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venerdì 14 febbraio 2014

Letture - 162

letterautore

Actuosum Abini – Vive nella “Clavis” e nel “Titan” di Jean Paul. Una sorta di materia prima, che sarebbe stata teorizzata dall’anatomista tedesco B.S.Albinus a metà del Settecento – o dal padre suo, che si chiamava anche lui Bernhard ed era anatomista? Per Jean Paul è il principio attivo che rende possibile la vita, di cui attribuisce l’ideazione all’incolpevole fisiologo - la cui colpa semmai è di essere stato un meccanicista, il corpo riducendo a ossa e muscoli. La letteratura fa la storia, a volte..Anagrammando la sostanza, il sito Falkenstern Anagramm Generator (Anagramm Spieleck.de), ci ha costruito sopra 1.086 parole, e un numero imprecisato (10897286400?) di anagrammi “matematici”.


Boccaccio – George Orwell – ma nell’ambito di lunga tradizione di studi britannici – ha “l’innocenza del Boccaccio”. Perduta per via della Riforma, anche dopo non c’è stata – poco boccaccesco è in effetti il “Decameron” di Pasolini, o Balzac delle “storie drolatiques”. Situazioni e terminologia sono nel Boccaccio piane e non pruriginose perché il suo mondo era pacificato. Orwell dice “quasi pagano”, ma questo è dubbio: nei confronti della religione la misura comune del “Decameron” è il dileggio. Che, se astratto, è più cattivo di qualsiasi anticlericalismo laico, e invece è una “questione di famiglia”.
Già prima della Riforma, delresto, un puritanesimo aleggiava: già Rabelais, nota Orwell, è sconcio.

Confessione – È altro genere, non da oggi, rispetto alla “Vita Nuova” di Dante – e ai precedenti latini e greci. Anche alle epistole di Petrarca. Oggi è come diceva T.S.Eliot nel suo primo saggio su Dante, 1920, di cui apprezzava la mescolanza di biografia e allegoria, l’estrapolazione di un senso dalla cose piuttosto che l’aneddoto e l’esibizionismo: “Al giorno d’oggi possiamo leggere sulla stampa «confessioni» di un valore insignificante. Ognuno met son coeur à nu (titolo del quaderno di riflessioni di Baudelaire, n.d.r.), o finge di farlo, e l’interesse per la cosidetta «personalità» è un fenomeno di una ricorrente variabilità”.

Dante - Quello esoterico, di cui in molta pubblicistica, e fondamentalmente in Asín Palacios, lo studioso del  “Dante islamico”, più propriamente influenzato dal mistico sufi Ibn ‘Arabi, diventa insostenibile nella versione corretta che ne dà Henry Corbin. Nel saggio su Ibn ‘Arabi, “L’immaginazione creatrice”, l’orientalista francese riconduce la cosmologia e l’antropologia di Dante alla teosofia della luce del neoplatonismo zoroastriano. In età ellenistica trasfusa nell’islam dalle dottrine gnostiche e ed ermetiche. Dopodiché, via Avicenna, questa teosofia permeò la cultura medievale.  

Eretico non lo fu a dispetto della chiesa, che invece lo avrebbe voluto. È – sopratutto se lo si legge invece di parlarne o di sentirne parlare – la chiesa vivente, l’unica possibile (immaginabile), in ogni suo aspetto, sia pure minimo, un anfratto, una sinuosità. Della vita conosciuta e degli scritti, in poesia e in prosa. Ma a dispetto della chiesa. Dopo il concilio di Trento, ma anche prima, lungo la linea da Petrarca a Bembo.
Dante riesce dall’ombra a fine Seicento col Gravina, nel quadro del suo “principio di verosimiglianza” e del necessario “rapporto tra poesia e realtà”. Nonché degli orientamenti probabilmente anticlericali, benché Gravina fosse  legato al card. Pignatelli, vescovo di Napoli.

