Cerca nel blog

mercoledì 19 ottobre 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (304)

Giuseppe Leuzzi

Gerhard Rohlfs scoprì il greco grecanico coi prigionieri di guerra che parlavano greco. Lui chiese: “Ma voi non siete italiani? “No, siamo di Roghudi”:
E così dal 1921 Rohlfs, filologo smobilitato, cominciò a occuparsi di dialetti greci in Sud Italia.
Dove poi tornò per tutta la vita, sempre stupito dalla bellezza della scena.

 “Ci sono, in Italia meridionale, popoli un tempo famosi per la loro bellezza, divenuti brutti, piccoli, mal fatti: hanno perduto al bellezza, la grazia gli resta. È la nostra vera bellezza”. La rivendica Malaparte, straniero a Parigi, dove invece pensava di ritrovarsi a casa – nel “Journal d’un étranger à Paris”.
La grazia? “Ordine, chiarezza, ragione, maniere, buon gusto: questa è la grazia”. È chiaro che non molti ce l’hanno.

Il leghismo
Propone Salvini di togliere il Nord alla Lega, e chiamarla semplicemente Lega – tipo Legambiente, o delle giovani marmotte? Senza cambiare natura. Che porta Cittadella e mezzo Veneto a“celebrare” col lutto il centocinquantenario della liberazione dall’Austria e del ricongiungimento all’Italia. Niente di strano. La demagogia della Lega è talmente “burina” – sgangherata, rozza, inconcludente – che preoccuparsene è come farsi un problema dello scemo del villaggio. Ma è la cultura della Lombardia. E del Triveneto. E cioè dell’Italia che affettano di rifiutare – chi altro è l’Italia se non chi la domina? Ed è la cultura di questa Italia da almeno trent’anni.
Il leghismo non è insorgente, è affiorante. Ha determinato la rottura della “italianità”, e ne ha anche messo in mostra una robusta inconsistenza, diciamo da un trentennio, ma c’entra prima. Tenuto conto degli umori profondi e duraturi, ormai da un trentennio, che ha evocato e incistato, è chiaro segno di una riserva spessa, che la reticenza e la retorica di un paio di secoli non avevano scalfito. Fatta d’ignoranza e presunzione per lo più, attiva e anzi attivissima pure oggi, nel mondo connesso. Quindi frutto non solo di provincialismo, o di ignoranza o protervia: una volontà, un progetto. Quando il professor Miglio, stimato politologo, dice candido che bucando l’Appennino si sentiva all’estero – a Firenze, non ad Agrigento – il disagio è sostanziale e non polemico.
Tornare indietro naturalmente non si può. Ma dire infine, come si sta facendo, come l’italianità si è di fatto costituita, questo può aiutare. A meno di un’implosione forse impossibile, e comunque  necessariamente frammentaria. Se il Nord è unito dalla ricchezza, il Centro e il Sud non hanno punti di coagulo, e nemmeno raccordi, se non spiacevoli. Un calabrese si trova più a disagio tra la Sicilia e Napoli che a Milano – o a Düsseldorf. E il reciproco sarà altrettanto forte.
Non c’è un solo elemento unificante del Sud se non la storia. E più quella recente. E questo è tutto il nodo della sua disgregazione. L’elemento fondativo storico è di una realtà inconsistente. Quello attuale è di una narrazione che gli viene incollata dall’esterno, soprammessa cioè. Martellante, diuturna, e anche di notte, quando pure il carnefice dorme, col martello automatico, dei sogni inclusi.
La virtù del leghismo sarebbe l’odiosità. Che è una robusta difesa. Ma il Sud non sa odiare.
Non sa niente, poiché non è - non qualcosa di più che il malaffare nel quale viene a ogni momento e per ogni aspetto paralizzato? È possibile, ma non ama odiare..

