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martedì 10 ottobre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (540)

Giuseppe Leuzzi
“La commedia all’italiana ha sempre vissuto di regionalismi: le contrapposizioni Nord\Sud, il milanese e il romano, il siciliano geloso,  il napoletano flemmatico… Oggi tutte queste cose non si possono fare più”, Neri Parenti, regista del “genere”. Cioè ci sono ma non se ne può parlare – nemmeno per ridere. Per antirazzismo, oppure in realtà per razzismo – che si vuole nascosto, integrale, non disinnescato nella risata?

Nunzia De Girolamo, di Benevento, ex deputato Foza Italia, ex ministra dell’Agricoltura, ex vedette di “Ballando sotto le stelle”, ora conduttrice di Rai, 3, intervistata su “Oggi”, alla domanda se Meloni riuscirà a domare l’esuberanza di  Salvini risponde: “È una donna, e le donne sono abituate a comandare, anche se a lungo lo hanno fatto dalle retrovie”. La donna del Sud.

 
Non si racconta l’emigrazione
Non c’è molta letteratura dell’emigrazione. E non se ne parla nemmeno. Lo scopre per caso Goffredo Fofi recensendo il film di Garrone “Io, Capitano”, per analizzare le ragioni per cui il film non gli è piaciuto. C’è De Amicis, “Dagli Appennini alle Ande”, e c’è Giovanni Arpino.
Fofi si riferisce ai racconti “formativi”, rivolti ai più giovani. Di cui esemplare trova, anche in questo, Verne, “Un capitano di quindici anni”. E poi De Amicis e Arpino (“degli scrittori italiani del secondo dopoguerra, mi pare che solo Giovanni Arpino abbia raccontato ai ragazzi le avventure di uno di loro, dal Sud al Nord negli anni del boom e dello spopolamento delle campagne….”.
Fofi dimentica Mimmo Gangemi, “La signora di Ellis Island”, la prima Mazzucco, “Vita”, premio Strega, e un po’ di Carmine Abate. Ma non è molto.
Non c’è letteratura italiana sulle migrazioni in Italia. Ce n’è invece da parte di emigrati o figli di emigrati italiani in Australia (Luigi e Alfredo Strano, Giovanni Calabrò, Domenico Marasco, Rocco Petrolo, Gerardo Papalia, ino Sollazzo, Vincenzo Papandrea, Giovanni Misale…) e negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti ovviamente si contano casi eccelsi di italoamericani nella narrativa del Novecento che hanno raccontato l’emigrazione, Talese, DiDonato, John Fante.  
 
La verità su Falcone, prego
Messina Denaro in fin di vita (non propriamente: con un’aspettativa di vita che sa breve e brevissima) parla disteso con i Procuratori Guido, Padova e De Leo delle ultime stragi di mafia – di cui non si vuole responsabile. Con l’allusione, il tipico detto e non detto mafioso, ma comunque parla. Per dire quello che i teorici e sostenitori dello Stato mafia si vogliono sentire dire, sempre col detto e non detto. Ma anche con chiarezza.
La chiarezza sta nell’aver puntato la sua non-deposizione sulla “strage Falcone”, fra le tante. “Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli  al maxiprocesso?”.
Il tono è irridente. È lui che conduce l’interrogatorio sulla “strage Falcone”. “Perché penso che sia la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto”. Per “tutto” intendendo “le stragi, l’input”.E insiste: “Sì, sì, questa strage…tutto da lì parte”.
Poi non spiega, ma passa alla strage sucessiva, due mesi dopo, di Borsellino in via D’Amelio:  “Dopo non so quanti anni avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino… Ora la mia domanda è, me la pongo,diciamo, da scemo, perché vi siete fermai a La Barbera?” La Barbera è il dirigente di Polizia, morto successivamene, che indirizzò l’indagine su Scarantino, una pista palesemente falsa. “Perché La Barbera era all’apice di qualcosa: ha capito cosa… il contesto?”. Il contesto politico, di delegittimazione di Falcone. Finendo per insinuare: “E se La Barbera fosse vivo, ci sareste arrivati oppure vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?”. Come dire: morto La Barbera, vi è stato comodo scaricare tutto su di lui, e basta.
Qui il Procuratore Guido lo rimbecca: “Lei si rende conto che queste sono cose sulle quali noi ci aspettiamo delle risposte, non delle domande?” Ma Messina Denaro ne ha ancora una: “E perché in certe cose (i magistrati) si accontentano e in altre no?” In altre, intende, vanno a fondo.  
Sul punto della “strage Falcone” tutto è rimasto nell’ombra. Il “contesto” era politico, l’isolamento di Falcone, la sua delegittimazine – in tv, e in Parlamento. Falcone era guardatissimo, e si guardava. Non era abitudinario, forse per carattere, comunque non lo era a Roma. E della sua imprevedibiltià faceva parte anche la prevedibilità - poteva dire: il tal giorno alla tal ora sarò qui o lì, e poi cambiare, oppure no. A Capaci invece la strage era preparata da tempo: giorno e itinerario furono conosciuti dagli attentatori in tempo. Potevano variare, ma di poco, solo il volo e l’ora. Riina e I suoi boia sapevano da giorni. Chi e come ha informato Riina non s’è mai saputo. Appunto, come dice Messina Denaro, non si è mai cercato – il “contesto”si è defilato.
Peggio se l’attentato di Capaci è stato uno dei tanti preparati. Per altre occasioni, che magari Falcone imprevedibile ha evitato.

