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martedì 19 novembre 2019

Il mondo com'è (387)

astolfo


Curdi – Hanno una storia ma non un paese. La nazionalità curda che l’Europa vittoriosa non riconobbe al dislocamento dell’impero ottomano, nei trattati di pace di Versailles, dividendo l’impero fra varie tribù arabe e turchi, era l’unica nella regione al tempo dell’invasione turca, e quella che sempre tenne testa ai turchi. Iraniani e semiti al momento della conquista araba, hanno mantenuto la loro diversità, ma in tribalismo meta politico. Con una lingua di ceppo indo-europeo, di religione oggi islamica sunnita.
Dentro l’impero ottomano, così come dentro l’impero persiano, avevano mantenuto sempre uno statuto di autonomia. In un primo momento, alla fine della Grande Guerra, a Sèvres nel 1920, uno Stato curdo fu previsto. Ma Istanbul manovrò contro il trattato e tre anni più tardi, col trattato di Losanna, ottenne la cancellazione dello Stato curdo, di cui si appropriava gran parte del territorio. I Curdi venivano suddivisi fra quattro Stati: la Persia, la Siria, l’Iraq e la Turchia. Si ribellarono, perdettero, e con la sconfitta perdettero anche le autonomie.
Erano curdi i sultani quando tra islam e cristianesimo si confrontarono con le prime crociate. Che erano pacifiche, soprattutto di scambi diplomatici, visite, inviti, idee, trattative. Era curdo il sultano dell’Egitto Malik- el Kamil, che incontro, a capo della Sesta Crociata ne 1228-9, che fu pacifica, e a lui cedette tutto il cedibile, con Gerusalemme. Federico II, l’imperatore del Sacro Romano-Impero  cresciuto a Palermo, che parlava fluente l’arabo e con difficoltà il tedesco, era stato preceduto due anni prima da san Francesco, che anche lui era approdato a Acri, oggi in Israele, e aveva incontrato Kamil - El Kamil era nipote di Solimano il Magnifico.  
Il “feroce Saladino”, che conquistò Gerusalemme e Antiochia e le difese contro la terza Crociata, di Riccardo Cuor di Leone, fu sultano curdo dell’Egitto, della Siria e dello Heggiaz, l’attuale Arabia Saudita, con i luoghi sacri islamici. Il “feroce Saladino” delle figurine era detto in realtà il Legislatore, e rimasto nella storia, anche nel Limbo di Dante, come sovrano saggio e generoso.

Populismo – Quello in corso, che gestisce l’Occidente se non la globalizzazione tutta, con l’India, e in parte anche con la Cina sotto la pax del Pcc, è una destra contro la destra: una destra dal basso contro la destra dall’alto, degli “Interessi” e dei “Burosauri”, il braccio istituzionale degli “Interessi”. Serpeggiante dopo la caduta del sovietismo, dilagante per moto proprio, senza un disegno di uomini o partiti, dopo la Grande Crisi del 2007, derubricata a crisetta dalle destre liberali che non hanno saputo-voluto prevenire la crisi e l’hanno curata a spese di “tutti” – delle masse, del popolo, di tutti quelli che ora si rivoltano sotto la maschera populista.
La lettura corrente è di un populismo insorto in reazione ai fallimenti della sinistra politica. No, è in reazione al fallimento della destra tradizionale, liberale - anche della sinistra, p. es. negli Usa e in Italia, ma in quanto liberista, asservita passivamente alle cosiddette ragioni del mercato.
Si può dire che i guasti generati dalla destra economica hanno generato questa destra politica. Populista, cioè indifferenziata, rivoltosa, per non avere appigli precisi. Confusa per lo più - e anche inconcludente – ovunque è al governo, in Ungheria, in Polonia, in Brasile, negli stessi Stati Uniti. Qualche successo ha solo in India. Ma confusa per il motivo che è alla sua origine: che non può o non sa attaccare i fondamenti liberistici che ne hanno favorito la diffusione, e quindi si anima e si alimenta per falsi scopi: l’immigrazione, l’Europa, l’islam – falsi nemici.
Usa assimilarlo al fascismo, ma giusto per la propaganda - una propaganda sterile, rituale. Il fascismo era militarizzato e predicava e esercitava la violenza incontrastata. I populisti vanno alle elezioni – e se ne fanno anche fregare (in Francia costantemente, ormai da un quarto di secolo, dalle presidenziali 1995, col doppio turno). Oppure si agitano senza disegno né obiettivi, per protesta – come, sempre in Francia, i gilets jaunes da un anno.

Resta termine onnicomprensivo, applicabile a molte esperienze e a indirizzi politici tra i più diversi, nazionalistici e eversivi. Anche rivoluzionari, da intendersi “di sinistra. Questo di destra è un’ assoluta novità - di destra contro la destra classica. O per una destra “classica”? Contro il liberismo illimitato, e il burocratismo suo vassallo. In Italia e in Gran Bretagna è così, con chiarezza: i voti di Salvini e quelli di Farage sono i voti di Berlusconi e dei Conservatori – la Lega, che ha un’esperienza ormai storica, più che trentennale, di suo viaggiava sul 4 per cento dei suffragi. Lo stesso si può dire in Francia, dove il lepenismo raccoglie molti e centristi e ex gollisti – oltre al voto delle “cinture” operaie.
Con l’Inghilterra e l’Italia confluiscono probabilmente nello stesso modello ribellistico, contro interessi del proprio schieramento, i conservatori in India e negli Stati Uniti. Col passaggio dei molti del partito indiano del Congresso al Partito Popolare Indiano di Modi, e della base del partito Repubblicano americano verso l’“estremista” Trump, una sorta di Vendicatore, outspoken, cioè franco, e decisionista.

