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lunedì 18 novembre 2019

Secondi pensieri - 401

zeulig


Imperi –Si dividono in spontanei e preordinati, programmati? Possono essere spontanei? Lo inferisce Heidegger dalla sua contestazione della storia, in chiave assolutoria: “Vi sono regni che durano per millenni perché il loro sussistere continua a perpetuarsi”. L’impero dei faraoni? Altri invece, condannabili, sono costruiti: “Un altro conto è se vengono consapevolmente pianificate dominazioni per millenni e la garanzia del loro sussistere viene riposta nella volontà, la quale si propone come fine essenziale la durata più lunga possibile di un ordinamento più grande possibile, formato da masse più vaste possibili”. Questo è “l’essenza metafisica nascosta dell’età moderna da tre secoli”: l’impero della tecnica – da Nietzsche, secondo Heidegger, abominato.

L’argomento, elaborato ne 1940, quando il Reich di Hitler era vittorioso, potrebbe portarsi a discolpa di Heidegger nella questione del nazismo, suo e della sua filosofia: si potrebbe dire l’impero “ordinato” un’allusione alla sua Germania, di Hitler?

Populismo – Concetto politicamente ambiguo, dovendolo situare tra “destra” e “sinistra”, ma di forte spessore e costante ricorrenza. Ambiguo perché applicabile a esperienze e indirizzi politici più diversi. Potenzialmente disgregativo quindi delle categorie correnti di classificazione politica, tra destra e sinistra.
Le molte classificazioni che si operano non lo spiegano perché si muovono nell’ambito della dicotomia invalsa nell’Otto-Novecento. Che già allora non inquadrava correttamente lo spettro politico, delle opinioni. C’erano elementi di destra nel populismo di sinistra a fine Ottocento, in Russia e negli Stati Uniti, e si ha difficoltà a inquadrare il fascismo e lo stesso nazismo come reazioni capitalistiche. Dove si colloca il “sanculottismo”, fino ai gilets jaunes odierni? O, oggi, il turbocapitalismo, del più volgare “arricchitevi”, a dirigenza comunista in Cina. Mentre è probabilmente di sinistra il moderato ma progressivo Modi in India.
Il populismo corrente in Europa, contro i guasti del liberismo, si colloca con difficoltà a destra – una destra anti-destra? Una polarità più rispondente alla realtà, comprensiva quindi dello stesso populismo, sarebbe tra uguaglianza e privilegio, legge e sopraffazione, interesse pubblico (comune, popolare) e interesse privato – al limite tra lavoro (applicazione, impegno) e proprietà.

Il populismo viene presentato di destra in quanto è – in Europa – sovranista, e in genere – Usa – nazionalista. Nazionalista in senso stretto, non un nazionalismo che sa contemperare gli interessi nazionali in contesti – e a ritorni – più vasti: si accontenta dei benefici dell’autarchia. Ma, anche in questo quadro più ampio, è sostanzialmente una delusione del liberalismo, dei benefici del liberalismo e del suo corollario la globalizzazione, l’apertura al mondo. Non senza ragione, se si guarda al modo asimmetrico di funzionare dell’Unione Europea, e alle distorsioni della concorrenza cinese, tra furti di know-how  e dumping, sociale (costo del lavoro) e fiscale (grandi patrimoni).

Progresso – Non è finito con le due guerre mondiali, con Hitler, con la Shoah, finisce con l’ambiente? Il millenarismo ecologico sembra al contrario la sua più radicale affermazione: il rifacimento della natura, a seguire al disfacimento. A opera dell’uomo, l’uno e l’altro.

