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mercoledì 11 novembre 2020

L’Europa invasa dall’America, latina

Si parte con una saga di Vinland: Freydig Eriksdóttir, figlia di Erik il Rosso, violenta ma accorta, naviga instancabile verso Sud, con i suoi recalcitranti, su un modesto knörr lungo la costa americana: gli Stati Uniti (“il paese di Aurora”), Cuba, Chichen Itza (Aztechi), Panama, e un assaggio di Inca (il Cipango di Colombo, il paese favoloso dell’oro). Navigano un po’ schiavi un po’ padroni. Con tutto quello che si sa: la scoperta del cavallo, del bue e della ruota, e quella del mais, del cotone e del cioccolato, con le epidemie virali che decimano i nativi. Poi un diario di Colombo, fatto morire per contrappasso, sotto una carica di cavalleria, indigena. Poi Atahualpa, l’ultimo Inca, dopo una complicata guerra civile, conquista l’Europa - rovesciando l’inca Garcilaso de la Vega citato in esergo: “Per la confusione nella quale vivevano, senza alcuna intelligenza, la loro conquista fu facile” (e realizzando probabilmente una intervista impossibile di Calvino, 1975, con Montezuma). Per ultimo le avventure di Cervantes, finché non cerca fortuna in America.
Il racconto della conquista si chiude a Firenze, città  dei tradimenti, con Lorenzino-Lorenzaccio che fa fuori il prode Inca invitandolo nel letto della moglie. Quizquiz - inutile sapere chi è- ne continua la lotta: sottrae Bologna al papa, pacifica bene o male Firenze, sposa Caterina dei Medici, vedova di Enrico, il figlio di Francesco I, e prepara l’attacco a Roma. L’imperatore successore di Atahualpa si chiamerà Carlo Capac, come Carlo Quinto, e come questi farà il sacco del papa, che sta antipatico a Binet - il papa si rifugia dal sultano Selim II.
Cervantes accoltella un mite artigiano e se va a spasso per l’Europa, con Domenikos Theotokopulos - che noi sappiamo sarà chiamato El Greco. Anche loro ce l’hanno col papa. Poi fanno Lepanto, e finiscono alla torre di Montaigne. Conversazioni, ironie e saggezze, finché Cervantes non si fa la signora della torre – vecchio topos, “la moglie di Montaigne”, tipo la moglie di Socrate. Dopodiché da solo, a Bordeaux, s’imbarca per l’America.
Un racconto alla Virginia Woolf di “Orlando”, fra storia rifatta e fantasia. Un po’ serioso: il titolo antifrastico è di quante distruzioni siano capaci le civilizzazioni – e di chi la fa l’aspetti.
Binet si diverte, il naso di Cleopatra è la sua passione, con gusto nel caso della semiologia, il celebre “La settima funzione del linguaggio”. Il lettore un po’ meno. La conquista americana dell’Europa, probabilmente il nucleo originario del libro, è colta e sorprendente, oltre che irridente – ma è vero, l’Europa trova sempre motivi per litigare. Anche se sceneggiata alla chanson de geste, che però è un mito fondante, non un divertimento. I due apocrifi, delle saghe norrene e del diario di Colombo, e l’avventura scalcagnata, anche nella scrittura, di Cervantes, non fanno ridere.
Un libro molto premiato, anche dall’Accademia di Francia.
 Ma l’Europa alla deriva dagli Usa non era già vecchia teoria woodyalleniana?

Laurent Binet, Civilizzazioni, La Nave di Teseo, pp. 384 € 19

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