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venerdì 12 ottobre 2007

"L'accusa del sangue" all'asta da Christie's

Una riedizione, a breve distanza della precedente (1993), con copertina nera e una fascetta bianca che dice: “Libertà di stampa significa rispondere ai libri con i libri”. David Bidussa, che nell’edizione 1993 della Morcelliana aveva analizzato il rifiuto dello storicismo di Jesi e l’innesto delle mitologie negli eventi e nella loro ricostruzione, fecondo per gli storici, fa per Bollati Boringhieri la “Retorica e grammatica dell’antisemitismo”. La pronta riedizione di Jesi va collegata alla polemica su Toaff e “Pasque di sangue”. Ma a questo quadro meglio soccorre la sintesi che Bidussa faceva allora delle argomentazioni di Jesi sulla recrudescenza dell’antisemitismo nel Novecento: la filosofia emancipazionista, il pregiudizio cristiano (Jesi lo dice cattolico, anche lui, ma è cristiano), il razzismo, la “non civilizzazione” dell’ebreo, il vampirismo tedesco, la catena vampiri\streghe\ebrei.
L’ultimo processo di sangue contro ebrei in Russia fu quello contro Mendel Beiliss nel 1912, al tempo dei pogrom in Ucraina e altrove, il Jakov Bok de “l’uomo di Kiev” di Malamud ("The Fixer"), impersonato al cinema da Alan Bates – che però il processo lo vinse. Mentre il “caso Damasco”, che Jesi rievoca, non solo fu vinto dagli accusati ma portò alla follia, benché non dichiarata, Robert Francis Burton, viaggiatore e letterato a tutti gli altri effetti rimarchevole e molto benemerito, l’esploratore e scrittore che poteva vantare la conoscenza di ventinove lingue, restauratore di molte letterature, dall’Anatolia all’Etiopia. Console a Damasco dal 1868 fu richiamato dopo appena tre anni dal Foreign Office per le sue intemperanze antisemitiche, e nel 1873 mandato a languire al consolato di Trieste. Morendo nel 1890 Burton lasciò manoscritto un “Human Sacrifice among the Sephardine or Eastern Jews” che la vedova Isabel, benché devota cattolica, giudicò impubblicabile, e avrebbe distrutto - ma un capitolo fu pubblicato nel 1896, alla morte di Isabel, col titolo “The Jew, the Gipsy and el Islam”, mentre il manoscritto figura venduto all’asta da Christie’s il 5 giugno 2001.
Cosa spinge un uomo curioso, sicuro cosmopolita, a questa forma folle di odio? Non nichilista, delirante. La stessa di cui soffrirà un secolo dopo Garaudy, filosofo forse non apprezzabile ma apprezzato e importante. La stessa di cui ha sofferto Céline: lo scrittore più “impegnato”, letterariamente e personalmente, di tutto il Novecento, e che sotto l’occupazione tedesca mantenne un contegno irreprensibile, mentre i suoi compatrioti meravigliavano gli stessi tedeschi per lo zelo antiebraico, scrive prima della guerra, e non rinnega dopo la guerra, dei libelli antisemiti folli – disordinati, scomposti, senza un barlume di scrittura, malgrado la parvenza ragionativa di cui si paluda l’antisemitismo. È il risentimento, l’area grigia in cui “Pasque di sangue” di Toaff voleva cominciare a penetrare, ma che evidentemente è campo impraticabile.

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