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mercoledì 10 ottobre 2007

"Fahrenheit": sotto il giallo niente

Non si leggono gialli, dunque, a “Fahrenheit”: tra le migliaia che si sono dati la briga di scrivere a Sinibaldi cosa leggono c’è di tutto ma niente gialli. Nemmeno Camilleri. Può essere un caso, a fronte delle tirature. Ma non insignificante, vista l’enorme platea della trasmissione: anche il lettore di gialli non può che esserne stufo, sono mediocri e invadenti, essendo giallo tutto, gli affari evidentemente, ma pure la politica, il cinema, lo sport, e l’anima del mondo. Non c’è più storia senza suspense, da Troia alla baronessa di Carini. Si fanno domeniche sportive a imitazione del legal thriller e all’insegna del pagliettismo, due ore di chiacchiere invece delle partite - il cui giallo vero invece s’intravede negli armadi dei conduttori. Fa il giallo perfino Maria: la De Filippi crea suspense, prima dei soliti abbracci di buon gusto, magari nel truogolo. C’è giallo ad “Amici” e in camera da letto, coi delitti perfetti che il solito Ris non risolve, malgrado le carissime tecnologie. Per non dire delle intercettazioni. O di Mastella. E gli italiani forse reagiscono – che stanno sempre in attesa di sapere chi ha messo le bombe, a migliaia, ormai da quasi quarant’anni, da Piazza Fontana in poi: non avendo la risposta abbandonano il suspense.
I gialli ancora riempiono le librerie, si vendono in trenta, quaranta e cinquanta edizioni, e per ciò stesso sono benemeriti. Per i librai, gli autori, la lettura. Ma sono sempre più libri che non lasciano niente. Nemmeno il plot. Perfino Camilleri si legge in due ore di treno o d’aereo. E si dimentica. Prima del boom il giallo era lettura d’evasione: si stampava in fascicoli, si vendeva alla sazione, si leggeva nel viaggio, e via. Ora non è più così. O almeno, non ci sono altri libri. Ma la distanza è immensa tra “La donna della domenica”, che pure fu scritta per scherzo, e Faletti o Carofiglio. Sono i best-seller compagni? Camilleri, certo. Carofiglio pure, che il suo personaggio proclama comunista in corsivo, ripetuto, dopo duecento pagine di niente. Ma uno che è comunista solo per non volersi iscrivere al Rotary, per il resto è un borghesuccio, figlio di borghesi, che tradisce la moglie borghese a trent’anni con chi capita, anche a pagamento, fuma ma odia i fumatori di pipa, odia i giocatori di racchettone in spiaggia, odia e disprezza il mondo, eccetto il repertorio della vacanze intelligenti? Ci sono ancora, nella globalizzazone, le letture confessionali (il porta a porta), ma questi non sono buoni compagni.
Il “giallo ovunque” elimina il suspense per la noia. C’è nel giallo lo stesso vuoto dell’altro genere best-seller, il criminale: l’anti-Berlusconi, l’antimafia, l’anticorruzione, l’anti-Moggi, l’antipolitica, con le loro centinaia di titoli sempre ai primi posti nelle vendite. Sono letture che provano tutto e non provano niente. Che si leggono per pigrizia, o per confermarsi. Finché uno non ne può più – la chiesa cresima una sola volta. Si può dire in breve, ma è vero, che il lettore è sovrastato dai clichè subiti e imposti dalla Sicilia (con l’eccezione di Montalbano, è così che Camilleri resta buon scrittore): il male che non c’è, è solo meridionale, le cupole, le famiglie, il politico che è sempre corrotto, il giudice buono, le donne in genere pure, gli stereotipi della nazione che una politica incontinente paradossalmente ha nutrito. Ma ci può essere in questo rifiuto molto di più.