Con la cultura non si mangia
Rispondendo a Giuseppe  Muscari di Locri, che gli rimprovera una sorta di anti-italianismo
in tema di rispetto dell’arte, Cazzullo gli fa l’esempio di Locri, o di Mazara del Vallo. Qui, dice,
ha passato “un quarto d’ora meraviglioso, in piena estate”, in compagnia del satiro danzante nel
museo: ero e per un quarto d’ora sono rimasto l’unico visitatore”. Lo stesso si può testimoniare
del museo di Sibari, o di Crotone, per il tesoro di Hera Lacinia a Capo Colonna.
A Reggio Calabria invece l’Archeologico si riempie, anche fuori stagione turistica, di visitatori. Per i Bronzi –ma anche l’Apollo Aleo, e altro. Qui però è la città totalmente avulsa. Non ha costruito in venti o trent’anni, e non costruisce, niente, attorno ai Bronzi – o al Lungomare patrimonio dell’umanità, o allo Stretto fino alle nevi dell’Etna. E non per essere impegnata in tutt’altro – come ad es., si parva licet componere magnis, Milano, che trascura in tanto bello ereditato per il “lavorerio”, per il business. Per nobiltà dello spirito – con la cultura non si mangia, nel senso di non si deve mangiare, da vera nobiltà dello spirito, da “intellettuali del Mezzogiorno, di quel pensiero tipico della Magna Grecia”. Incuria? Mancanza di bisogno.
 
Cronache della differenza: Milano
“Sono sempre affascinato dall’anima del serpente”, dice l’artista Fabrizio “Bixio” Braghieri, d a ultimo autore di installazioni acclamate,  milanese: “Il serpente è un po’ come Milano, città sinuosa, piena di angoli e anfratti in cui nasconde le sue gioie”. Città segreta, da tinello familiare, la voleva Gadda , altro suo figlio emerito.
 
“Se uno si prende la briga di contare i Daspo, e cioè i provvedimenti del questore contro i violenti, scoprirà che Milano ha ampiamente il record nazionale”, Piero Colaprico, “la Repubblica”. Ma “Milano tira, ha fama di città del divertimento e del turismo giovanile”. La pubblicità è tutto.
 
“Allarme sicurezza a Milano,(il sindaco) Sala chiama Gabrielli (ex capo della Polizia). «Ma qui non è Gotham Ciry», si premura di precisare”. Giustamente, Milano non ha più “disagio” giovanile –maleducazione – di altre città , Roma come Bari. Ma si vuole speciale.
 
Sui giovani ha una lunga tradizione. Cominciò con gli hooligans sessanta o settant’anni fa – gli hooligans, per quanto mansueti a Milano, la mettevano alla pari di Londra. Poi i “capelloni”, in prima sul “Corriere della sera”, e con Pasolini. Poi i paninari…Non c’è sfoglia della realtà che Milano non si intitoli, per la storia.
 
La Juventus torna temibile nel campionato e subito Milano l’artiglia. Questa volta senza la Consob o altre agenzie. Basta dire che ha sprecato un miliardo e mezzo, cifra iperbolica, e che la Famiglia non finanzia più il club. Milano non si lascia scappare una briciola.
 
Impensabile patronaggio domenica 10 settembre sul “Corriere della sera” di Mario Monti a Meloni e Giorgetti. Con citazioni a iosa del ministro dell’Economia come fosse un Grane Economista. Tutto perché Giorgetti è laureato della Bocconi – Meloni è semplicemente “in politica già a vent’anni, cresciuta alla Garbatella, piena di ardimento” (e uno s’immagina la Garbatella un luogo da cui scappare, mentre è da molti anni ormai un quartiere ambito).
 
“Andare a Milano fu come essere deportato”, ricorda il regista Luca Miniero (“Benvenuti al Sud ”) del sua esperienza giovanile, anni 1980: “Coi treni diversi dagli attuali, era una città molto lontana. Da bere c’era poco, e anche da mangiare. Era una Milano in crisi, che licenziava”.
La Milano da bere era una fissa di Craxi, che non tollerava critiche sulla sua città. Che gliela fece pagare.
 
“Dovevi arrivare vergine al matrimonio e se non lo eri succedeva un dramma”, ricorda Isabella Bossi Fedrigotti. Di Palermo? No, della sua città, Milano, nella sua adolescenza, anni 1950: “Una perbene non si truccava, il rossetto era peccato”.

leuzzi@antiit.eu

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