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giovedì 22 dicembre 2016

Gadda strabiliato da Berto

Una strabiliante recensione di Gadda precede questa riedizione, scritta per “Terzo Programma”, la rivista dalla terza rete della radio Rai, nell’autunno del 1964, dopo il successo del libro-confessione. . Dopo aver celiato sulle ambasce dei tanti giurati dei premi Viareggio e Campiello che si contesero il male oscuro, e infine lo premiarono entrambi, l’ingegnere resta come a bocca aperta. Dovendo parlare del libro e non più della ricezione, parte evocando addirittura un “suggerimento cervantino”. Dà quindi atto a Berto, come se lui ne fosse un esperto, di corretta impostazione scientifica, di avere navigato cioè correttamente tra nevrosi e psicosi. E chiude senza parole, con una citazione di due-tre pagine del romanzo. Nel mezzo è come sopraffatto. Forse confuso. Come se qualcosa gli sfuggisse, di tanta spericolata originalità – anche se Berto esibiva una discendenza dalla gaddiana “Cognizione del dolore”. Cita profusamente “i Libri dei Libri”, cioè la Bibbia, l’ “Iliade” e l’ “Odissea”, l’ “Amleto”, “I fratelli Karamazov”, l’Erlebnis, esperienza o fatica del vivere, la dura necessità di Omero, “crateré ananke”, e naturalmente Manzoni. Ma non per ridere, per cercare di capire il romanzo.
Emanuele Trevi accompagna la riedizione collocando Berto nella psicoanalisi, e soprattutto nel secondo Novecento. Una lezione proficua per Celati, per Manganelli, e per Parise nel “suo capolavoro”, il postumo “L’odore del sangue”. Si legge in effetti come una sorta di autoanalisi, o di analisi davanti al pubblico come analista, muto, remoto.
Trovare dei padri a Berto, non solo per questo romanzo “diverso”, è ancora impresa aperta. Gli studiosi contemporaneisti lo tengono sempre in punta di bastone – i muri non sono caduti, non in Italia. Uno dei pochi testi fermi del secondo Novecento. Una pietra miliare, solida: un racconto sempre vivo, superbo. In anticipo anche sulla scrittura alluvionale, in realtà misuratissima, che si affermerà con Bernhard, come più propria del raccontare psicoanalitico. Che non è il flusso di coscienza joyciano, ma il racconto che si chiede la ragione del racconto, di agnizioni e rimozioni. E fa grande uso del magnetofono, della scrittura come del parlarsi addosso dall’analista. Nonché dei  selfie protratti della narrativa on the road. Il new writing Usa di fine Novecento ne è una filiazione, anche se non diretta. C’è pure l’eutanasia.
Giuseppe Berto, Il male oscuro Neri Pozza, pp. 508 € 18

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