Uno spostamento simile si può vedere contemporaneamente a sinistra negli Usa. Verso Bernie Sanders nelle campagna presidenziale del 2016, e oggi ancora per Sanders e per Elizabeth Warren, ultrasettantenni ma ultraradicali. Sanders ha fatto campagna nel 2016, sicuro vincitore se le primarie fossero state bi-partisan, sulla corruzione della politica, la corruzione legale, sotto l’ombrello della “Citizen Unite”, la decisione della Corte Suprema nel 2010 che ha liberalizzato il finanziamento della politica, asservendola ai grandi interessi – e intendeva Hillary Clinton, che poi sarà la candidata Democratica.
Sanders raccoglieva su questo terreno i frutti di una campagna lanciata da un Partito Progressista un secolo prima, fin dal 1912, un  partito che si voleva di lotta alla corruzione politica. E si faceva forte nel 2015-2016 dei movimenti spontanei tipo Occupy Wall Street, contro i soprusi della comunità finanziaria e gli sgravi fiscali dell’amministrazione Democratica a favore dei ricchi. Mentre Trump a desta raccoglieva l’eredità dei Tea Party, e la Marcia dei Contribuenti su Washington del settembre 2009, contro la fiscalità eccessiva.
Erano “progressisti” negli anni 1920 due Repubblicani poi eminenti, Fiorello La Guardia, e il senatore del Wisconsin La Follette. La Follette, candidato presidenziale sfortunato, fu precursore e animatore delle migliori novità del New Deal degli anni 1930, intitolati a F.D.Roosevelt: l’abolizione del lavoro infantile, la Tennessee Valley Authority, Cassa del mezzogiorno americana, la legge sindacale (Wagner Labour Relations), e la Consob Usa, la Securities Exchange Commission, al controllo della Borsa.  

Sarà negli Usa populista radicale di sinistra, antimilitarista e anticapitalista, Henry Wallace, un ex repubblicano che arriverà alla vice-presidenza col partito Democratico, vice di F.D.Roosevelt nel 1941. Per questo motivo il partito Democratico ne bloccò la successione a F.D.Roosevelt al voto successivo, affiancando al presidente malato Harry Truman – che sarà il presidente di Hiroshima, e Nagasaki. Al voto del 1948 Wallace si candidò da solo, rifondando il partito Progressista.
Curiosamente, gli scritti di Wallace di apprezzamento del New Deal venivano valorizzati dalla stampa fascista, per dimostrare che il corporativismo era come l’interventismo democratico negli Stati Uniti. Wallace inoltre, benché antimilitarista, fu l’uomo dell’esecutivo che presiedette il Progetto Manhattan, per la realizzazione della bomba atomica – Roosevelt lo delegò e non partecipò mai alle riunioni – col ministro della Difesa Stimson e il generale Marshall, capo di Stato Maggiore.

Dei gilets jaunes, protesta ora confusa, è palese l’ascendenza storica, quasi una tradizione, fino al “sanculottismo” della rivoluzione, o ai “senzaterra”, e ai gueux, i pezzenti della rivoluzione olandese – ai Masanielli, ai Cola di Rienzo. Singolare è peraltro l’innesco, di cui non si parla. Che così questo sito 
sintetizzava:
Hanno “visto”, all’origine, il bluff ecologico. Degli “accordi di Parigi”, sottoscritti tranquillamente dai maggiori inquinatori al mondo, colpevoli di due terzi abbondanti dell’inquinamento atmosferico, Cina, India e altre potenze asiatiche, senza poi darsi cura di ridurre le emissioni nocive. Un’indifferenza che Macron ha preteso di finanziare, cavaliere bianco dell’ambiente. Con una tassa ecologica sui carburanti di 25 centesimi al litro. Un’enormità, anche se il fine si dichiara nobile: ridurre i consumi e favorire il passaggio ai veicoli ibridi o già elettrici. Di fatto una snobberia, se non un finanziamento ai fabbricanti di auto ibride, e una sorta di finanziamento indiretto ai grandi inquinatori, all’ombra della grandeur degli Accordi di Parigi. Un’imposta anche “ingiusta”, come sono tutte le imposte indirette su consumi di base. Che pesano sui meno abbienti.  Per un obiettivo palesemente irrealizzabile e di fatto subdolo. Per ridurre i consumi di  carburanti finanziando l’elettricità e le fonti rinnovabili. Come se queste non fossero fonte di inquinamento. Ma in realtà, si sa, per finanziare le rendite di chi (in teoria) produce energia da fonti non fossili. Una snobberia in quanto intesa alla gloria di Macron, portabandiera e leader degli Accodi di Parigi, naturalmente “storici””.   

astolfo@antiit.eu

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