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martedì 3 aprile 2018

Letture - 340

letterautore

Auschwitz Nel 1946, molto prima di Adorno (“Scrivere poesie dopo Auschwitz è barbaro), in chiusura di “Autunno tedesco” Stig Dagerman mette in scena “una donna che vuole scrivere”, una donna tedesca, che vorrebbe scrivere delle sofferenze del marito antinazista in campo di concentramento, ma si urta ai silenzi di lui, ritornato dopo lunga prigionia. Dagerman si spiega l’ostinato silenzio così : “La sofferenza, una volta sofferta, non deve più esistere. Questa sofferenza era sporca, disgustosa, bassa e meschina, e per questo non si deve né parlarne né scriverne. La distanza è troppo grande tra la poesia e la più grande delle sofferenze; solo quando diventerà un ricordo purificato i tempo saranno maturi”.
Un “ricordo purificato”. L’esperienza dei campi di concentramento di Hitler fu unica per il contagio morale, di kapò, kommando, spie, ladri. La prigionia, le torture, perfino lo sterminio, si possono configurare in qualche modo operazioni di guerra. Come lo sterminio dei kulaki, degli armeni, dei tutsi. “Auschwitz” si distingue per la corruzione delle vittime. Tentata, sistematica, riuscita anche, a meno del suicidio: la sopravvivenza non è innocente. Anche per un semplice generico senso di colpa, per avercela fatta.

Di Adorno, in realtà, si danno versioni contrastanti. Ancora nel 1966 gli si attribuisce la sentenza: “Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d'arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man's land filosofica” La cosa era stata affrontata per prima nel 1949, al ritorno di Adorno in Germania dagli Usa, senza aver vissuto quindi la prostrazione di fine guerra, la fame, il gelo, le malattie: “La critica della cultura si trova dinanzi all’ultimo stadio della dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie”. Ma successivamente Adorno si riscrisse, finendo per ammettere che forse l’affermazione del 1949 era errata. Nel 1966 scriveva infatti anche “Il dolore incessante ha altrettanto diritto di esprimersi quanto il torturato di urlare; perciò forse è sbagliato aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesie”.
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Corruzione – Leonardo Sciascia, a proposito di A.Christie, che dice vittoriana, ha all’improvviso questo ricordo: “Un famoso economista mi diede una volta a indovinare, conversando, in quale Paese ed epoca si fosse rubato di più rispetto alla cosa pubblica. Non ci sono riuscito. La risposta era: in Inghilterra e nell’epoca vittoriana”.
La “testimonianza” di Sciascia era resa a un “processo” alla scrittrice intentato da “Panorama” nel 1984 al Mystfest di Cattolica il 28-29 giugno 1984 (“Gli AntiChristie”, a cura di Bruno Blasi, “Panorama”, 25 giugno 1984)..

Destra-sinistra – Qualche differenza c’è – c’era. Longanesi negli anni 1950 pubblicava Hammett, un comunista, Einaudi non pubblicava Céline. Nemmeno Hamsun – nemmeno T.S. Eliot.

Giallo – È materia d’ironia. Da Sherlock Holmes, ma già da Dupin, a Poirot e Miss Marple – e Pepe Carvalho e lo stesso Montalbano (Maigret è di un’altra categoria, il vicino sensibile). D’inverosimiglianza nuda – il narratore procede scoperto, si esibisce. Non come manifestazione di forza, ma di debolezza:  una sorta di esibizionismo ritroso, vezzoso.
Agatha Christie pone di proposito e risolve casi impossibili Tutti colpevoli, gente di varia provenienza e esperienza, in “Assassinio sull’Orient Express”. Tutti morti assassinati in “Dieci piccoli indiani” - per cui uno almeno bisogna che resusciti per raccontarla. O le “analogie” provinciali, paesane, zitellesche di miss Marple. Si riduce il giallo ironico, comico, a Dickson Carter, ma lo è d’impianto: narrazione distaccata, empatica ma di secondo o terzo grado, per il piacere della cosa non per il coinvolgimento nella storia.

