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martedì 1 novembre 2022

Dostoevskji fa ridere

Importare più panno inglese, per fare migliori vestiti, e più resistenti, nell’eventualità che si finisca dentro un coccodrillo. E proteggere comunque il coccodrillo, anche se ha inghiottito un uomo: gli animali sono buoni. Senza trascurare i giornali: tanto più bizzarra la situazione proposta, tanto più presteranno attenzione.

In un racconto, breve, Dostoevskij accumula un crescendo di ridicole fantasie, sotto forma di principi politici, di politica economica. Ridicolizzando il liberismo, quello che oggi diremmo il mercato, o la globalizzazione, l’animalismo, che oggi diremmo postumano, e insieme l’opinione pubblica, i media di oggi.

Un impiegatuccio bene ammanicato – ha in tasca un biglietto per una vacanza in Europa – si reca a mo’ d’addio con la moglie e un amico a visitare, nel lussuoro Passage alla parigina che adorna il.centro di Pietroburgo, gli animali curiosi presentati in un antro puzzolente da due girovaghi tedeschi, una madre arcigna col figlio: una scimmia, un coccodrillo. Che sembra inerte, ma poi spalanca le fauci, e a varia riprese inghiotte l’impiegato col biglietto. Un disastro? Sì e no: il malcapitato in attesa di digestione nella pancia del coccodrillo attira una folla enorme di curiosi, gli affari marciano benissimo per i tedeschi, e l’impiegatuccio si ritrova protagonista, un teorico, professorale: dal ventre della  bestia si mette a esaltare i fasti del liberismo, proponendosi come un nuovo Fourier, l’utopista. Mentre gli animalisti minacciano rivolte contro chi vorrebbe “fustigare” l’animale, come è stato richeisto dall’amico nella prima concitazione – che però, a quanto pare, in russo può significare anche “sbudellare”. E la mglie, belloccia, è più libera di consolarsi.

Il secondo di due raconti, che ridicolizzano la svendita della Russia - come Dostoevskij fa contemporaneamente negli scritti giornalistici degli stessi anni: “Una brutta storia”, 1862, e questo “Il coccodrillo”, 1665. Coevi di “Umiliati e offesi”, 1861, e “Memorie del sottosuolo”, 1864.

Finita la brillante lettura viene da chiedersi: è una critica “di destra” al liberismo, come l’avrebbe fatta un secolo dopo Solženicyn? Il “principio economico” che l’inghiottito predica è il capitale libero. Poiché la Russia non ha i capitali, bisogna portarli dall’estero, invogliando i capitalisti stranieri. Come? Vendendo loro quello che vogliono. E la rivoluzione dentro “un carcere”, la pancia del coccodrillo? “Gli uomini selvaggi amano l’indipendenza, gli uomini saggi amano l’ordine”.

Ma la critica è ambivalente, e più radicale: è un liberismo che sconfina nel nichilismo – il liberalismo più conseguente è anarchico.

Serena Vitale rifà la traduzione, peraltro brillante, di Cristina Moroni per l’edizione Oscar dei “Racconti” di Dostoevskji, curata da Giovanna Spendel.

Fëdor Dostoevskij, Il coccodrillo, Adelphi, pp. 97 € 12

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