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martedì 19 novembre 2019

La bellezza delle donne, opera maschile

Già segnalatosi per un’epistola a Claudio Tolomei “In lode delle donne”, da Roma a Roma attorno al febbraio 1525, un catalogo  di donne illustri, dalla Grecia e da Roma ai tempi moderni, questo dialogo-trattato, che resterà il più noto degli scritti del Firenzuola, esce dedicato il 18 gennaio 1541 alle “nobili e belle donne pratesi”. Che oggi fa ridere, non solo a Firenze. Ma non solo per la dedica – a Prato, bene o male, dove morirà due anni dopo, di cinquant’anni, Michelangelo Gerolamo Giovannini da Firenzuola, risiedeva.
Fa sorridere una fama acquisita da un monaco vallombrosano, abate a Roma di Santa Prassede, con la filosofia della bellezza femminile. Sia “posta in rapporto alla funzione sessuale” (Eugenio Garin) sia in “scaltrite discussioni filosofiche”. Essendo diventato umanista, a suol avviso, per l’influsso di varie “gentildonne”, come le chiama, Costanza Amaretta, Caterina Cybo et al., che immortala qui e là – ma era nipote, per parte di madre, dell’umanista Braccesi. Dispensato dai voti – non dai benefici ecclesiastici – vivrà, lamenta, “una lunga infermità di anni undici” (sifilide).
La sintesi del suo discorso la farà, senza nominarlo (senza saperlo?), Diderot in uno dei racconti di “Jacques il fatalista”, quello di “Madame de La Pommeraye”: “La testa di una vergine di Raffaello sul corpo della sua Galatea; e poi la dolcezza della voce”. Un trattato con la bellezza della patina. Illusoria – certo, quanto maschilismo! e poi c’è un dialogo sulla bellezza degli uomini, scritto da una donna? dov'è luguaglianza?
Recuperato da Guido Davico Bonino, una lettura di fantascienza - la bellezza delle donne è topos maschile, d’antan. Una testimonianza, anche, del privilegio degli intellettuali, quando ne avevano uno. Che non dovevano affannarsi, solo trovare modi per non annoiarsi, a letto, oppure no. Uno stilista, perduto dietro il bello scrivere. Lo spiega lui stesso nella dedica, “Il Firenzuola\ Fiorentino\ Alle nobili e belle donne pratesi\ Felicità”, richiamandosi a Cicerone e Orazio. Con in più la voglia, nelle parole di un suo lontano studioso, Adriano Seroni,  di violare “coscientemente le regole grammaticali, per raggiungere quegli effetti di lingua viva e parlata che gli stavano particolarmente a cuore”. Che lo fanno scadere nel vernacolo, e bisogna superare per goderne l’impertinenza – oggi. Allora l’impertinenza era nel corredo del filosofico dialogo con disegnetti, di curve e spigoli.
Agnolo Firenzuola, Dialogo della bellezza delle donne, intitolato Celso, Genesi Editrice, pp. 140 € 12  

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