La chiave di Camilleri
C’è una chiave della prolificità incontenibile di Camilleri con “Montalbano” a partire dai settant’anni? Sicuramente, e non è la possibilità di usare a oltranza il dialetto, peraltro alquanto suo personale – il suo ciuccio, la sua lallazione (il “dialetto” di Montalbano si sostanzia di una dozzina di formule). È, da siciliano nel continente, ai settant’anni infine liberato da ogni rispetto umano (oggi politicamente corretto), la possibilità di distanziarsi dalla Sicilia di rito, tornando al “noi e loro”. La mafia cioè configurando come un corpo separato se non estraneo, relegato alle sue “traggedie” di assetati di sangue incontenibili, fino di se stessi - figli, mogli, genitori, amici di una vita. Una liberazione. Convinta, e immediatamente convincente: Montalbano ha riaperto al turismo la Sicilia, che per un ventennio buono era andata deserta – la Sicilia…
Questa è anche – potrebbe essere – la chiave del successo costante dei “Montalbano”, anche dei più raffazzonati – compitini politicamente obbligati, articoli di giornale, interviste camuffate, divagazioni sentimentali (familiari, adolescenziali). Tra i milioni di siciliani, specie “all’estero”, e qualche non siciliano, che si godono un mondo godibile avendo “messo al loro posto” le bestie, nella stalla.
I film di Sironi li collocano in ville principesche, ma tutti sanno che non è vero, vivono nelle stalle.

La celebrazione del Nord
Si studia il Nord come entità unitaria. Anche se si supporrebbe che l’Alaska nulla abbia in comune, o la Groenlandia, con la Sassonia - anche il Canada. Dai tempi di Olao Magno, “Storia dei popoli settentrionali”, di un Nord più che altro pauroso. Per gli eccessi della natura e degli uomini. Accanto alla tradizione di un Nord vagina nationum. Popolato da inmania corpora. Che per farsi aria ten-gono i vicini a distanza. Storie di popoli che si vogliono puri - se Germania traduce in latino l’etnonimo germanico Sciri, i puri, non misti - e altri invece “bastarni”, da cui bastardi. Ultimamente Peter Davidson, “The Idea of North”. E Neil Kant, “The Soul of the North”. Questo più ambizioso, volendosi “A social Architectural and Cultural History of the Nordic Countries, 1700-1940”. Circoscritto alla Scandinavia, Finlandia compresa, ma con estensioni alla Pomerania svedese, e alle antiche colonie caraibiche. Un mondo unito da “valori religiosi e spirituali, vita familiare e sessualità, salute e igiene”.
Davidson e Kant sono editi entrambi da Reaktion books.

Il racconto del Sud
Flannery O’Connor, “Scrivere racconti” - in “Nel territorio del diavolo”: “Due sono le qualità che fanno la narrativa: una è il senso del mistero, l’altra è il senso delle maniere. Quest’ultimo lo ricaviamo dal tessuto dell’esistenza che ci circonda. Il grande vantaggio di uno scrittore del Sud  è di non dovere andare lontano a cercarsele: buone o cattive che siano, ne abbiamo in abbondanza. Noi del Sud viviamo in una società ricca di contraddizioni, d’ironia, di contrasti, ma soprattutto ricca nella lingua”.
Senza, però, “sguazzarci dentro” – sarebbe il bozzettismo: “Allora tutto diventa così tipicamente meridionale da diventare stomachevole, così locale da essere incomprensibile, così riprodotto alla  lettera da non comunicare più niente”. Nel nostro Sud si direbbe l’incapienza, il dolorismo, la mafiosità.
La lingua è il linguaggio, non l’espressione linguistica, il dialetto invece della lingua nazionale.
Si fa molto caso di Flannery O’Connor come scrittrice cattolica. In effetti, è sotto questo aspetto sorprendente, per la libertà mentale che sul suo cattolicesimo fonda. Ma altrettanto è un caso come è come donna e scrittrice del Sud. Che vive e opera al Sud, anzi nel “Sud profondo” – arretrato, povero - degli Stato Uniti. Da dovei non si muove, benché la fama la richieda insistente altrove. Dove vive in fattoria, con i familiari..Alleva pavoni, oche, galline. Ed è in simbiosi con la terra e gli animali come con la scrittura. Di romanzi e racconti per i quali è stata subito famosa, da ragazza. Scrittrice moderna – “nervosa”. Informata di ogni novità, di letteratura come di teologia (Teilhard de Chardin), di etologia, di ortaggi Nonché del “Sud” nel Sud. Del “Sud” che, come ogni altro scenario, non è limitato o limitativo: “Più a lungo guardate un oggetto e più mondo ci vedete dentro”.
Il problema del Sud è che nessuno ci guarda dentro. Giusto un po’ di mafia, con il mare e il sole - “qui abbiano l’aria”, l’urlo di Otello Ermanno Profazio.

leuzzi@antiit.eu

Nessun commento: