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domenica 30 ottobre 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (507)

Giuseppe Leuzzi

Si balla tra uomini, tra ragazzi, in uno stanzone spoglio nel Friuli di Pasolini dopo la guerra, nel romanzo “Atti impuri”. Ma il fatto si documenta solo in Sicilia, con la solita foto del ballo tra uomini alla Casa del Popolo, ripresa anche da Paolo Taviani in “Leonora addio”, il suo film sulla sepoltura di Pirandello. Il folklore – il “colore” - è assassino, seriale.

Un gruppo di spagnoli in vacanza, 57 persone, atterra a Malpensa, e comincia il suo tour con un pranzo a Somma Lombardo in Valcamonica. Tutti intossicati dale lasagne, quattro in ospedale, una donna morte. Un piccolo incidente, cronaca locale, niente scandalo. Fosse successo a Catanzaro? O ad Agrigento?

Appena cinque ministri del Sud, Abruzzo compreso, venti milioni e qualcosa di abitanti, compreso il ministro per il Sud, su venticinque nel nuovo governo, due pugliesi, uno napoletano, il “tecnico” (giornalista) Sasso, uno siciliano, addetto a non far niente, e una sarda. E non per l’abbandono della politica, cui il Sud si è ormai rassegnato: gli altri venti ministri non brillano per capacità politica conclamata, solo per essere milanesi o romani.

L’Italia non è un paese di gangster. Il numero dei delitti denunciati dalle forze dell’ordine all’autorità giudiziaria è diminuito di un milione, da 2,9 a 1,9 milioni, dal 2007 al 2020. Con una regressione più o meno costante negli anni. Poco meno pronunciata ma ugualmente consistente la regressione al Sud, da 808 a 584 mila (più consistente senza le isole, cioè principalmente la Sicilia: da 552 mila a 450). Ma il sud è comunque criminale.

È Malta il paese europeo con minor numero di vittime per incidente stradale, 17,4 per milione di abitanti. Ma si celebra la Svezia, che viene dopo, con qualche morto in più: “In Svezia le strade più sicure d’Europa”. La narratologia privilegia il Nord, è un riflesso condizionato, pavloviano. Il Nord eccita di più la fantasia? 

La speranza e i Carabinieri

“Contro le cosche i soldi non bastano perché loro ne hanno tanti, troppi”, spiega Gerhard Bantel a Roccella Jonica a Giuseppe Chiellino sul “Sole 24 Ore”: “Non si può competere. Per scardinare questo sistema abbiamo bisogno di un’altra leva, la Speranza. Le cose possono cambiare. Se c’è la volontà di cambiare la strada si trova. La Calabria non ha bisogno di eroi, ha bisogno di persone che lavorano insieme per cambiare le cose”. E fa il caso delle “feste della ripartenza”, che, spiega, “qualche anno fa ci siamo inventati per rispondere con la solidarietà agli attentati che colpivano i nostri soci, e ricomprando un trattore incendiato o ricostruendo il capannone distrutto. Hanno smesso di colpirci”.

“Ci stiamo chiedendo”, continua Bartels, “quale strategia ci sia dietro questa scelta, ma intanto è un fatto che non abbiamo più avuto attentati”.

Bantel è una persona speciale. Cittadino svizzero, avviato alla banca e alla finanza, tra Zurigo e New York, ma buon cristiano della chiesa Evangelica della Ricostruzione, da oltre trent’anni si è stabilito a Roccella Jonica, con la moglie Annalisa, e gestisce il centro Emmaus per ragazzi con problemi e minori (immigrati) non accompagnati. A Roccella è un’istituzione. Il centro ha anche una parte destinate alle vacanze estive di gruppi o famiglie.

Negli anni 1990 l’attività di Bantel si è incrociata con quella del vescovo di Locri, monsignor Bregantini. Con quelle “cose” che Bantel spiega utili a bloccare la criminalità. È Bregantini, un prete operaio trentino molto attivo nel confronto pratico con le mafie, ad avviarle, con giovani e non più giovani, in cooperative. Le instrada in settori di attività che non interessano alle mafie, all’agricoltura delle piccole cose, piccole produzioni di frutti di bosco, in serra, ma è lo stesso oggetto di minacce e attentati.

Non deflette, e nel 2003 rilancia, fondando, Bantel è della partita, il gruppo Goel – dalla Bibbia, dove è go’el chi difende i deboli, color oche non godono di nessuna protezione, gli schiavi. E allargando la cooperazione agli agrumi, agli ulivi, alla vigna. Goel è oggi, in meno di dieci anni, un gruppo da 10 milioni di fatturato, molto per il luogo. Avendo diversificato nella moda etica (“Cangiari”), nel turismo responsabile, e come incubatore di imprese etiche. Attingendo ai fondi public per il terzo settore con canale probabilmente privilegiato, ma comunque con effetti pratici di rilievo.