Si dice un’ideologia. Del secolo XIXmo, dell’Ottocento. Ma resisteva, e sta durando. Non nasce col positivismo e la socialdemocrazie, queste se ne fanno forti, ma preesiste, e sopravvive. Dell’Ottocento è caratteristico e qualificante il contrario, il malthusianesimo, in collegamento col darwinismo. E tuttavia, se c’è un secolo del Progresso, è proprio l’Ottocento. Lo stesso si può dire oggi, dell’ambientalismo da fine del mondo. Che si traduce in catastrofismo – l’ecologia include la necessità della distruzione, la complementarietà fra riproduttori e distruttori. Ma anche in un produttivismo non selettivo, al modo del vecchio progressismo secondo Ottocento, di Michelet, Hugo, Zola – la sinistra francese, che aborriva Malthus, e quindi Darwin, più malthusiano dello stesso Malthus, non tenendo conto per le specie viventi della possibilità umana di moltiplicare le risorse nutritive. Sul biologismo di Pouchet, “L’Hétérogénie, ou traité de la generation sponatanée”: i “rifiuti organici” assicurano la continuità vitale. In cui la distruzione è necessaria all’ecologia, ne è il fulcro: non ci sono rifiuti, non devono esserci, vanno riciclati: rifiuti, resti, gli stessi morti nella catena alimentare vegetale e animale, gli stessi escrementi nella concimazione, tutto ciò che il vivente espelle vi ritorna e lo rialimenta.

Del catastrofismo progressista immanente all’ecologia fa la summa Michelet al § 1, “Fecondità”, della parte seconda de “Il mare”: “Bisogna che la natura inventi un supremo divoratore,  mangiatore ammirevole e produttore povero, di digestione immensa e di generazione avara. Mostro caritatevole e terribile che interrompe questo flusso invincibile di fecondità rinascente con un grande sforzo di assorbimento, che ingurgita ogni specie indifferentemente, i morti, i vivi,, che dico?, tutto ciò che incontra”. Lo squalo per esempio, “il bel mangiatore della natura,  mangiatore patentato: lo squalo… viviparo, elabora dentro di se il giovane squalo, suo erede feudale, che nasce terribile e tutto armato”.
“I profeti, come si vede, conservano, nei riguardi dello squalo, tutta la loro serenità, e molta indulgenza. Questa favola  ha una moralità socialdemocratica, e come un profumo di attualità. Tuttavia, il profeta non è un opportunista: non appartiene al momento, né alla storia come si potrebbe credere, e nemmeno alla Natura – appartiene al Progresso”.

Storia – “È come occuparsi di un vecchio parente povero che per decenza non si può completamente lasciar morire”, J.Burckhardt, frammenti postumi,.

Suicidio – Un impulso controverso, anche nelle modalità e gli effetti. Vercors, per il lancio delle sue “21 recettes pratiques de mort violente précédées d’un Petit Manuel du Parfait Suicidé”, ingoiò un veleno, s’impiccò a un albero lanciandosi nel vuoto sopra la Dordogna e si sparò alla tempia, ma il salto deviò il colpo, la pallottola tagliò la corda, e il suicidando cadde nel fiume, da cui fu tratto in salvo da un pescatore di trote, dopo aver vomitato nell’impatto il veleno. 
La bella e gentile Karoline von Günderode si pugnalò prima di buttarsi al fiume, subito dopo essersi scritto l’epitaffio, a venticinque anni, per un torto d’amore subito.
Lo scrittore argentino Fracisco Lopez Merino si uccise davanti allo specchio, nella cantina del Jockey Club a La Plata.
Si suicidavano i soldati giapponesi nell’ultima guerra piuttosto che arrendersi – meglio un giapponese morto che uno vivo?

Dan Brown ha l’agathusia, il “sacrificio altruistico”, sacrificarsi per il bene altrui. Il suicida per l’assicurazione alla famiglia, e perfino il caso dell’assassino seriale che si toglie la vita per non compiere altri delitti. Più generosi, in questo senso, quelli della distopia “La fuga di Logan”, dove tutti si suicidano  per non aggravare il mondo della sovrappopolazione, all’entrata nel ventunesimo anno – ma una  giovinezza spensierata col senso della fine imminente, nel film “L’età dell’eliminazione”, era innalzata a trent’anni, per attrarre al cinema i giovani, che allora ci andavano?

“Ci si uccide per impotenza”, dice Kafka a Janouch, per “un atto di egoismo spinto all’assurdo”, ma è assurdo il Kafka di Janouch.
Scrivendo a Brod invece, al solito minuzioso e argomentativo, Kafka disse unica conclusione sensata della sua vita “non il suicidio, ma il pensiero del suicidio”. Che non vuole dire nulla – una debolezza? - ma per lui sì: era quanto bastava per darsi dell’incapace: “Tu che non riesci a fare nulla, vuoi fare proprio questo?”.

Gli stoici lo legano alla vita felice.


zeulig@antiit.com

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