Don Giovanni – “Ogni Don Giovanni si risolve in un Faust, ogni Faust in un Don Giovanni”, Friedrich Hebbel. Non ogni Faust, quello di Lenau e Goethe sì: trapassi tedeschi – fisica della metafisica?
Però, il Don Giovanni-Faust è di un italiano, Da Ponte, e di un italianista, Mozart.

Editoria – L’editoria commerciale, a fine Settecento, fu un punto di svolta nella storia della letteratura: aprì gli accessi alla scrittura praticamente senza restrizioni, se non quelle deboli (labili, volubili, influenzabili) del pubblico, dei gusti della maggioranza. Comunque di un pubblico abbastanza vasto da liberare lo scrittore dai vincoli di casta, camarilla, corte, dalle inevitabili protezioni. L’autoedizione, con la stampa a domanda e con l’ebook, potrebbe essere la nuova svolta. A condizione che trovi (si apra, si crei) sbocchi all’uscita, verso il pubblico.

Parodia- L’esito ultimo è “Finnegans Wake”, un pasticcio circonvoluto. Contorto, attorcigliato su se stesso. Un onanismo mentale. Come di un grande, immenso, incommensurabile, perfino sapiente, attore comico, che si scompiscia alle sue proprie battute in un teatro attonito – vuoto in realtà. La parodia non regge la distanza: è uno sprint, un uppercut.
Nel “Brusio della lingua” R.Bathes la vuole sovversiva: prendere di petto il senso non produce che altro senso, la sovversione del linguaggio è “barare, celare, sottilizzare (nelle due accezioni della parla: raffinare e far scomparire un bene), cioè a rigore parodiare, ma ancora meglio simulare”. Ma l’ironia dissecca.
Meglio dice Kierkegaard: “Il quadrato è la parodia del circolo: la vita e il pensiero sono un circolo, mentre la pietrificazione della vita prende la forma della cristallizzazione. L’angolare è la tendenza a restare statici: a morire”. La parodia è solo scherzo. Quindi breve, inattesa, sorprendente. Altrimenti è faticosa, infelice ripetizione.

Pasolini  - È don Giovanni. Dario Fertilio riassume sul “Corriere della sera” la lettura di un romanzo inedito di Carlo Sgorlon sulla morte di Pasolini, “Nel segno del fuoco”, che così riassume: “Sgorlon trasforma l’eros torbido e tormentato di Pasolini in una pulsione estrema ma ortodossa, non più omosessuale ma dongiovannesca”. A  parte il lapsus della “ortodossia” (di Fertilio?), è la lettura che mancava. Sostenuta anche da chi lo conosceva bene, come Naldini, lo stesso Moravia.
Ma la sindrome omosessuale si può dire molto dongiovannesca, del Don Giovanni di Da Ponte e Mozart, ossessionata dal catalogo, dalla pulsione insaziabile, dal possesso che sfugge, e per questo tormentata.  Sia quella del Gay Pride sia quella rimossa. Don Giovanni è l’insufficienza del sesso-possesso.
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Umorismo – È interno al linguaggio, secondo Jean Paul, umorista incontinente tra Sette e Ottocento. L’uso acuto dei segni, per l’arte germanica del Witz (ma lo humour britannico non è diverso) che ne moltiplica i riferimenti al reale e il senso delle cose, ne è l’essenza. Non necessariamente stravolgendo i segni, solo rivelandone “altri” nessi. Al fondo, una ingegneria della metafora. Tanto più “naturale” – istintiva, basica, ovvia, non artificiosa (non manifestamente) - tanto migliore, riuscita.
Jean Paul diceva “naturale” l’attività metaforica, la costruzione di nessi, anche i più improbi-improbabili. Naturale al linguaggio, che ne avrebbe bisogno in continuo per l’analogia necessaria, da ricostituire a ogni istante, tra “interno” ed “esterno”, la percezione e l’esperienza.

letterautore@antiit.eu

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