Perché “non abbiamo più avuto attentati?”, si chiede Bantel. I Carabinieri avrebbero potuto dargli la facile risposta – in un momento di pausa dalla compilazione di dossier storico-sociologici-criminali sulle “famiglie” di ‘ndrangheta e sulle “cupole”. Cioè quando fungono da polizia, che a ogni azione criminosa oppone una risposta. Minacce più o meno anonime, con “avvertimenti” in forma di attentati (mai alla persona), sono pratica costante della criminalità locale. Da prima della mafia e dell’antimafia. Nei casi (rari, del maresciallo Delfino tra le due guerre, del maresciallo Sanginiti negli anni 1950) in cui i Carabinieri intervengono subito, scoprendo giovani che ci provano, o vecchi arnesi, la minaccia è finite lì. E altri non ci provano. Altrimenti si comincia con piccolo soprusi a vent’anni e si finisce a trenta o quaranta capicosca, cioè capibanda. Con i “mezzi” che Bantel giustamente dice imbattibili, armamenti e impunità oltre che soldi.

P.S. Le minacce contro Bregantini è capitato di sentirle anche apertis verbis a Giornate della Legalità in Aspromonte. Da parte di qualche leguleio o ex funzionario pubblico di probabile aderenza massonica, che tuonava contro il “prete capitalista”, “protetto dalle banche”, “arruffone”. In questi termini. Alla presenza di qualche prefetto o vice-prefetto, e di uno o più ufficiali dei carabinieri.

Bregantini fu poi allontanato dal Vaticano, su pressione dei Carabinieri e della Procura di Reggio Calabria, per “evitare lo scandalo”. Dopo la strage di Duisburg si era prodigato in prima persona, insieme col suo collaboratore allora parroco di San Luca e rettore di Polsi, don Pino Strangio, a bloccare la faida. Si prodigò alla pace attraverso le donne dei due clan in feroce lotta. Con contatti inevitabili, ancorché indiretti, con i capicosca, e con i loro alleati o padrini di altre piazza. Che commentarono sorpresi il coraggio del “prete”. Ascoltati dai Carabinieri.

Questo succedeva a luglio de 2007. A settembre Bregantini era “promosso” a Benevento, senza spiegazioni.

Proprietà e diritto o il Sud fuori dal tempo

Jünger in vacanza in Sardegna nel 1954, a passeggio per la campagna dietro Villasimius con “il signor Stefano, fratello della signora Bonaria”, l’ostessa presso la quale ha preso alloggio, fa due riflessioni cospicue, sullo spirito di “conservazione”, e sulla “proprietà”. Come segni storici, caratteriali e insieme culturali, giuridici e insieme anarchici (“Terra sarda”, pp. 107\9: “Di nuovo mi colpì la stabile direzione, il consueto binario sul quale si muove la conversazione con un interlocutore neolatino. Assai più di rado di quanto non avvenga in un colloquio con gli altri due grandi tipi umani di questa nostra parte del mondo, i Germani e gli Slavi, essa tocca un argomento non collaudato. Ogni frase è moneta contante, ha un suo peso determinato e misurato. Negli argomenti più elevati esso è reso evidente dall’inamovibilità dei concetti; essa costituisce il fondamento del linguaggio giuridico di livello superior e, in genere, di ogni definizione dei fatti. Perciò è da supporre che in questi paesi, malgrado tutte le rivoluzioni possibili, lo stile di vita si modifichi in misura minima. Di rivoluzioni ce ne sono state, qui, e da millenni, e spesso di grande ferocia. Esse hanno mutato la natura dei proprietari, per esempio da coltivatori diretti a latifondisti e all’inverso da latifondisti a piccoli contadini, oppure c’è stata semplicemente una nuova colonizzazione. Ma la proprietà resta, poiché è radicata nella struttura del pensiero. Perciò la vita in queste plaghe suscita un’impressione di atemporalità. Ne deriva anche il fatto che queste terre sono straordinariamente adatte alla formazione culturale di grandi spiriti conservatori; qui regnano, nell’orientamento del pensiero, il limite e il senso del limite”.

Per “il signor Stefano”, continua Jünger, “esistono propriamente soltanto due realtà, la famiglia e la proprietà. Al loro confronto diventa problematico tutto il resto, per esempio lo Stato. Di fronte a un simile ordine mentale le idee danno poco frutto. Ciò a sua volta fa sì che lo Stato, sin dall’inizio, appaia nelle sue vesti più grossolane, come sono quelle dell’esazione fiscale e della chiamata alle armi. La proprietà per definizione è quella fondiaria”.

Calabria

“Son Calabro, nomade, e men vanto”, cantava il presbitero (prete) Bartolomeo Nappini, in arte don Calabro Polipodio, autore dei “Sonetti pedanteschi”. Pur essendo in realtà di Roma, dove visse tutta la vita – a Petrizzi nacque, e vi passò i primi tre anni. Un’avocazione al rovescio, allora era di prestigio.

