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sabato 16 dicembre 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (546)

Giuseppe Leuzzi
 
Persefone-Proserpina, detta anche Kore,  è la prima vittima di violenza sessuale, se non di stupro. Rapita alla madre Demetra-Cerere, alla Terra, da Ade, che la confina agli Inferi, all’inferno. La fumettista neozelandese Rache Smythe fa quella di Ade con Persefone anche una storia d’amore, nel quarto volume della sua rivitazione della classicità, “Lore Olympus”. Ma Persefone quando ritorna sulla Terra si ritiene liberata. E come tale è celebrata. In particolare a Bova, in Calabria, dove Kore di rami di ulivo sono portate in processione nella Settimana Santa, parte della liturgia della Resurrezione.
 
“Dal 2002 al 2021 circa 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Sud, di questi l’81 per cento si è stabilito al Nord. Gli under 35 che hanno lasciato il Sud sono stati 808 mila. E di questi 263 mila erano laureati” - Daniele Manca, “L’Economia”.
 
Se osserviamo “l’impiego femminile, il tasso di occupazione relativo medio in Europa è pari al 72,5 per cento. Nelle regioni del Merdiione la percentuale è più che dimezzata: in Campania e Sicilia è pari al 31 per cento, e sale al 32 per cento in Puglia. La Germania è al 78,6 per cento” - id.
 
Il Ponte, l’idea del Ponte, si sovrappone al “muro” tettonico con cui l’Europa fronteggia Africa, fra Scilla e Cariddi, tra le punte della Calabria e della Sicilia, la frontiera Sud dell’Europa geologica. “Rocce rossastre”, così descrive il muro Rumiz nel libro sui terremoti, “Una voce dal Profondo”, “plutoniche, contorte da forze bestiali, segno di un  trasloco tellurico inimmaginabile. Quello che aveva spinto un pezzo di Alpi a valicare il Tirreno per formare la muraglia che chiude ai due lati di Scilla e di Cariddi”. Almeno la tettonica è anti-leghista.
 
Il piano europeo di rilancio post-covid, NextGenerationEu (Pnrr), assegna più risorse ai Paesi che hanno maggiori squilibri territoriali. L’Italia li ha, ed è il paese Ue che riceve più risorse. Il governo ha destinato al Sud il 40 per cento dei fondi del programma. Ma il Sud non sa spenderli. Quest’anno, a fine novembre, aveva investito solo il 9,4 per cento dei fondi a disposizione, pari a 2,5 miliardi. E in progressione calante: aveva speso 6,2 miliardi nel 2021 e 18,1 nel 2022. Qui non ci i sono scusanti: il Sud danneggia se stesso e danneggia l’Italia.
 
Il vino (che non c’è) in Calabria
Si è detto della Calabria che non produce praticamente più vino – un po’ più della Valle d’Aosta. Che era, per quanto povera e trascurata, terra di ottimi vini, invariabilmente apprezzati dai viaggiatori, tra le tante scomodità. E pur essendo, nelle pubblicazioni specializzate, l’area più ricca, in Italia e in Europa, di vitigni autoctoni, della più grande varietà di vitigni autoctoni – quelli di cui la domanda è da qualche anno la più consistente, su tutti i mercati, interno e internazionali.
Era anche la terra i cui ogni metro quadrato, si può dire, ogni piccola proprietà, per quanto minuscola, aveva il suo palmento, si produceva il suo vino. E di questo c’è testimonianza rupestre, duratura, malgrado l’incuria. Il palmento è l’insieme di due vasche, un tempo in pietra, poi in muratura, su piani sbalzati, comunicanti attraverso un foro, nella più alta delle quali l’uva veniva pigiata, e il succo defluendo nelal seconda poi fermentava come mosto lentamente.   
Centosettanta di questi palmenti censisce Paolo Rumiz in “Una voce dal Profondo” nella sola Ferruzzano, “chiamati «altari del vino»,  con iscrizioni greche e romane”. Tanti, 750 per l’esattezza, ne aveva contati il professore Orlando Sculli qualche anno fa in “I palmenti di Ferruzzano”. Sulla traccia aperta da Domenico Minuto su “Calabria Sconosciuta”, col reperimento di 400 palmenti in altra area dela Locride.  
Minuto e Sculli non sono viticultori. Umanisti di formazione e insegnanti di lettere classiche, si sono occupati dela materia studiando la tradizione – come spiegare il passaggio dalla Magna Grecia alla Calabria di oggi. Minuto, che dovrebbe essere ultracentenario, è stato con Franco Mosino all’origine del recupero della lingua e gli usi grecanici nella Locride meridionale, nella area jonica della Calabria reggina. Sculli si è specificamente occupato delle specialità arboree, e soprattutto dei vitigni – di cui 9dà un quadro esauriente in
https://www.kalabriaexperience.it/itinerario-attraverso-i-palmenti-rupestri-della-locride-in-calabria/
 
