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martedì 11 novembre 2014

La miseria è politica, che non si può dire

“Noi grazie a Dio siamo liberali in politica e in religione, e riconosciamo non l’autorità del Re o del Papa, ma quella del Parlamento e del Concilio”. Contrario anche all’autorità papale in materia non di fede, con sillabi e altri decreti. E nelle questioni filosofiche, il pantesimo, il materialismo, il razionalismo, che sono opinabili e anzi errori, ma tutti debbono poter discutere senza condanne: “Il papa ha fatto benissimo a condannare questi errori”, ma “la quistione è se il Papa, come Papa, dovea condannarli, e noi rispondiamo che no”. La ragione è perfino ovvia, ma bisogna dirla: “Il Papa, come Papa, non è filosofo; decide in argomenti di fede, non di ragione; le verità che si provano col raziocinio, e che col raziocinio si combattono non gli appartengono”.
Detto oggi, sembra ancora eretico. Detto un secolo e mezzo fa, da un prete, si direbbe blasfemo. Mentre è solo la verità dei fatti - che la chiesa in realtà conosce anche se non riconosce (anche da prima del sinodo che il papa ha ora aperto per l’aggiornamento). Padula ci vedeva chiaro, dal fondo della sua remota provincia, Cosenza, dove “frati, preti e bizzocchi, avvocati, farmacisti ed i mille ex impiegati del cessato governo ingannano il volgo sciocco, smaltiscono frottole, inventano accuse”. Non solo in fatto di Stato e chiesa: contro l’appropriazione della manomorta, invece del suo utilizzo per usi e finalità di pubblico servizio, per l’insegnamento laico, per il matrimonio civile, etc. Ma, sempre modernamente, da contemporaneista in anticipo, contro la burocrazia e la burocratizzazione di cui il Piemonte subito affliggeva l’Italia.
Questo “stato delle persone in Calabria”, da cui Carlo Muscetta estrasse nel 1950 il titolo della sua antologia del “Bruzio”, il settimanale di Vincenzo Padula, il curatore voleva “la prima inchiesta sul Mezzogiorno dopo l’unità”. Non era avventato, ed è vero, comparativamente, anzi, un’inchiesta più incisiva e precisa, benché rapida, delle successive, per quanto organizzate ed elaborate. Ma isolata e ignorata. In un certo senso dallo stesso curatore.
Il “Bruzio” Padula redasse e editò da solo – usava: il caso più famoso sarà “Die Fackel” di Karl Kraus, da fine Ottocento per quarant’anni, anche se nelle prime annate fu aperta a molti collaboratori -  in Cosenza per poco più di un anno, tra il marzo 1864 e il luglio 1865. L’antologia comprende anche una diecina di pagine tratte “Da uno zibaldone inedito”, sulle magare e sul santo Martino. Viene ripubblicata con i testi e nell’ordine impressi da Muscetta per l’editore Parenti – senza la sua introduzione: Capricci e bizzarrie, Cronache di Cosenza, Stato delle persone, Storia di briganti, Le industrie e la terra.
Muscetta ritornerà su Padula con altre antologie. Questo scrittore quindi in qualche modo sentiva suo. Ma dopo averlo coperto di insulti e apparentamenti derisivi. Forse volendo strappare lo scrittore a Croce, che lo aveva riscoperto e riproposto cinquant’anni prima, per farne creatura sua, il permaloso letterato irpino lo insegue per 250 pagine  - tanto era lunga la sua introduzione alla prima edizione di questa raccolta, due terzi della raccolta stessa – per coprirlo di improperi, acidissimo. Ne legge con attenzione tutti gli scritti, anche inediti, e la corrispondenza, ma a ogni pagina lo minimizza e anzi polverizza. Epigono lo dice di Parzanese (? uno di Lariano Irpino), Betteloni Prati, Poerio, imboscato nel ’48 – quando invece fu sparato, ed ebbe un fratello ucciso -, etc. Curiosamente incapace di apprezzarne la vena bizzarra, satirica, scherzosa, bernesca. E la multiformità, in poesia, racconti, teatro, prose politiche e morali, perfino teologiche, il miglior latinista su piazza ai suoi anni – da ragazzo in seminario aveva appreso l’“Eneide” a memoria.
Alla fine Muscetta lo diceva “geniale e sfortunato”, ma non più che ingenuo, velleitario, al meglio utopistico. Mentre è realistico all’estremo, e moderno, quasi un contemporaneo, in palla e col tocco giusto su tutte o quasi le questioni irrisolte dell’unità, la politica, il Sud, il Vaticano, la scuola, la borghesia, l’agricoltura, le tradizioni, in una prospettiva pluralista, federalista, moltiplicativa invece che riduttiva. “Articoli stupendi di pensiero e di forma” trovava Croce questi stessi scritti. “La sfortuna di Padula” è il titolo dell’introduzione, quasi una biografia letteraria, di Muscetta. E questo è vero.
Padula chiuse bruscamente il “Bruzio” il 28 luglio 1865, alla vigilia delle elezioni, le prime vere politiche, per non poter dire, dirà poi in una rievocazione di Antonio Genovesi, quello che l’illustre economista stesso non aveva potuto dire un secolo prima ma confidava all’amico Leone Cortese: “La nazione è povera, volete sapere perché? Non dite: è la poltroneria, è il lusso, è il malcostume, è il non esserci più fede, né privata né pubblica. Ciancie. Tutti questi mali non sono cause, ma effetti della povertà. E donde nasce questa povertà? Non dal suolo, non dal clima, ma dalla costituzione politica”.
Vincenzo Padula, Persone in Calabria, Rubbettino, pp. 259 € 5,90
Montecovello, pp. 218, € 16,90

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