Baretti (“Aristarco Scannabue”) pubblicò dei “Sonetti pedanteschi” una scelta a Londra come “di celebre autore calabrese”.  

È San Luca il paese dove si è votato meno il 25 settembre, appena il 21, 46 per cento degli iscritti. Il paese delle ultime ‘ndranghete e delle faide, che pure nel 2019 aveva eletto un sindaco. Dopo cinque convocazioni a vuoto dei comizi elettorali, per mancanza di candidate, dal 2013 al 2018.

Innamorato di un ragazzo calabrese, Ninetto Davoli, per il quale scrisse cento e più sonetti, salvo infine adagiarsi nel ruolo di padre adottivo, Pasolini non è mai tenero con la Calabria. Nel famoso viaggio di corsa in automobile lungo le coste, che gli procurò in Calabria qualche querela. E in numerosi altri luoghi. Nel poemetto figurativo (a forma di croce) “Profezia” ne fa, profeticamente, l’approdo delle “barche varate nei Regni della Fame”. Ma anche il luogo di case porcili – quelle  della riforma agraria, sembra di capire: “Era nel mondo un figlio\ e un girono andò in Calabria:\ era estate ed erano\ vuote le casupole,\ nuove, a pandizucchero,\ da fiabe di fate color\ della fame. Vuote,\ Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi\ senza terra, di greti senz’acqua. Coltivate dalla luna le campagne.\ Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio\ scuoteva paglia nera come nei sogni profetici:\ e la luna color della fame\ coltivava terreni\ che mai l’estate amò”.

Un ammasso poco lusinghiero, di porcili, scheletri, fame, paglia nera, aridità.

“Se fosse un film, la Calabria sarebbe un noir; se fosse un mito sarebbe un labirinto, se fosse una donna sarebbe una fanciulla da sverginare, se fosse Dante sarebbe una selva oscura”: così Annarosa Macrì immaginativamente sul “Quotidiano del Sud” il 9 settembre, giorno mariano. Ma il fatto è che, se è una donna, non è una fanciulla.

C’è in Calabria il vezzo, o vizio, di “offrire”, un caffè, una bottiglia, anche un pranzo, magari a persona sconosciuta ma per qualche motivo ammirata. Annarosa Macrì, che ci s’è trovata in mezzo, del gentiluomo che ha offerto al suo gruppo una cena e non ha voluto essere ringraziato, si chiede: “Fu generosità o ostentazione di potere? Fu timidezza o comportamento ‘ndranghetista?” Ndranghetista? Ma è una fissazione comune, nella “società civile”, anche in Calabria – il resto è ‘ndrangheta.    

Si naviga, per abitudine e per necessità, in viaggi tra le cronache locali. Per lo più ininteressanti. Ma specialmente indigenti in Calabria: “Iniziata la novena per la festa patronale”, “L’onorevole Micio inaugura la sede” del suo partito, una “persona” arrestata “mentre era intenta a coltivare numerose piante adatte alla produzione di marijuana” - “l’uomo tentava in modo invano” di scappare.

È stato un Gaudio, Gaetano, detto a Hollywood “Tony”, il primo italiano a vincere un Oscar, nel 1937, come direttore della fotogarfia di “Avorio nero” di Mervyn LeRoi. Emigrato nel 1906 da Cosenza, col fratello Eugenio – di cui l’ex rettore della Sapienza porta il nome. A ventitré anni, già esperto di fotografia nell’azienda di famiglia, “Foto Gaudio”. A Hollywood fu pioniere e innovatore delle tecniche di illuminazione e di ripresa.

Maurizio Fiorino scopre Crotone, dove è nato e cresciuto, al Metropolitan Museum di New York, “tra le statue greche”: “La gigantesca mappa all’ingresso segnava Kroton come il centro della Magna Grecia”. Non è il solo – la Calabria in Calabria in genere si rifiuta (molta emigrazione, per esempio, non è di bisogno).

Gli europarlamentari si risvegliano adesso, dopo che la Regione Calabria ha contrattualizzato dei medici cubani per sopperire alle deficienze di Pronto Soccorso e di Medicina. Non quando gli stessi medici cubani venivano utilizzati in Lombardia e in Veneto nei reparti anti-covid. Assunti alla buona, con accordi personali e informali, invece dei contratti regolari sottoscritti dalla Regione Calabria all’ambasciata di Cuba a Roma.

Dice: i contrati con l’ambasciata schiavizzano i medici cubani, tra l’altro trattenendo una quota importante della retribuzione. Non è vero: trattengono la quota fiscale della retribuzione. Ma i medici cubani non-contrattati in Lombardia e Veneto erano più garantiti, più liberati? Ma è vero che l’ipocrisia è una grossa arma. 

leuzzi@antiit.eu

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