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venerdì 13 ottobre 2023

Stanchezza d’amore

Una donna di 35 anni, sposa a 19, con una figlio quindicenne, una figlia con problemi, e un aborto, moglie dell’ottico di paese, di suo immobiliarista, una che fuma mentre guida, si concede una vacanza sul sedile posteriore della familiare con l’amico di suo figlio. Scomoda. Peggio nel rifugio che il ragazzo ha proposto, una catapecchia abbandonata nel bosco, su un materasso sudicio. Un’avventura sordida nei particolari rivissuta con gaudio dal ragazzo vecchio. Con una donna di cui solo sappiamo che si chiama Mrs Gray – “la mia Celia” è il solo complimento, finale, al suo sacrificio, e s’immagina la Celia di Shakespeare, se non che quella è, sì, silenziosa e riservata, ma  innamorata della cugina Rosalinda.
Niente di speciale. Un paio di occhiate da voyeur alle sottovesti femminili di cinquant’anni prima costano la lettura di centinaia di pagine di divagazioni, tanto elaborate quanto irrilevanti. Forse una Bovary contemporanea che fuma e guida, “un’educazione sentimentale” al rovescio di quella di Flaubert, di cui Banville ripete il dettaglismo, la precisione dissolvente. L’editore italiano dà un senso in questa direzione al lungo racconto cambiando il titolo – l’originale è “Ancient Light”, una vecchia “illuminazione”. Ma il nuovo titolo non è veritiero, il quindicenne non mostra di avere imparato nulla. Il rimando più conseguente sarebbe a uno “Chéri” al rovescio, la cosa come vista da lui, dal ragazzo, e non dalla sua seduttrice in età – ma senza la leggerezza di Colette.
Una narrazione come un esercizio in durata: vi mostro come sono bravo, a interrompere, riprendere, deviare. Forse una sfida. Conclusa ambiguamente: il ragazzino, ora Grande Attore, si chiede se non è stato una marionetta – “ora mi rendo conto che sono stato sempre manovrato, da forze non riconosciute, costrizioni occulte”.  
La lunga lenta narrazione si interseca, come negli sceneggiati, con due vicende parallele. Con la morte – annegamento? suicidio? – della figlia del narratore Cass, a ventisette anni, una studiosa erudita, “benché soffrisse sin dall’infanzia della sindrome di Mandelbaum, un raro difetto della mente”, a Portovenere, “sotto la chiesetta di san Pietro”. E col progetto di un film su un personaggio ignoto che il narratore, attore noto del cinema, dovrebbe interpretare. Il progetto vale al narratore un viaggio turistico alle Cinque Terre, in compagnia della diva del film, in crisi, al tanfo di un alberghetto aperto a Lerici fuori stagione. Con la scusa di respirare un po’ l’aria che respirò la figlia all’ultimo.
Morti e malattie (mortali) risolvono il romanzo. Con un guizzo alla fine, un omaggio a Paul de Man, il “decostruzionista” principe - lui e non il suo mentore Derrida: “Professore di Decostruzione Applicata al Dipartimento di Inglese dell’universita di Arcadia”. Che non voglia dire qualcosa, un romanzo de-costruito invece che costruito?
John Banville, Un’educazione amorosa, Guanda, pp. 280 € 17,50 

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