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martedì 3 aprile 2018

Indebitarsi per niente

Curiosa mescolanza del debito pubblico con la politica estera: di come il risanamento del debito pubblico, centodieci anni fa, a opera di Luigi Luzzatti, ministro del Tesoro, e di Bonaldo Stringher, governatore della neo costituita Banca d’Italia, con i governi Giolitti, fu sperperato in una politica estera che voleva fare dell’Italia l’emula della Francia, nel Mediterraneo e in Africa. Che sembra assurdo, e lo è, ma è stata una costante dell’Italia unita, Giolitti del resto incluso, fino alla sberla della seconda Guerra mondiale.
Il consolidamento del debito pubblico, come fu attuato da Luzzatti, con quale tempistica e metodologia, è la parte più interessante della ricerca. E contemporanea: un consolidamento del debito italiano, che andava fatto prima dell’euro, diventa sempre più necessario. La “conversione della rendita” (allungamento delle scadenze, a interessi inferiori) si fece in un giorno, per evitare contraccolpi monetari, il 29 giugno 1906. Per 8,1 miliardi di lire, circa 32 miliardi di euro. Non un quantitativo enorme, ma era tutto il debito. Fu la maggiore “conversione della rendita” dopo quella inglese del 1888. Fu giudicata “la meglio riuscita e la meno costosa”.
L’Italia non era allora la più indebitata, il suo debito era il sesto in Europa per grandezza. Ma anche allora non godeva di grande credito: pagava il più alto servizio sul debito, gli interessi più alti. .
Cosa c’entra il debito con la politica estera? Il militarismo italiano post-unitario è stato la valvola di moltiplicazione del debito, senza corrispettivo. L’“imperialismo straccione” o del “posto al sole” è stato sempre negativo in termini nazionali, di rapporto costi\benefici, e in assoluto – con l’onere in questo dopoguerra di accogliere i somali e ora gli eritrei, e in qualche modo prendersi carico anche della Libia. Lo stesso come, per analogia, si assiste, nell’Italia repubblicana, alla crescita del debito con l’assistenzialismo: una relazione improduttiva e anzi perversa, che accresce il debito, indebolisce e anzi frantuma lo Stato, e non allevia la povertà, sociale e regionale.
Ballini, contemporaneista emerito del “Cesare Alfieri” di Firenze, pubblica questa ricerca nella Biblioteca Luzzattiana.
Pier Luigi Ballini, Debito pubblico e politica estera all’inizio del ‘900, Isva (Istituto Veneto di lettere, scienze e arti), pp. 654 € 43

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