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lunedì 11 novembre 2019

Secondi pensieri - 400

zeulig


Durata – È concetto che perde credito con rapidità, da quando è stato risistemato da Bergson, innovando sulla durata aristotelica, del ciclo vitale di ogni cosa, del periodo di tempo che è l’esistenza della cosa. Con la durata reale o pura. Una forma di consistenza, contrapposta al tempo volatile, come successione di stati di coscienza, composizione di molteplici stati qualitativi. Si può pensarla sempre come intreccio melodico, ma allora di dissonanze.
Ora si privilegia l’inconsistenza, l’irrilevanza anche, degli stati di coscienza compresi. Esclusi perfino dal linguaggio, che si vuole “corretto”, non discriminante. E per effetto dell’accelerazione, del cambiamento ritenuto o imposto come stato, se non progetto, del vivente. Si prospetta l’attivismo, l’innovazione, la costruzione come moltiplicazione dell’essenza, con esclusione della durata-durevole. Nell’abitazione come nell’abbigliamento, nei modi di vita. Nella coesione sociale e familiare, quindi personale. La migrazione prevale sula stanzialità. Essere è una relativizzazione temporale e valutativa. Niente è più importante – da preservare, durevole. Il cambiamento si privilegia su tutto. Anche se a rafforzamento come sempre nell’attività umana degli interessi. Degli agenti, dei soggetti attivi. Interessi personali, materiali. Costituiti, cioè dominanti, oppure no, start-up, nuovo, che comunque come sempre tira i fili o a questo bisogno (fine, scopo) si predispone.  

Ecologia - La difesa dell’ambiente, che Nixon ha lanciato nel ‘68, è l’industria a crescita più rapida, e senza confini: la felicità ha bisogni sterminati, tutti necessari e urgenti. Riprendersi l’aria, il mare, l’acqua, la vita, è un piano che non ha obiezioni, dalla villetta a schiera al viaggio a Malindi, dalla fitness all’acqua minerale. Mentre una vera protezione del’ambiente imporrebbe una compressione dei consumi e della mobilità.
È diventata pensiero dominante per accompagnare un processo industriale mosso dagli interessi che puntano a sostituire il motore a scoppio con quello elettrico nella circolazione stradale. Un passaggio che imporrà la sostituzione del parco autoveicoli esistente, attorno a un miliardo di autovetture. Interessi soprattutto cinesi, che trovano una sponda sensibile nelle utilities di tutto il mondo che forniscono l’energia elettrica. La natura si protegge da sé, la protezione della natura è un’industria. Quanto bene indirizzata?
Non con l’elettrico. La mobilità non fa comunque bene all’ambiente, e quando non lo distrugge lo inquina. Anche con l’auto elettrica. Che la produzione lascia inalterata di polveri sottili o particolato, il vero agente patogeno. Mentre moltiplica gli inquinanti sia nella fabbrica delle batterie motrici sia nel loro trattamento una volta esauste. E moltiplica le centrali elettriche, di produzione dell’elettricità.
Per contenere i consumi (sprechi) e la mobilità non si ipotizza una catastrofe. La catastrofe si fa incombente se non si procede con la nuova industrializzazione.

Ideologia – È superata dal pensiero “liquido”, “debole”, dall’informazione diffusa, dai social. Si dice ed è vero. In realtà “vive diffusa”: se non come sistema di valori, come ripostiglio mentale. Non sistematica, non coerente, non riflessa o ripensata, e anzi improvvisata e casuale, e quasi un riflesso condizionato, elementare, epidermico. Ma con piglio e pretesa all’assolutezza che è dell’ideologia, della compiutezza in se stessa: come programma di azione che è anche filosofia di vita. Si direbbe: l’ideologia o dell’inconcludenza.

Marx Unheimlich, perturbante, è per Derrida ancora nel 1993, “Spettri di Marx”. Per un bisogno etico e non strettamente politico - anche se Derrida, che non era stato e non era un ideologo, e non si era mai occupato di Marx prima, intitolava il suo intervento “per una nuova Internazionale”. Ma più per i suoi “fantasmi”, i fantasmi di Marx. Il titolo essendo da intendere “spettri agitati da Marx” - il comunismo - e “spettri che agitano Marx”. Volendolo “consegnarlo alla posterità”, cioè esumarlo dalle macerie del Diamat, il materialismo dialettico di salsa sovietica, come spettro tra gli spettri, e come teorico della spettralità. Che Derrida non definisce ma bene si intendono quali esigenze della giustizia, nella libertà. O almeno come insofferenza al nuovo trionfalismo, al nuovo ordine del mondo, che si accredita egemonico col solo sancire la morte di Marx. Una spettralità che sa di esorcismo è scongiuro - una affermazione in negativo, Marx non è più quello.

Postumano – Era in Montale, in un elzeviro, “Sul filo della corrente”, del 1963? Ma con altro esito. In forma critica, una critica in anteprima, ma proprio alla concezione di un ruolo provvisorio e artificiale dell’umanità nella storia, di un equivoco, se non un’ideologia artatamente costruita, dell’Umanesimo: “La innaturalità, dicono, è appunto il destino dell’uomo, uscito dallo stato di natura per entrare nella sua fase artificiale. Nell’uomo sapiente c’era ancora qualcosa di naturale, di scimmiesco, che ora deve estinguersi in vista di un’altra epifania. Avremo un giorno un uomo totalmente selfmade”. Loro, quelli che “dicono”, erano per Montale i marxisti, ma in quanto materialisti.
Il poeta sapeva anche come la cosa si sarebbe prodotta. Il passaggio, “il travaglio”, all’uomo artificiale dovendo durare “secoli”, prevedeva che “in questi secoli di anticamera – supponendo che una catastrofe bellica o geologica non riduca i superstiti alle condizioni dell’uomo di Rousseau – avranno buon lavoro gli psicanalisti, gli psichiatri e i cultori dell’arte autre”.    

Umiltà – È virtù sconosciuta – anche a papa Francesco, che si professa umile. È non fare caso di sé. Che è anche una forza – gli umili Montale, il poeta, dice “forse i soli per i quali si può parlare di successo nella vita”.
È non professarsi umili. Né diminuirsi: è non imporsi e non pretendersi.

Verità - È di difficile configurazione, e anche di difficile accesso, presso gli stessi filosofi, e ognuno di essi in particolare: che cosa hanno voluto dire. L’interpretazione è la regola, l’ermeneutica, ma allora, senza un obbligo di chiarezza-coerenza, sofistico.
L’ermeneutica configura una verità per tutte le stagione, cioè un filosofare per tutte le stagioni. E questo non è filosofico. Non è scientifico: non c’è un scienza, anche solo teorica, buona per tutto.

zeulig@antiit.eu

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