Jettatorio lo dice Savinio a un certo punto parlando di padre Brown: “Detective jettatori ne conosciamo abbastanza”.Quelli che in ogni situazione, a un a festa, in vacanza, in meditazione, in sonno, “provocano” morti ammazzati.

Mussolini imponeva di anglicizzare i gialli, o comunque di farne opera di stranieri. Solo il detective-giudice poteva essere italiano. Nascono così i gialli apocrifi di De Angelis e del primo Scerbanenco, delle storie di Arthur Jelling (jella?) a Boston.

Hammett-Hemingway – Hemingway metteva Hammet tra coloro che gli avevano insegnato qualcosa. Ma allora per la vita, non per la scrittura: il ritmo hammettiano è di Hemingway alcuni anni prima. Coetanei, moriranno entrambi sessantenni, anche se in modi diversi, per l’alcol e il mal di vivere. Entrambi spiati dall’Fbi anticomunista di Hoover, ma ebbero vite diverse – Hemimgway non dovette affettare il comunismo..

Moravia – “Mai un libro ci ha dato tanta noia – se togliamo, per riguardo a quel che lo scrittore effettivamente è, «Il conformista» di Moravia” – L.Sciascia, “Letteratura del «giallo»”, 1953. Il libro più noioso del “Conformista” è uno, di cui Sciascia non dà il titolo, di Mickey Spillane, “scrittore venduto con tredici milioni di copie negli Stati Uniti”. Moravia non era intoccabile, nemmeno per un esordiente.

Scuola dello sguardo – L’avanguardia francese anni 1950-1960 era di Chandler e Hammett secondo Sciascia (“Breve storia del romanzo «giallo») – senza ironia: “Le azioni viste come al rallentatore, e più sono violente più sono rallentate; i personaggi descritti minuziosamente; gli ambienti minuziosamente inventariati – sono elementi tipici di Hammett e di Chandler…. E saranno poi gli elementi diciamo dottrinali di quella che sarà chiamata, in Francia, negli anni cinquanta, la «scuola dello sguardo»”.

Sherlock Holmes – È Wilde, secondo Attilio Bertolucci. Secondo una sua “storia del giallo” letta a radio Rai 3 il 15 gennaio 1953 di cui Sciascia si è procurato la trascrizione (trascurata da Bertolucci nelle due raccolte di prosa) e cita in “Breve storia del romanzo «giallo»” (ora in “Il metodo di Magret”): “Se Dupin era un ultimo eroe romantico, Cuff un eccentrico di misura vittoriana, Sherlock Holmes è già un esteta, che con lunghe dita banche e nervose avvita al’estremità della siringa lago sottile per l’ennesima iniezione di cocaina in soluzione al sette per cento,va a concerti di musica tedesca per rilassarsi….”. Sciascia annota: “In Cuff (il perosnaggio di Wilkie Colins, n.d.r.) c’è il presentimento di Oscar Wilde; con Sherlock Holmes siamo, in pieno, nel clima di Wilde” – il Fine Secolo eccentrico di Londra, “edoardiano”,
Non il positivista, dunque. Se non, nota Sciascia, un “Don Chisciotte del positivismo”, per “il suo sfiorare (oggi, per noi) la caricatura”.

Sicilia – Un paese a parte, benché si esprima in italiano? Un continente, benché ristretto, con una sua propria fisionomia, che impregna e individua una letteratura, Verga, Pirandello, Tomasi, Sciascia. Tardi, ma coma la Russia, che fiorì anch’essa nell’Ottocento: Gogol, Tolstòj, Dostoevskij, Cechov.
  
Sam Spade -  È goyesco, tutto”allungato”. Hammett lo assomiglia, per renderlo simpatico, a “un diavolo biondo”. Ma dopo averlo detto in V: “Samuel Spade aveva una mascella ossuta e pronunciata, il suo mento era una V appuntita sotto la mobile V della bocca. Le narici disegnavano un’altra V, più piccola. Aveva occhi giallo-grigi orizzontali. Il motivo della V era ripreso dalle spesse sopracciglia…”.

letterautore@antiit.eu

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