplicata. Le pareti tappezzate di ex voto nel santuario non si contano. E si estende, invece di collassare, l’uso delle famiglie estese. Ricche di prozii e biscugini, di padre e di madre, di fare il Primo Maggio al santuario, sulle panchine e sui prati. Si prega anche in gita.

Sette – È un numero primo, come il tre, ma non è questo che fa la sua fortuna – pure il cinque lo è, mentre non lo è il quattro, che è invece altrettanto pesante nella numerologia.

Si vuole introdotto nella classicità da Pitagora, con la dottrina dei sette pianeti, che non era in uso presso i greci bensì presso i fenici che si erano insediati in Grecia. Nietzsche, “Il servizio divino dei greci”, pp. 29-31, ha moltissimi esempi di “adozione” del sette a un certo punto della storia greca. La questione storica è quindi chiara - il paradigma della storia greca è da alcuni decenni sottoposto a radicale revisione, dopo Arnaldo Momigliano cinquant’anni fa (ma già il fantasioso Bérard aveva le idee chiare, il suo “Les Phéniciens et l’Odyssée” è del 1903): non più il caso isolato e la fortunata eccezione, ma l’esito fertile di un connubio composito.
Di sette è piena in effetti la Bibbia. Ma non al modo come vogliono i commenti vaticani, che “il sette nelle Scritture indica un numero grande, e moltiplicato indica un numero indefinito”. Sarà “la semitica totalità” di Ceronetti. Ma c’è anche nel paganesimo. E nel cristianesimo: i sette diavoli di Maddalena, le sette parole di Cristo in croce - oggetto di appassionata trattazione di san Roberto Bellarmino, quello che invece a Galileo contestava la scienza. Sette anche i gradini della scala di sant’Agostino per valutare la capacità di comprensione dell’anima.
Tutto è sette nell’“Apocalisse” (Sigilli, Angeli, Trombe, Segni, Lampade, Chiese, Coppe versate), opera di san Giovanni di Patmos patrono della massoneria – che il pio Renan definì “libello radicale contro l’impero romano”, e l’erotologo inglese D.H.Lawrence, figlio di minatore, “un’orgia di mistificazione al lavoro da quasi duemila anni” per minare l’aristocrazia del Cristo, o il carattere individuale della salvezza, mediante la sobillazione delle masse (è “metafora del crollo del capitalismo” per H.M. Enzensberger).

zeulig@antiit.eu

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