Le 400 Rosarno
Il “Dossier 2023” dell’Idos (Immigrazione Dossier Statistico) rileva un immigrato su tre impegnato nei lavori agricoli, soprattutto per la raccolta: gli straneri coprono il 31,7 per cento delle giornate lavorate – il conto è in difetto, poiché il lavoro è prevalentemente in nero, ma indicativo. L’Osservatorio Placido Rizzotto, della Cgil, sa però censire le aree di illegalità (caporalato, lavoro in nero, paghe orarie da 1-2 euro): ne ha rilevate in 405 comuni, il doppio dei 205 comuni della precedente indagine, 2018.  Di questi, 194 Comuni sono al Sud, che conta 600 mila lavoratori agricoli nel complesso, e 211 al Centro-Nord, dove i lavoratori agricoli sono molti meno, 460 mila.
Caporalato e precarietà sono praticati ovunque. Questa la graduatoria, in ordine decrescente per numero di infrazioni accertate: Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte e Lombardia.
Si può opinare che l’accertamento (degli ispettorati del Lavoro? dei sindacati? in base alle denunce?) è più efficace al Nord che al Sud. Ma il caporalato è ovunque.
 
Il Sud è matriarcale
Incuriosisce, dopo cinquan t’anni di “studi arabi” proliferati a seguito della crisi del petrolio nel 1973, e più dopo il boom immobiliare e calcistico della penisola arabica dopo la crisi del 2007, che degli “arabi “ che sul finire del primo millennio dominarono in Sicilia, in alcune aree della Calabria (Tropea, Amantea, Santa Severina), a Bari e Taranto, e più a lungo in Andalusia, non si dica che in realtà erano berberi.  Che non sono arabi: sono stati islamizzati quando la conquista araba arrivò a Sabratha e all’Atlante, ma erano e sono rimasti berberi. Come tali censiti ormai universalmente,  in qualità di “barbari”, un po’ dentro un po’ fuori in antico dell’impero romano (ora provano a chiamarsi col termine tuareg mazighen, uomini liberi). Fino alla guerra di corsa e agli Stati “barbareschi” dell’Ottocento inoltrato. E come berberi, come minoranza linguistica e culturale distinta dall’arabismo dominante, provano da qualche tempo a farsi valere, soprattutto in Algeria, e anche in Marocco. 
La distinzione non è di poco conto per vari motivi. E per quanto concerne la presenza “araba” nel Sud per il matriarcato: i berberi, a differenza dagli arabi, erano e sono tuttora a fondo matriarcale. I clan e la discendenza materni contano quanto e più di quella paterna – che l’arabo invece unicamente censisce. Una peculiarità che già le vecchie enciclopedie repertoriavano, anche se con difficoltà. Nella “Enciclopedia per ragazzi” Treccani, per es., Cecilia Gatto Trocchi si confondeva lei stessa: “ La struttura della tribù si fonda sulla grande famiglia patriarcale. In Marocco la donna è piuttosto libera e talvolta può influenzare gli affari della tribù; nel Rif (altopiani del Marocco) è riconosciuta la discendenza materna….”
Nel Sud non c’è il matriarcato. Non c’era nelle leggi dello Stato italiano, prima del primo centro-sinistra e del nuovo stato civile, che arrivava anche al delitto d’onore. Ma di fatto c’è, nel sentimento, nelle stato reale prevalente dei nuclei familiari, specie nell’emigrazione ma anche in condizioni di stabilità. Ma questa particolare presenza “araba” al Sud può spiegare come la nuova religione, riacquistata dopo la sconfitta degli emirati berberi è improntata a Maria, in tutti i paesetti, con le tante Madonne nere, e declinazioni di culto variegatissime, ma di una Madonna sempre misericordiosa e vendicatrice, liberatrice, anche la siculo-calabra Madonna della Catena.
 