Il giallo è narrazione come gioco. Inventiva, sorpresa. Senza costruzione (linearità, coerenza) psicologica. Anche le passioni vi sono gioco da (de)costruzione. Giallo è anche “Thérèse Desqueyroux”, e “Nodo di vipere”. Perfino “I promessi sposi”, uno aspetta di vedere che fine fanno i cattivi. O “L’uomo e il mare”, o opere altrettanto statiche, liriche, le poesie delle ninfe, gli inni omerici. La differenza è che nel giallo non c’è altro. Il detective è un archetipo. Ogni grande detective di gialli è un “meccanismo” semplice, sotto l’apparente mistero, e esso stesso ripetitivo. Ma incarna (astrae) nella fattispecie una procedura logica – che è insieme complessa e semplice (intuitiva), come ogni fatto logico. È quindi genere democratico. Ma allora deteriore, destinato alla sconfitta – nell’arte militare si direbbe un rovesciamento di fronte, come quando i maneggioni tirano le fila degli sprovveduti, per esempio con le questioni morali.
Il giallo è genere democratico per l’ambientazione, i personaggi e le vicende, morti che non hanno nulla di eroico. Ma soprattutto per l’enfasi che pone sulla giustizia, che è il fondamento dell’uguaglianza. Esplode e s’impone con la democrazia e la domanda di uguaglianza. Più spesso ne dà l’illusione, col giallo alla Christie, con le verbose razionalizzazioni. Da cui le logiche di Eco, di induzioni, deduzioni et sim. Nella sherlockholmesiana e nel noir ne fa invece vedere le tensioni, o l’impossibilità pratica: la giustizia è l’ingiustizia. Il sentimento della giustizia cioè è sconfitto. Non alla Manzoni, o alla Sciascia, non tanto, per l’ambiguità della storia o della provvidenza, ma per le pulsioni invincibilmente perverse degli uomini, e delle donne, e per l’incorreggibile indigenza delle istituzioni. Sciascia immagina il giudice e l’inquirente pensosi, per un’idea della giustizia astratta o magisteriale, da giovane maestro di scuola. Nessuno scrittore vero di giallo-noir si attende nulla dai giudici. Il che ha a che fare con la giustizia – che non è un fatto di tribunali – ma di più con l’enfasi anarchica che sta all’origine della fortuna del genere. È insomma un gioco, aveva ragione Kipling. Divertente anche, se non ci fossero i morti.
Ma ha un effetto secondario: come ogni forma di comunicazione induce la credenza pubblica. È quindi un fenomeno politico, il regime politico essendo ancora elettorale, un’estensione del complotto. Anche il complotto è, come il giallo, genere democratico: ognuno è un detective (il “popolino”), basta poco per creare (individuare) complotti, ordinari, a diecine. I complotti piacciono. Per la natura del complotto, che si costruisce come un giallo - spiega cioè ogni cosa senza che essa debba essere vera. Una corrente di pensiero vuole del resto il giallo, e dunque il complotto, in ogni forma logica: discenderebbe dalla necessità di causa ed effetto. Heisenberg ce ne vorrebbe privare, così presto - è appena un secolo, un secolo e mezzo contando Poe, che l’umanità si gode il giallo e i piaceri della logica. Ma questo è il difetto dell’epagoge, inductio, che abbisogna di una gran quantità di cose per porre il principio logico, o universale. Quante devono essere queste cose? Quanti giudici devono voler fare le scarpe a Mastella perché Mastella li possa denunciare? E quanti affaristi, anche non massoni, Mastella deve frequentare prima che sia dichiarato complice? E la conclusione si può sempre rovesciare.
Si può immaginare un giallo fatto di deduzioni e controdeduzioni, che vadano avanti per duecento pagine, quanto il giallo dev’essere lungo. Oppure di un monte di fatti cui si contrappone un altro monte di fatti. Questo è stato fatto spesso in letteratura, il volgare “visto dall’uno visto dall’altro”. Né vale l‘inverso, l’apagoge, che non è, per quanto forbita, onorevole e anzi è fastidiosa. Ne era maestro Socrate, di cui gli ateniesi si liberarono con sollievo. L’apagoge è l’abduzione, la tecnica per cui si assume la tesi dell’interlocutore per vera, ma poi, unendola a qualche altra proposizione nota come vera, se ne trae una conclusione palesemente falsa, in quanto contraddice la natura delle cose (argomento ad rem), oppure le altre affermazioni dell’interlocutore (argomento ad hominem). Si dice che Sherlock Holmes ne sia maestro, e invece è simpatico perché le evita.
Ma sui segreti non bisognerebbe indulgere, questa è l’unica ricetta, e forse i lettori, se non il giallo, stanno tornando ai fondamentali. Costruzione e decostruzione, struttura e sovrastruttura negano la realtà e la storia, e questo non fa bene ai più, non è propriamente democratico. Mentre la proprietà pedagogica del meccano è nota, era nota a tutti i bambini, da tempo La scienza non ha il senso del ridicolo, con tutte le sue scoperte. Con le profondità della psicologia, per esempio, o della biologia, così piatte. Con il Ris di Parma e le tecniche d’intercettazione, che in un buon giallo si farebbero valere per i buchi, non innocenti. Potrebbe essere una buona tecnica, la scienza, e per tale va presa. Per esempio nell’alchimia del potere, che si vuole arcano per quanto è miserevole, si autodistrugge forse più di quanto distrugge. Rovesciare la realtà è ottimo esercizio d’ingegno, ma la prima diavoleria fu, nel paradiso terrestre, dire bene il male e male il bene.
La giustizia è come il Ris, è sempre insoddisfacente. La giustizia per un cristiano non è affare di legge ma di coscienza: siamo legge a noi stessi. È già così nella tradizione di Socrate, cioè di Platone, ma san Giovanni ne fa un precetto nel suo Vangelo, 1, 17: “La legge fu data a Mosè, la verità e la grazia si diffondono con Gesù Cristo”. Per questo la legge è sempre insoddisfacente. Il male del resto è molto più grande dell’illegalità, assassinio compreso: il rapporto è del cinque, forse dieci, per cento rispetto a tutto il male autoinflitto, a quello della natura, malattia compresa, a quello degli affetti, del lavoro, dell’invidia, della gelosia, dell’avarizia e di ogni altri peccato, e della prepotenza quotidiana, specie di quella dei tutori dell’ordine, che in Italia vogliono essere sbirri.
Ma la logica, compresa del giallo, è semplice. Sherlock Holmes sa già la verità, non la deve dedurre, cioè dimostrare. Perché la verità è democratica, ognuno è buon filologo tedesco (ricordate il precetto che immortala l’“io so” e Pasolini? “Un sapere senza prove precede necessariamente il sapere che si trova”): non ci vuole mica molto per capire. Il complotto è la politica, organizzata nei dettagli, governata, coi tiranti, le redini, la frusta, annunciata, prevista, spiegata perfino, nei talk-show, tra belle gambe. Ma il totalitarismo è furbizia prima che forza, e disegno divino benché indigente. La bugia è inafferrabile se il suo autore ne è anche il regista: Epimenide cretese, Amleto - non nel caso del bugiardo semplice attore: Pinocchio. Per questo sono inestricabili gli intrighi montati dalla polizia. Però sono manifesti. E si torna, dopo l’attesa del nuovo, al paese senza verità.

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