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domenica 18 dicembre 2016

Il filosofo senza emozioni

La collera, la paura passiva (chiudere gli occhi, svenire), la tristezza passiva, la tristezza attiva, che si vuole fare compiangere, la gioia? Tutte manifestazioni di difesa, per una sensazione di pericolo o di minaccia – compresa la gioia-emozione, uno “stato d’impazienza”, non la gioia-sentimento.
“L’immagine non è una cosa” è il leitmotiv del primo testo, “L’immaginazione”, 1936. L’emozione è una condotta magica” del secondo e più argomentato, l’ “Abbozzo”, o idee, “per una teoria delle emozioni”.  Che è un breve trattato, e una metodologia introduttiva alla psicologia. Come tale ha formato più generazioni in Francia, alle magistrali e all’università.
Sartre progettò il debutto nel 1936con un trattato “La Psyché”. Le “Idee” sono i materiali metodologici, pubblicati due anni dopo come “Abbozzo di una teoria delle emozioni” – precedute nello stesso 1936 da “L’immaginazione”, e nel mezzo, nel 1937, da “La trascendenza dell’Ego”. Il tutto, sembra, di malavoglia. L’anno successivo Sartre debutterà con più convinzione nella narrativa, con “La nausea”, cui seguiranno nel 1939 i racconti de “Il muro”, e poi molto teatro.
Il capitolo iniziale dell’abbozzo, “Le teorie classiche”, è un lungo Janet vs. William James – Pierre Janet è uno psichiatra, che la gloriola francese considera anticipatore della psicologia dinamica e della psicanalisi. Segue la novità, la fenomenologia. Fenomenologicamente, il “mondo”, o essenza, della psicologia è la coscienza. La quale “esiste nella misura esatta in cui è coscienza di esistere”. C’è quindi “prossimità assoluta della coscienza in rapporto a se stessa”. I due termini dei “fati psichici”, l’uomo e il mondo, coincidono: “L’esistente di cui dobbiamo fare l’analisi è noi stessi. L’essere di questo esistente è mio” (Heidegger, Essere e tempo”, p. 41). Senza illusioni: la fenomenologia è lo studio dei fenomeni, non dei fatti: “Esistere  per la coscienza è apparirsi, secondo Husserl”. Con l’avvertenza che la fenomenologia è agli inizi,  e ancora non s’è fatta un’antropologia.
Una coscienza autoreferenziale è tautologica: si conosce perché si conosce. Ma l’esercizio vale come saggio letterario. L’emozione? Per uno scrittore è facile, è come scrivere: “Per esempio, in questo momento scrivo, ma non ho coscienza di scrivere”. Che non è tracciare dei segni, per abitudine o pratica: “Sarebbe assurdo. Ho forse l’abitudine di scrivere, ma non queste parole in questo ordine”. Del resto, “l’atto di scrivere non è affatto incosciente, è una struttura attuale della mia coscienza”. La particolarità è che “non è cosciente di se stesso. Scrivere è prendere una coscienza attiva delle parole che nascono sotto la mia penna”. Sapendo che “le parole che io scrivo sono delle esigenze” – “l’azione come coscienza spontanea irriflessa costituisce un certo strato esistenziale nel mondo”. Un’emozione è come una febbre, “lo sconvolgimento volgare e totale del corpo”.  Oppure è “una trasformazione del mondo”. Le argomentazioni sono di questo tipo, apodittiche, o da manuale scolastico.
Il mondo ha “carattere duplice”: “È da una parte un oggetto nel mondo e dall’altra il vissuto immediato della coscienza”. Su di esso la coscienza si proietta come “un fenomeno di accettazione”: “La coscienza non si limita a proiettare dei significati affettivi sul mondo che l’attornia: essa vive il mondo nuovo che ha costituito”. Gli altri sbocchi essendo sbarrati, “la coscienza si precipita sul mondo magico delle emozioni”. Con esiti sorprendenti: attraverso le emozioni la coscienza (intesa evidentemente come ratio) si degrada: “L’origine delle emozioni è una degradazione spontanea e vissuta della coscienza di fronte al mondo. Ciò che essa non può sopportare in certo modo, tenta di impadronirsene in altro modo, dormendo, avvicinandosi alle coscienze del dormiveglia, del sogno e dell’isteria”. I sovvertimenti fisiologici non sono “nient’altro che l’accettazione vissuta dalla coscienza”. Insomma, “la coscienza  vittima della sua propria trappola”. E, poi, l’emozione è “magica” – il magico essendo “lo spirito serpeggiante tra le cose” di Alain. O “una sintesi irrazionale di spontaneità e passività”, eccetera.
L’abbozzo si ricorda per la contestazione della psicanalisi. “L’interpretazione psicanalitica concepisce il fenomeno cosciente come la realizzazione simbolica di un desiderio rimosso dalla censura”. Se così è, “bisogna rinunciare integralmente al cogito cartesiano e fare della coscienza un fenomeno secondario e passivo”. La fenomenologia delle emozioni deve “fare a meno di queste contraddizioni” – Sartre non sapeva quanto Heidegger, se non Husserl, disprezzava Descartes e il “cogito”. Con un’introduzione di Nestore Pirillo.
Sotto la politica niente?
Jean-Paul Sartre, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, pp. XXXV-216 € 11

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