Cronache della differenza: Calabria
Carmine A bate racconta in “Un paese felice” che si è laureato a Bari con una tesi su Corrado Alvaro, “Itinerario italiano”. Che avrebbe spiegato così alla sua innamorata: “Poi, con un entusiasmo non ricambiato, le confesso che un giorno mi piacerebbe visitare con lei i luoghi dell’Itinerario italiano: Roma, la via Emilia, Genova, Cremona, Napoli, Mantova, la Toscana, Torino, Venezia, Milano. E naturalmente la Calabria, che non conosciamo affatto pur essendoci nati”.
 
La ‘ndrangheta opera in Toscana dove non è mai stata, nei rapimenti, nella fantasia dei maremmani, già nel 1990, nell’ultimo romanzo di Fruttero&Lucentini, “Enigma in luogo di mare”, 1990. Molto prima che la ‘ndrangheta venisse scoperta e magnificata dai servizi di intelligence.
 
Ci sono a Roma molti valtellinesi, ma già di terza o quarta 
generazione, qualche migliaio, e la Popolare di Sondrio prospera, è la banca con più sportelli a Roma. Ci sono a Roma molti calabresi, alcune centinaia di migliaia, per lo più immigrati in proprio, per lo più professionisti, e la Cassa di Risparmio di Calabria a stento teneva uno sportello aperto, più che altro a fini di rappresentanza.


Un colossale repertorio di scrittori calabresi in Australia, che si esprimono in italiano (poesia) o in inglese (narrativa) può censire lo studioso di umanistica Gitano Rando, sotto il titolo “Cronotipi del paese natio e di quello d’adozione nella poesia e la narrativa calabroaustraliana”, disponibile online.

 
“Per un meridionale”, annota Corrado Alvaro nel 1930 (in “Quasi una vita”), un calabrese, a Roma, tra toscani, nell’ambiente letterario, “non era facile trovare stima, per la nostra mancanza di misura e per una reputata barbarie o provincialità”. Era, e ora?
 
“I calabresi”, annota Alvaro più in là, 1936, “mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, con la bontà dei loro frutti e dei loro dolciumi. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda, dell’infanzia”. La Calabria è un’infanzia.
 
“Courir la Calabre” fu un’espressione diffusa a Parigi ai primi dell’Ottocento, le memorie di guerra degli ufficiali napoleonici e 
scrittori Courier e Duret de Tavel, come di terra piena di sorprese, minacciose ma, evidentemente, non letali.

 
Chiude “Calabria Sconosciuta”, dopo quasi mezzo secolo. Un repertorio di persone, fatti, leggende, monumenti, luoghi. Dapprima mensile, poi trimestrale, poi a numeri sparsi, ma sempre di un mondo sconosciuto ai più. Specie ai calabresi, cui si indirizzava. Ha chiuso come tutte le riviste a stampa, ma fino all’ultimo in armonia col titolo: la Calabria resta “sconosciuta” ai più.
 
Giuseppe Gabetti, un viaggiatore che girava la Calabria su un asino (forse il germanista piemontese?), e vi trovava a ogni passo le donne più belle del mondo, ma che a Gioiosa Superiore, dove andò per vedere “le famose donne alla fontana”, queste gli apparvero meno belle, per “un cielo, un’aria, una luce” in cui si perdette, ricorda ad Alvaro “la forza degli elementi esterni che in Calabria livellano tutto. E che forse sono la ragione di una certa tristezza calabrese”.
 
A Rogliano, “graziosa città, molto ben collocata, l’antica Rubanum”, Horace Rilliet, “Colonna mobile in Calabria”, trova nel 1852 “una popolazione di graziose donne”, e la dice “utilmente conosciuta per i suoi maiali e i prosciutti delicati” – oltre che per dato i natali nel 1606 a Vincenzo Gravina”, il creatore dell’Arcadia e il pedagogo di Metastasio. Prosciutti a Rogliano, deliziosi?
 
Ha una tradizione medica, oltre che filosofica (Pitagora, Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, Campanella, Telesio): il viaggiatore Rilliet, medico, li ricorda, dal “chirurgo Alceone, 500 a.C., che per primo tentò l’amputazione degli arti e fece i primi studi anatomici sugli animali”, a Vincenzo Vianco, da Maida,”che fu inventore di un metodo di autoplastica chiamato di Tagliacozzo, dal nome di colui che lo descrisse più tardi”.

leuzzi@antiit.eu

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