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sabato 2 febbraio 2019

Secondi pensieri - 375

zeulig

Destra – È lo stato normale – il fondo – della politica, la sua latenza. Che sempre guarda a sinistra. Per una sorta di pulsione curiosa. La curiosità generale è per natura rivolta a sinistra, all’innovazione. Con un senso di inferiorità, molto forte per questo, nella destra.
Pochi sono curiosi della destra, e sempre e solo per motivi di ordine pubblico oppure di analisi e riflessione. Mentre la destra ha una curiosità quasi morbosa per la sinistra, per cosa pensa e fa. Da qui il senso di superiorità della sinistra, anche senza giustificativi – il disprezzo comunque, non solo per Trump o per Berlusconi, per i riccastri al potere, anche per le Thatcher e per i Reagan. Salvo riapprezzamento, per esempio di Margaret Thatcher e Reagan, e oggi di Angela Merkel, e perfino di Berlusconi.

Dio – “Sono un agnostico che spera che Dio esista”. Da Scalfari a Pif si moltiplicano le dichiarazioni di fede condizionata. In realtà di disattenzione alla Cosa. Sono dichiarazioni di cortesia, tanto per dire, in una “cultura” o società che ancora non scarta la religione – si presume che non la scarti, o la tiene tra le “cose buone del mondo”, una cosa ecocompatibile. Ma in un mondo senza futuro – Dio è il futuro (“una volta il futuro era migliore”, alla Karl Valentin). Benché si voglia su di esso proiettato dalla e con la scienza – il futuro non è il volo interstellare, uno sport estremo.

Europa – È vecchia e vive di ricordi. Lo era già negli ani 1930, passata l’euforia degli anni 1920 dei sopravvissuti, già prima della terribile guerra dissanguatrice che la Germania le ha poi imposto. È sopravvissuta con l’Urss, con lo spettro del comunismo, l’unica sua innovazione dopo il 1789, ed è crollata con essa. E cioè con la Russia, il suo Stato più arretrato: lo Stato più conquistatore del Novecento. Cui bene o male non faceva difetto l’energia – l’abulia è la condizione europea, sotto la celebrazione del passato (la storia, la cultura): lo Stato totalitario del benessere, la “felicità amministrata” di Marcuse, il laboratorio della fase involutiva del capitale.
L’Europa fu salvata e ricostruìta più volte, dai russi a Est contro mongoli e tartari, dai magiari, serbi e croati, popoli guerrieri, a Sud contro i turchi, a Ovest da Carlo Martello. La storia dell’Europa, che poi è una coda, un’appendice al grande mondo, è un verminaio irrequieto. Oggi è diverso perché manca ogni istinto, qualsivoglia: l’Europa si adagia – si crogiola - nell’adeguatezza e nella paura. La paura indistinta, del caldo e insieme del freddo, del lavoro e insieme del non lavoro. Agitata, peraltro, più che sofferta – non ci si può non dire paurosi, timorosi, della crisi, del futuro, del pianeta, dei figli.

A lungo è passata a Odino. Ai popoli di Odino, che dall’Asia, dove regnava sul Ponto Eusino, l’hanno seguito in Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, in Finlandia no, e nel Vinland. Negli Usa cioè, che ai vichinghi prospettarono burloni e gesuiti. E ai regni che Odino assegnò ai figli: Russia, Sassonia, Westfalia. Per la storia che viene dal Nord, con Eric il Rosso che scoprì la vela, e le sei tonnellate d’oro e argento dai vichinghi estorte ai parigini nell’845.
Un’Europa che inizia dalla fine: Odino ha un palazzo di ombre, i morti ripetono le attività svolte in vita, dove i vivi sono dunque morti. Il Nord suona il corno e medita, nella Seconda sinfonia e nel Nordisches Lied di Schumann. Anche esporre le lenzuola in segno di lutto è uso nordico, fu portato al Sud da Arminio e Dorotea con Goethe.
Iniziava. Poi è passata a Mosca. E ora giace. Aspettando nuovi influssi dall’Asia?

Musica – Si ripropone da qualche tempo nel mito di Orfeo, nella formulazione di Walter Pater, tardo Ottocento, estetismo, decadentismo: “Tutte le arti aspirano costantemente alla condizione della musica”. Mentre è la forma d’arte più legata, regolata. Che più richiede ingegno, nella forma dell’ingegnere, pratica, tecnica, un sapere applicato (strumentazione), e si ancora a canoni.

Natura – “La natura è così grande qui che uccide”, dice un personaggio del racconto “Quasi la stessa sofferenza” di Annemarie Schwarzenbach. “Qui” è la Persia ma è vero di tutti gli ambienti al naturale: forestati, desertici,montagnosi, paludosi. Si sopravvive domandola . Anche nei rapporti umani: si può essere trasgressivi ma non eccessivi, portati dall’indole.

Opinione pubblica – “Aggressiva e brutale” la dice Marcuse.  È infida, un campo di mine. “È un bene di nessun valore, non ci compensa mai dei sacrifici che le facciamo”, opina la sadica Juliette.

Scrivere – Si fa nell’isolamento mentre è attività tipicamente (unicamente) sociale. Nella pubblicazione, nella ricezione, e anche nella scrittura stesa, e forse nella concezione. Non si scrive per se stessi, neanche i diari più gelosi. Altrimenti è parlarsi, a voce alta cioè.
Si scrive per dir e, cioè per comunicare. È attività e mestiere quasi di piazza, al modo dei cantastorie.
È attività solitaria e quasi segreta, ma concepita per, e diretta a, un pubblico. È, riflessiva, modulata, atteggiata, l’equivalente di Hyde Park Corner, un’esibizione, anche quando è modesta, per un pubblico ignoto –sconosciuto e forse non in sintonia.
Si esercita ora in forme teatrali, da cantastorie in senso proprio, con letture pubbliche, presentazioni, recite, festival. Ma perché questa è la sua natura, la scrittura è comunicazione.

zeulig@antiit.eu

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